Libertà per la Libertà

Freiheit zu geben durch Freiheit [1] F.Schiller

Clarissa mette in rete una serie piuttosto corposa di materiali riguardanti, direttamente e indirettamente, la strategia mondiale degli Stati Uniti d’America.

La ricchezza delle fonti di studio proposte ci obbliga ad una serie di chiarimenti preliminari, perché non vogliamo essere scambiati per quello che non siamo, né – soprattutto – intendiamo indurre nei lettori altro atteggiamento che non sia quello della ricerca libera da pregiudizi.

Quello che vogliamo dire subito è che sarebbe inutile catalogare Clarissa in una delle tante parrocchie dell’antiamericanismo. Non siamo antiamericani più di quanto non siamo anti-qualche altra cosa. Le definizioni per contrapposizione non ci piacciono. Siamo invece fermamente convinti che l’America, la migliore America, abbia dato, stia dando e possa dare in futuro il suo contributo all’evoluzione del mondo, come tanti altri popoli. Non è un caso che molti dei materiali che presentiamo siano proprio americani.

Distinguiamo nettamente il popolo americano, la civiltà degli Stati Uniti, la sua cultura, dall’uso strumentale che ne viene fatto, e da molto tempo, da una parte della sua classe dirigente, purtroppo dominante anche se non in modo continuativo e pacifico.

Questa parte – è la nostra ipotesi storica – si considera l’erede dell’Impero Britannico, che a sua volta si considerava l’erede dell’Impero Romano. Non solo: questa minoranza ha un retroterra di tipo razzistico, parte cioè dal presupposto di una superiorità della “razza” angloamericana rispetto al resto dei popoli del mondo. Tale superiorità sarebbe dimostrata dalla potenza economica, militare e culturale. Sulla base di premesse del genere, e con l’apporto di un mondo affaristico ben poco afflitto da questioni ideologiche e assai interessato al denaro, una vera e propria corrente imperiale ha diretto la politica americana dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti. Da Monroe a Theodore Roosevelt al profeta Wilson, a F.D.Roosevelt, fino all’attuale dirigenza, la sfera di interessi americana si è dilatata fino a coprire il mondo intero. Il tutto quasi sempre contro la volontà del popolo americano, tendenzialmente isolazionista e fedele (right or wrong, my country) al messaggio di libertà e felicità dei Padri Fondatori. La Nuova Gerusalemme, per presupposti razziali, per politica di potenza con pingui ritorni economici, per supponenza da evangelizzazione democratica, si è assunta il ruolo di imporre al mondo la libertà.

Ora, non c’è cosa più assurda che imporre la libertà. Non c’è cosa più contraria alla libertà del dogma che la libertà degli altri debba avere gli stessi contenuti della propria. Non c’è cosa più vile che far passare per libertà una politica schiettamente imperiale. E non c’è cosa più infame che trascinare un popolo che ha il sentimento della propria libertà, e quindi istintivamente di quella altrui, come il popolo americano, in guerre che quel popolo non vuole. E trascinarcelo come? Con un rosario di attacchi subiti volentieri, quando non preparati direttamente. Dal Maine, al Lusitania, a Pearl Harbor fino ai giorni nostri, c’è sufficiente evidenza storica per pensare che mai il popolo americano, dopo la guerra civile, sia stato coinvolto in qualche guerra che davvero lo riguardava. Perfino per la minaccia comunista o per quella nazionalsocialista esistono prove storiche sulla praticabilità di altre soluzioni, compresa quella di bloccarle per tempo con un circoscritto intervento militare nel 1919/20(la prima), o con la fermezza diplomatica (la seconda).

E’ stato necessario di conseguenza alimentare artatamente una serie di crociate, con tanto di feroci Saladini e Terre Sante da liberare, per scatenare la capacità bellica delle masse americane. Basta vedere che razza di metodi di indottrinamento e addestramento [2] sono stati usati nelle due guerre mondiali per mandare al fronte, altro che salvare!, il soldato Ryan.

Che poi questo abbia portato alla sconfitta di alcuni regimi totalitari, può essere un fatto positivo. Purtroppo però una ricerca storica accurata conduce a trovare atteggiamenti angloamericani alquanto ambigui verso il comunismo, il fascismo e il nazionalsocialismo. E’ perciò qualcosa più di una stravaganza l’ipotesi storica che le ragioni dell’intervento americano in Europa non siano state in definitiva così limpide. Quanto alle politiche seguite verso il Giappone, il mondo arabo e la Cina, qui il gioco è scoperto, e risulta molto difficile usare dei paramenti ideali, plausibili – forse troppo – verso i regimi del continente europeo.

Condurre il popolo in guerra coartandone il consenso: questa sarebbe la democrazia? E’ questo il modello di democrazia che dovrebbe valere a livello mondiale, a tacer poi della struttura sociale statunitense? Ci rifiutiamo di crederlo. Era questo che sognavano Washington, Jefferson, Adams? Assolutamente no.

Se poi si insiste nella tesi che, anche in regime di democrazia rappresentativa [3], sono le élites che vedono più lontano, allora bisogna dire le cose come stanno, e smascherare (con nomi, fatti, progetti) quello che non è più il giorno dell’inganno, ma il secolo dell’inganno. E su questo punto l’evidenza storica è schiacciante.

Ricordiamoci che la terra pullula dei cadaveri delle vittime dei più disparati destini manifesti. Seguitando con questo tipo di idee, altri se ne aggiungeranno. Gli statisti americani sanno benissimo che la partita con il destino manifesto della Russia non è chiusa, e che quella con il destino manifesto della Cina si sta aprendo [4]. D’altra parte, se il cosiddetto Occidente insiste con la teoria della propria superiorità, e ne fa la base per una politica di rapina, che cosa ci si può attendere di diverso?

Che cosa sta aspettando, il cosiddetto Occidente, per ricordarsi della prospettiva di autocoscienza e indipendenza nazionale, democrazia, cooperazione che fu propria di Mazzini e Garibaldi, ma anche – fra i tanti – di Walt Whitman?

Che gli si dica, come gli si deve dire, che non uno dei tre fondamentali principi spirituali dell’età contemporanea – Libertà, Uguaglianza, Fraternità – ha finora trovato attuazione, e massimamente nella politica internazionale? Che aveva, ed ha ragione Whitman, quando dice: “hai creduto anche tu, o amico, che democrazia significasse solo elezioni, politica, il nome di un partito? Io dico che la democrazia è utile solo laddove, procedendo il suo corso, essa giunga ad avere la sua fioritura e i suoi frutti nel comportamento, nelle più alte forme di scambio tra gli uomini e le loro credenze – religione, letteratura, università, scuole – democrazia nella vita pubblica e privata, e nell’esercito e nella marina”? [5] E non parliamo, per pietà, del cosiddetto libero mercato.

La libertà non si impone. Imperi democratici non sono mai esistiti, a meno di non considerare tali le strutture fortemente élitarie di Atene, Roma, Londra.

Come molti, in questo periodo, abbiamo letto L’età dell’oro di Gore Vidal. Ne siamo usciti con un profondo senso di compassione per il normale cittadino americano, un essere umano come noi e come voi. L’immagine che Vidal dipinge della classe dirigente americana induce una immensa pena, perché è tutta di prima mano, nasce da esperienza diretta.

“Hopkins salutò allegramente Caroline.”Ricorda quello che ha detto Harry Truman:”Il paese intero è altrettanto colpevole quanto qualsiasi individuo, per quel che è accaduto a Pearl Harbor””.
“Glielo hai scritto tu?”

“Non farmi domande e non ti dirò bugie”.

Mrs. Hopkins guardò di traverso Caroline, che sorrise – compassionevole, almeno lei sperava – e se ne andò. Solamente quando nel corridoio si trovò dietro a un corpo anestetizzato su un carrello, cominciò a chiedersi come diavolo il popolo americano, nella sua ignoranza attentamente coltivata, potesse essere responsabile di un attacco provocato da una classe al governo il cui primo principio era quello di non informarlo mai di nulla che non riguardasse il suo benessere” [6].

Ed è ancora così: ma dobbiamo sperare che non sia più così, ed operare in tal senso, per il popolo americano e per tutti gli altri.

Dobbiamo agire perché possa esserci una risposta positiva al terribile interrogativo di Whitman:

“Vediamo i figli e le figlie del Nuovo Mondo, ignari del suo genio, incapaci di scoprire ciò che autoctono, universale e vicino, importare ancora ciò che è distante, parziale e morto. Vediamo qui Londra, Parigi, l’Italia – non originali e superbe come nel mondo cui appartengono – ma di seconda mano, in un mondo cui non appartengono. Vediamo frammenti di Israele, Roma, Grecia; ma dove, sul suo stesso suolo, è possibile vedere una qualche fedele, nobile, orgogliosa espressione dell’America stessa? A volte mi chiedo se c’è posto per lei nella sua stessa casa” [7].

Come italiani, cittadini di un paese che soffre di un’identità dimenticata, noi siamo profondamente vicini “ai figli e alle figlie del Nuovo Mondo”. E per essi vogliamo ricordare quanto ha detto Mazzini:”la Patria non è il territorio; il territorio non ne è che la base. La Patria è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il senso d’amore che stringe in uno tutti i figli di quel territorio”. [8]

E’ trovare questo pensiero d’amore, che noi auguriamo al popolo americano. E in questo senso, e non con i sorrisi di madreperla e gli occhi vitrei degli attuali padroni degli USA, permetteteci di concludere dicendo con tutto il cuore: Dio benedica l’America, e la illumini.

NOVE IPOTESI DI RICERCA SULLA POLITICA IMPERIALE DEGLI USA

1. E’ priva di fondamento storico e ideale la pretesa degli Stati Uniti d’America di ergersi a modello e a difesa della libertà politica, economica e culturale degli altri popoli del mondo, perché essi stessi retti ormai da molto tempo da una oligarchia ben poco rappresentativa della volontà popolare e capace di usare ogni mezzo per condizionare la coscienza delle masse

2. E’ dimostrabile nei dettagli che la frazione dominante della classe dirigente degli Stati Uniti d’America ha perseguito, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, un lucido disegno imperiale, basato sulla supposta superiorità razziale, culturale, economica e politica dei popoli anglosassoni

3. Nell’attuazione del proprio disegno strategico, questa minoranza ha scalzato progressivamente l’imperialismo britannico, che aveva identici obiettivi, ad esso sostituendosi e proseguendone l’azione con altri e più raffinati mezzi

4. Seguendo questa linea, la frazione dominante statunitense ha coinvolto, usando tecniche di provocazione anche sanguinose, il popolo americano in due guerre mondiali e in un’infinità di conflitti e confronti militari politici ed economici, facendo strumentalmente leva sugli ideali democratici

5. L’élite in questione ha sì permesso ai popoli europei di liberarsi dai regimi totalitari e di avere libere istituzioni, ma ciò con lo scopo, se non prevalente almeno parallelo, di ridurne in modo sostanziale l’indipendenza nazionale in molte delle sue articolazioni politiche, economiche e culturali

6. Nel quadro del suo disegno imperiale la minoranza dirigente degli Stati Uniti d’America si è associata con chiese, sette, gruppi etnico-religiosi, circoli economici e finanziari per controllare tutte le risorse umane, politiche, culturali e materiali del pianeta

7. Il gruppo in questione intende usare e sta usando a tal fine tutti i processi di globalizzazione e comunicazione in campo culturale, economico e politico

8. Non esiste fondamento diverso da una strategia imperiale alla pretesa degli Stati Uniti d’America di far ricorso all’intervento armato preventivo, e a qualsiasi altra forma di intervento contro altri popoli

9. Manca ogni giustificazione storica alla pretesa degli Stati Uniti d’America di intervenire al di fuori del proprio territorio sotto l’egida della guerra al terrorismo, in considerazione del fatto che il terrorismo, ed in specie quello islamico, è una creazione diretta e indiretta della politica di potenza perseguita sistematicamente dagli USA in Medio Oriente da almeno settanta anni a questa parte.

[1] Dare la libertà attraverso la libertà
[2] J.Bourke, An Intimate History of Killing: face-to-face Killing in Twentieth_century warfare, trad. italiana Le Seduzioni della Guerra, Argalia, Urbino, 2000

[3] rappresentativa di chi, poi? L’attuale presidente americano è stato eletto, com’è noto, da una risicata maggioranza all’interno del 50,8% degli aventi diritto al voto. Perciò, se gli va bene, rappresenta qualche spicciolo in più del 25% dell’elettorato americano.

[4] Cfr. sul punto Quiao Liang, Wang Xiangsui, Unrestricted Warfare, Edizioni dell’Esercito Cinese, traduzione italiana Guerra senza limiti. L’arte della Guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, Libreria editrice Goriziana, Gorizia, 2001. Gli autori sono due ufficiali di Stato Maggiore dell’Aeronautica cinese, nonché docenti all’Accademia militare di Whampoa. L’aspetto tecnico militare è estremamente interessante, ma passa in secondo ordine rispetto alla prospettiva nazionalista e sprezzante con cui gli autori guardano all’Occidente, dicendo purtroppo cose verissime. D’altra parte la dottrina della guerra senza limiti deve circolare da un pezzo negli Stati Uniti. E’ stato molto citato, a proposito dell’11 settembre, Debito d’onore dell’ex-analista dei servizi USA Tom Clancy, soffermandosi sulla scena finale dell’attacco aereo suicida alla Casa Bianca, senza far notare che il ponderoso technotriller (600 pagine nell’edizione italiana) è un sommario sulla guerra economica, psicologica, e perfino sulle tecniche di omicidio – con armi individuali e con missili tirati dagli elicotteri nelle case – impiegate ai giorni nostri dagli israeliani. Clancy e il suo giro giocano sul codice romanzesco per a)fare soldi; b)rendere incredibili, romanzeschi appunto, scenari operativi di normale amministrazione. E’ la replica americana della tecnica dell’ex-spia inglese Ian Fleming , il creatore di 007, che invece ha fatto sognare il mondo con un personaggio che fa esattamente quello che gli uomini dei servizi segreti non fanno

[5] Walt Whitman, Democratic Vistas, Washington 1871, trad. italiana Prospettive democratiche, Il Melangolo, Genova 1995, pag.89

[6] Gore Vidal, The Golden Age, 2000, trad. italiana L’età dell’oro, Fazi, Roma, 2001, pag. 297. Lo Harry Hopkins del brano è il noto consigliere di Roosevelt.

[7] Whitman, op. cit., pag.140

[8] Giuseppe Mazzini, Dei doveri dell’uomo, Mursia, Milano 1984, pag.65. Il testo fu scritto nel 1860.

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