G. Chiesa, La guerra infinita – G. Chiesa e M. Villari, Superclan

I due volumi che intendiamo analizzare sono La guerra infinita di Giulietto Chiesa, e Superclan, scritto dallo stesso Chiesa in collaborazione col giornalista economico del Tg5 Marcello Villari. Nonostante siano stati pubblicati recentemente, il primo nel 2002, il secondo nella primavera 2003, essi possono sembrare ormai “vecchi”, vista la tumultuosa serie di eventi che ha investito la politica e le relazioni internazionali dal settembre 2001 in poi. Ad esempio, quando sono stati dati alle stampe, non era ancora scoppiata la seconda guerra del Golfo, anche se in La guerra infinita, Chiesa la prevede e la dà ovviamente per scontata. Eppure, benché superati dalle cronache quotidiane, i due volumi appaiono più che mai vivi e corrosivi nelle analisi e soprattutto nell’indagare i presupposti, le strutture, gli obiettivi della politica estera statunitense. Per questo i due volumi meritano ancora di essere letti e attentamente soppesati. Le domande che vengono poste dagli autori sono quanto mai attuali, e Chiesa rivendica orgogliosamente l’obiettivo di fornire risposte che sono state finora insufficienti: “Il lettore non si aspetti che io lo riconduca sulle strade che, dall’11 settembre in avanti, sono state indicate dal sistema mediatico mondiale […]. Queste strade sono quasi tutte fallaci: sono vicoli ciechi, trucchi, prestidigitazioni. Quel poco di verità che mostrano è di regola inserito in contesti molto simili a trappole, predisposte da tempo, dove finiscono per cadere gli incauti che vi si avventurano” (La guerra infinita, pag. 7).
L’analisi che qui vogliamo proporre intende pertanto mettere in luce gli aspetti che riteniamo più illuminanti e/o problematici sulle tematiche indagate. L’analisi non vuole essere né completa, né esaustiva degli argomenti trattati dagli autori (per questo si rinvia alla lettura completa delle opere): affrontiamo quelli che riteniamo possano fornire spunti per riflessioni innovative e di largo respiro.

Impero, Cina, Europa. Quali sono le entità dominanti che agiscono oggi nel contesto politico internazionale? Chiesa ne individua principalmente due: gli Stati Uniti (la super potenza imperiale) e la Cina. Quindi indica come possibili fattori di disturbo, ma appunto incapaci di portare una prospettiva autonoma, l’Europa e la Russia, l’India e il Giappone, in ordine di importanza. Ma in che momento della storia gli Stati Uniti si sono trasformati da potenza statale in Impero? Chiesa indica la data ufficiale nel 1991: “La sua vera data di nascita (dell’Impero, n.d.r.), a voler spezzare il corso della storia in momenti significativi, tanto per tenerli a memoria, è il giorno di Natale del 1991, quando l’Unione Sovietica cessò di esistere” (La guerra infinita, pag. 13). Da quel momento gli Stati Uniti, quasi senza volerlo, quasi ubriachi per tanta potenza fino a quel momento solo condivisa, si trovano come inavvertitamente investiti della missione imperiale che fa di loro l’unica super potenza globale. Non è dunque un caso che gli Usa, per un decennio, quasi non si accorgano di essere un Impero, non ne hanno coscienza. Spiega Chiesa: “L’Impero nasceva nel momento stesso in cui l’unico, mortale antagonista dell’Occidente periva in silenzio, si afflosciava, si suicidava. Ma la coscienza dell’Impero cominciò a formarsi successivamente, all’inizio della sua adolescenza. […] Ci è voluto del tempo perché l’America percepisse in pieno le opportunità che le si aprivano, i compiti nuovi, […] aveva voluto quella vittoria con tutte le sue forze, per essa aveva speso risorse immense. Ma, fino all’ultimo, non era stata sicura di ottenerla. […] Aveva intuito la vittoria, ma ne aveva collocato gli effetti in un futuro indeterminato, lontano. Essa invece si è materializzata in tempi brevi […] praticamente senza colpo ferire” (La guerra infinita, pag. 14). Ed è per questo dunque che si è reso necessario un decennio per “metabolizzare” la “vertigine” del successo trionfale, per cui siamo entrati nell’era dell’Impero solo nel momento in cui “l’Impero si è reso conto di essere tale” (La guerra infinita, pag. 14). E questa perdita dell’innocenza, ovviamente, coincide con l’11 settembre. E anche guardando a ritroso, Chiesa vede le radici dell’Impero nella fine degli accordi di Bretton Woods, negli anni ’70, non prima.
Questa visione di un Impero neonato, che deve prendere coscienza di sé, incapace di prevedere il crollo dell’Urss, che le leadership americane hanno trovato sulla loro strada per una sorta di fatale avventura, non ci trova affatto concordi. Se poniamo come data formale di nascita il 25 dicembre 1991, dobbiamo spiegare quale carattere ha avuto la prima guerra del Golfo, del gennaio 1991, ben sapendo poi che tale conflitto ha avuto una gestazione e preparazione strategica ben anteriore all’invasione del Kuwait. A noi sembra che quella fu una guerra che potremmo definire in maniera lampante “imperiale”, che aveva come scopo finale il posizionamento permanente delle truppe americane nella penisola arabica per il controllo diretto e la stabilizzazione dei grandi paesi esportatori di petrolio. È evidente che tale manovra approfittò della debolezza della morente Unione Sovietica, e che in piena guerra fredda non avrebbe potuto esplicarsi con quelle modalità. Ciò nonostante, non fu una cosa nuova, visto che con altri mezzi (ad esempio tramite la costituzione di governi fantoccio) gli angloamericani hanno da sempre perseguito il controllo del Medio Oriente, dei paesi del Golfo e della penisola arabica. La visione imperiale anglosassone vive ormai da secoli (si veda a tal proposito “Alle radici della globalizzazione”, intervento per il convegno “100 anni di globalizzazione” pubblicato su questo sito nella sezione “conferenze”) e nuova è forse solo la definizione che la pubblicistica mondiale dà a questo progetto politico di grandissimo respiro. Se infatti la parola “impero” è di recente conio per questo contesto, gli stessi fenomeni si sono chiamati nel corso di decenni (o meglio di secoli): “colonizzazione”, “neocolonizzazione”, “globalizzazione”, e finalmente “Impero”. Anche a voler scindere (operazione che dal punto di vista scientifico riteniamo comunque erronea) quello che fu l’Impero britannico dal Dominio nordamericano, dobbiamo comunque rimontare alla seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti concepirono e condussero (nel Pacifico come in Europa) una guerra del tutto “imperiale”, per non parlare della politica di espansione in America latina e nel sud-est asiatico (Filippine) che risale addirittura al XIX secolo. Questa continuità e gli effetti che essa produce, a nostro modo di vedere, non sono affatto casuali.

Esistono antagonisti dell’Impero sul palcoscenico mondiale? Secondo Giulietto Chiesa, gli Stati Uniti hanno individuato un unico potenziale nemico: la Cina. “La Cina è l’unico paese al mondo che può prendere decisioni senza chiedere il permesso a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti d’America. I dirigenti cinesi sono l’unico gruppo di individui che non dipende dalle opinioni che si formano a Washington, non sono tenuti a rispettarne i criteri, non devono rispondere delle proprie azioni e non sono ricattabili dall’esterno” (La guerra infinita, pag. 9). La data limite per mettere la Cina sotto tutela si collocherebbe intorno al 2015 secondo gli analisti americani, dopodiché la potenza asiatica diventerebbe “incontrollabile”. Chiesa avverte, molto giustamente, che nessuno considera la Cina un pericolo in quanto alternativa come modello di sviluppo socio-economico, si ragiona in termini di puri e semplici equilibri di potere, cioè con una visione squisitamente imperiale. Ma se questa è la visione, e non ne dubitiamo, la Cina non può essere considerata esattamente come unico nemico, ma piuttosto come una delle facce (forse la più pericolosa) che l’univoca strategia anglosassone si trova a fronteggiare. Se è evidente che l’attuale cuneo militare portato dagli Stati Uniti nel cuore dell’Asia centrale è, a lungo termine, in funzione anti-cinese per impedire un facile accesso alle grandi risorse energetiche che scavalchi gli stessi Usa, lo stesso identico ragionamento si può fare nei confronti dell’Europa, e la stessa manovra mira ad un tempo a continuare la destabilizzazione della Russia. Gli Stati Uniti ragionano in termini globali, e i nemici dunque non sono singoli, sono globali. Abbiamo parlato di nemici? Forse nemmeno questa definizione è del tutto esatta, infatti di un nemico si vuole, possibilmente, la completa sconfitta. Gli Stati Uniti non vogliono questo né per la Cina, né per l’Europa o la Russia, esse sono, e devono continuare a essere, o esserlo sempre di più, delle macro-regioni planetarie di libero scambio, distinte e relativamente compartimentate. Quello che non si vuole è un loro saldamento economico, e tanto meno militare. Quello che spaventa maggiormente Washington è che, ad esempio, la Cina diventi il partner commerciale privilegiato per l’Europa e viceversa, e che le transazioni vengano fatte in euro piuttosto che in dollari. Questo è il nodo cruciale, a nostro avviso. E se le cose andassero in questa direzione, dovremmo certamente attenderci per i prossimi anni una recrudescenza dei rapporti tra Cina e Usa, ma anche, prima o poi, un attacco pesantissimo contro l’Europa dell’euro.

La super-società e il ponte di comando. Ma chi controlla realmente questi percorsi strategici mondiali, chi ne tira le fila? È solo l’amministrazione americana ad essere alla guida dell’Impero, o esistono gruppi di pressione, ceti sociali, in grado di influenzarla? O addirittura poteri occulti di cui abbiamo poca o nessuna percezione? Chiesa individua due concetti di analisi socio-politologica, e li battezza con i nomi di “super-società” e “ponte di comando”. Cosa sono e in che relazione stanno tra di loro?
“Una nuova classe si aggira per il pianeta” (Superclan, pag. 23), è quella dei Ceo, i Chief executive officers, maturazione (o degenerazione) della vecchia classe proprietaria, e poi degli yuppies anni ’80. Questa nuova classe rampante fonda il proprio potere su due aspetti: l’istruzione e l’informazione, è formata da una variegata fascia di professionisti (agenti di borsa, banchieri, consulenti, ma anche giornalisti, pubblicitari, artisti, docenti universitari) e come obiettivo comune ha quello di “far fuori la classe dirigente dei politici professionali e ridurre il potere della borghesia proprietaria tradizionale” (Superclan, pagg. 25-26). Questa classe è ovviamente figlia della new economy, è figlia della rivoluzione Ict (Information Communication Technology) e ne maneggia con sapienza gli strumenti. Questa classe è talmente padrona dei meccanismi da poter agevolmente creare un panorama di mondiale mistificazione e appiattimento dentro cui operare, anche in maniera spudoratamente truffaldina, senza che nessuno se ne accorga salvo quando i buoi sono ormai scappati dal recinto (i clamorosi casi Enron e Worldcom). I controlli sono tutti saltati, anche e soprattutto quelli dell’informazione classica (tema molto caro a Giulietto Chiesa). “In questi ultimi due decenni, il sistema mediatico si è lentamente ma inesorabilmente organizzato per soddisfare questa esigenza. […] Giornalisti, esperti, economisti, hanno di fatto cambiato mestiere, tutti insieme, e ora svolgono le pubbliche relazioni dei grandi potentati economici. Invece di esercitare le funzioni critiche proprie della loro professione, reggono il sacco ai saccheggiatori” (Superclan, pag. 9). E ancora, a voler ribadire e illuminare il concetto: “I circoli del potere – finanza, governo, arte, intrattenimento- oggi tendono a sovrapporsi e diventare reciprocamente interscambiabili, […] la realtà e la simulazione della realtà sono sempre più difficili da distinguere” (Superclan, pag. 27). La conseguenza di questo sistema è stata la possibilità per questa classe sociale di operare senza regole, remore e controlli, che non fossero quelli dettati dalla loro stessa ingordigia e desiderio di potere. “La nostra superclasse è una comunità di contemporanei, il suo credo è il consumo immediato: del tempo, della natura, del risparmio, della ricchezza sociale. È una classe il cui unico, inconsapevole orizzonte è il suicidio” (Superclan, pag. 28). Si tratta dunque di una “élite tecnocratica”, detentrice di cultura e conoscenze funzionali e pragmatiche, che ha soppiantato i proprietari dei mezzi di produzione con la propria capacità di organizzazione e pianificazione, per il semplice fatto che in una società complessa come l’attuale, “la pianificazione militare, economica e sociale, è diventata il requisito fondamentale di ogni azione organizzativa” (Superclan, pag. 29). Questa superclasse non produce, ma distrugge, saccheggia, sia che si tratti di compagnie, sia che si tratti di interi mercati, come accadde con le speculazioni in Estremo Oriente alla fine degli anni ’90, che misero sul lastrico le economie di un’intera area geografica (Corea del Sud, Indonesia, Thailandia, Malaysia, Filippine). È questa classe che ha spinto gli Stati Uniti e il pianeta, con una cecità incomprensibile, sull’orlo del baratro, con una economia americana entrata in recessione ben prima dell’11 settembre, e con il mondo in grave crisi economica e ambientale.

A fianco della “superclasse” (o forse sopra, sotto, dentro) sta il “ponte di comando”. Sul ponte di comando stanno quelli che in maniera più o meno visibile dirigono l’orchestra, quelli che possiedono le informazioni (quelle vere, non artefatte) circa lo stato di salute del pianeta e che quindi sono in grado di diagnosticarne e prevederne malattie, crescite, declini, opportunità, scenari. Ne fanno parte magnati della finanza e dell’economia, alte sfere militari, esponenti della politica, della diplomazia e dell’intelligence, analisti e studiosi. Sono soprattutto americani, ma non solo, il ponte di comando è globale, anche se spesso i leaders americani hanno ricoperto nella loro vita cariche e percorsi che ricomprendono tutti gli ambiti citati; probabilmente gli anglosassoni hanno inventato questo uomo nuovo, che ha poi informato a sua immagine le élite non anglosassoni. Chiesa prova anche a fare un numero citando il sociologo russo Aleksandr Zinoviev: a suo avviso sul ponte di comando stanno circa 80-100 milioni di persone. Nel delineare le caratteristiche di questa sorta di “cupola”, Chiesa utilizza espressioni del tutto simili a quelle spese per definire la “superclasse”: quelli del ponte di comando hanno l’informazione che consente la “capacità di previsione e controllo”. Qui sta, a nostro avviso, una discrasia che Chiesa e Villari sfiorano e non spiegano sufficientemente. Come è possibile che dentro questo coacervo esistesse allo stesso tempo un nucleo forte che vedeva la direzione folle che stava assumendo l’andamento planetario senza fare nulla per fermarlo, e dall’altra la superclasse che in quella direzione spingeva in maniera cieca e sistematica? Gli stessi autori si rendono lucidamente conto del contesto: “Chi oggi sta sul ponte di comando dell’economia mondiale ha a disposizione apparati di controllo e raffinati sistemi di misurazione, come mai è accaduto in passato ai governanti. In questo senso, è giusto ritenere che le possibilità di regolazione delle crisi non sono mai state così alte e mai, come in questa epoca, il controllo globale dei processi è diventato possibile. Tanto più sbalorditivo appare dunque l’attuale approdo caotico, e le cause strutturali che lo stanno determinando” (Superclan, pag. 76). La tesi di Chiesa (secondo noi riduttiva) è che, dunque, in qualche punto deve essersi verificato una sorta di corto circuito che ha spinto avanti le cose al punto da non poterle più governare. “Non è che lassù, sul ponte di comando, non avessero capito niente. Qualcosa avevano capito. Dopo lo scoppio della seconda bolla speculativa, quella della new economy del 2000, si erano resi conto che, in qualche misura, gli “spiriti animali” dovevano essere almeno frenati. Lasciati liberi del tutto, sarebbero diventati troppo pericolosi per l’ordine pubblico e la sopravvivenza stessa del sistema. Si ritenne però che fermarli sarebbe stato impossibile. In ogni caso nessuno ci ha provato per paura di essere travolto” (Superclan, pag. 103). La conseguenza fu che per sventare il “suicidio” della superclasse, il ponte di comando si sia dovuto, ad un certo punto, inventare la scappatoia di una “guerra infinita”. Noi diamo una spiegazione diversa.

Verso l’11 settembre. Allo scopo di illustrare la nostra visione utilizziamo una metafora. Immaginiamo una macchina al cui volante sieda un guidatore molto particolare: in lui albergano due anime, due volontà contrapposte. La prima vorrebbe continuare a scorazzare piacevolmente su un ampio piazzale, comodo e sicuro, la seconda vorrebbe provare a saltare un burrone per occupare altri spazi, diciamo tutti i piazzali disponibili. Per fare questo, la seconda anima, quella avventurosa, approfittando di un momento in cui si trova senza il controllo dell’anima prudente, si lancia a tutta velocità verso il burrone con l’intento di provare a saltarlo. Quando l’anima prudente si rende conto della cosa, potrebbe tentare di alzare il piede dall’acceleratore, ma se fosse troppo tardi? La macchina potrebbe non riuscire a frenare e finire in fondo al burrone, tanto vale rischiare il salto e contribuire ad accelerare.
Le due anime potrebbero essere quelle che convivono dentro il “ponte di comando” e che a loro volta corrispondono o rappresentano porzioni più o meno ampie di opinione pubblica e società civile: una “avventurosa”, identificabile attualmente (ma non assimilabile) con l’amministrazione Bush e la sua ideologia imperiale, la quale ha utilizzato sapientemente come una sorta di cavalleria la superclasse dei Ceo, una cavalleria simile ad ondate di cavallette che ha spinto la macchina fino al punto di non ritorno, fino all’11 settembre 2001. L’anima “prudente”, ammesso che abbia capito cosa è successo, non può fare altro, ormai, che assecondarne i giochi, sperando che riescano. È l’America più profonda, tradizionale, isolazionista, è anche una parte del ponte di comando che sta in Europa o in Asia, incapace di far alzare per tempo al guidatore il piede dal pedale.
Il meccanismo funzionò anche perché venne innescato in tempi non sospetti, agli inizi degli anni ’90, quando banchieri e finanzieri vicini al partito democratico (“il vertice del partito democratico di Wall Street”, tutta gente che con ogni probabilità sta sul ponte di comando), incontrò in una cena semi-ufficiale il giovane e promettente ex governatore dell’Arkansas, Bill Clinton, un politico pressoché sconosciuto ma “dalla lingua d’argento” (Superclan, pag. 102), per valutare se fosse il cavallo giusto su cui puntare per questa operazione economico-politica. Clinton fece del suo meglio per impressionare gli astanti, ed evidentemente ci riuscì. Gli venne chiesto se sotto una sua eventuale presidenza avrebbe operato per la completa liberazione dei mercati globali e delle finanze, “il dispiegamento del free capital flow”, con la conseguente definitiva egemonia della superclasse. “Lo sventurato rispose” (La guerra infinita, pag. 21).

Che la nostra tesi sia corretta, o che lo sia quella di Chiesa e Villari, il risultato fu un evento, l’11 settembre, che da un lato consentiva con una economia di guerra di uscire dal suicidio economico della superclasse, dall’altro permetteva lo spiegarsi definitivo del gioco imperiale dell’anima avventurosa. Detto in questi termini, sembra quasi, come disse un analista americano, che se l’11 settembre non ci fosse stato, qualcuno avrebbe dovuto inventarlo. Ebbene, questa è la tesi esposta da Giulietto Chiesa (e che noi condividiamo) nel quinto capitolo di La guerra infinita, intitolato: “E’ stato Osama bin Laden. Chi se no?”. Lasciamo ai lettori il piacere di verificare le fonti e la tenuta logica dei ragionamenti di Chiesa, in questa sede ci limitiamo ad esporne le conclusioni. L’11 settembre, lungi dall’essere un atto terroristico concepito da un gruppo di folli fanatici islamici da una grotta dell’Afghanistan, è stato una complessa e perfetta operazione di intelligence in cui nulla è stato lasciato al caso. È stato ispirato da una fazione interna agli Stati Uniti, fazione di cui dovevano far parte altissimi gradi militari della difesa e delle agenzie per la sicurezza nazionale americana. L’operazione è stata appaltata a servizi segreti stranieri (segnatamente quelli pakistani e sauditi) affinché risultasse che l’attacco proveniva dall’esterno. La manovalanza (consapevole o meno, poco importa) è stata trovata sul mercato del terrorismo islamico internazionale.
A voler essere rigorosi, dobbiamo ammettere che Chiesa non è così netto nelle sue conclusioni per come le abbiamo delineate, si limita ad esporre i dati in suo possesso che fungono da premessa logica: le conclusioni che noi abbiamo tratto, sono quelle che trarrebbe qualunque lettore medio. E qualunque lettore medio, allo stesso tempo, converrebbe con noi che l’11 settembre non è quindi stato altro che un colpo di stato contro l’ordinamento costituzionale e il popolo americano.

Verso la fine della democrazia? Dunque, qui siamo. Non si pretende di avere la verità in tasca, ma gli indizi e sospetti sono tanti. E sono gravi. E se questo è stato, allora il rischio che stiamo correndo è gravissimo e riguarda tutti. Lo diremo con le parole di Chiesa e Villari: “Tutte le deliberazioni più importanti, essenziali per la vita di milioni, di miliardi di persone, sono ormai assunte in ristrettissime conventicole di politici e uomini d’affari, al di fuori di ogni glasnost, e, soprattutto, oltre ogni legittimazione democratica. […] C’è un rapporto tra questa degenerazione antidemocratica e illegale della vita internazionale e la degenerazione strutturale determinata dal capitalismo senza regole e leggi? A nostro avviso esiste una stretta interdipendenza negativa tra questi due processi. L’attacco alle libertà democratiche, incluse quelle individuali, ivi compresi i diritti civili e sociali, non proviene più dall’esterno ma dal cuore della società occidentale. Anche in questo senso l’11 settembre rappresenta un evento straordinariamente funzionale alla creazione di un pericolo fittizio (la minaccia del terrorismo islamico), per coprire una trasformazione autoritaria, endogena, incombente sulle società occidentali” (Superclan, pagg. 10-11).

Gennaio, 2004

Giulietto Chiesa, LA GUERRA INFINITA, Feltrinelli, 2002.

Giulietto Chiesa – Marcello Villari, SUPERCLAN: chi comanda l’economia mondiale? Feltrinelli, 2003.

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