Anime di popoli in guerra

“Criticare l’accaduto è un segno di dilettantismo cui la Scienza dello Spirito non può aderire. Ma questo fatto deve venire compreso, e così pure le sue caratteristiche, poiché soltanto allora si potranno sviluppare verso di esse i giusti impulsi volitivi” [1]: tenendo presente questa indicazione di metodo di uno dei più luminosi pensatori della nostra epoca, R. Steiner, e il suo insegnamento sulla missione dei popoli, sulla storia interiore dell’umanità e sullo studio dei relativi sintomi, si possono accennare alcune ipotesi riguardo al senso profondo dei fatti del settembre 2001.

E’ bene ricordare che la missione dell’Occidente è legata all’affermazione dell’ego, soprattutto nella forma economica: è il processo inferiore della libertà, che ha per riscontro positivo lo spirito della frontiera, il dominio dello spazio e del tempo fisici. Come tendenze spirituali, il processo tende verso il Centro (l’Europa nelle sue polarità mediterranee, germaniche e slave) in figure quali Emerson o Whitman; patisce la mancanza di sviluppo equilibrato in Melville e London; afferma i suoi aspetti più negativi nell’economicismo, nel fondamentalismo delle sètte, nell’astratta normatività moralistica di figure capitali come Wilson – una normatività moralistica che innerva financo le più recenti dichiarazioni della classe dirigente americana. Una normatività moralistica che ripropone l’astrattezza del pensiero arabo.

Non è del tutto azzardato pensare che, al di là delle forme più crasse di materialismo, l’arabismo – cioè l’insegnamento aristotelico reinterpretato in chiave naturalistica da Averroè, Avicenna, ecc. – sia presente nello spirito della classe dirigente degli S.U. anche nella tecnologia più recente, fondata sulla logica formale e su linguaggi matematici ed algebre spesso essenziali ma sempre molto potenti. La propensione all’astrazione, alla modellistica, che hanno fatto degli USA il più straordinario produttore di tecniche operative in tutti i settori, compresi quelli delle scienze umane, rimanda a questa tendenza, al di là del fatto che Boole, Wittgenstein, Carnap, Turing, Wiener, von Neumann, ecc., venissero da o avessero operato in tutt’altre zone del mondo. Ed è anche il caso di ricordare il ruolo decisivo che l’applicazione di questi strumenti concettuali e tecnici ha avuto, ed ha tuttora, nelle vicende belliche, ad essa potendosi ascrivere tranquillamente anche la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale [2].

La tendenza alla norma, tratta quasi esclusivamente da una immagine del mondo vincolata alla mera fenomenologia psicofisica, è davvero invasiva in tutta la cultura nordamericana. E’ assolutamente impressionante vedere la diffusione di percorsi di pensiero tutti fra loro simili e cioè: dal modello della realtà (non dalla realtà) alla prescrizione attuativa: al nominalismo segue la norma.

Questa osservazione permette di porsi da un altro punto di vista. Se risaliamo alla figura di Bacone, rintracciamo l’origine della tendenza occidentale alla classificazione, alla sistematizzazione, alla sperimentazione intese come una collazione di indicazioni che permettono di tastare il reale, senza porsi in fondo il problema della sua essenza, bensì partendo dal presupposto che “la conoscenza è potere”.

E’ interiormente consequenziale che, perso il nesso interiore con l’essenza, l’anima occidentale si muova sulla superficie delle cose. La ricostruzione humiana della causalità, come successione ricorrente di eventi, ma che non implica per ciò stesso un nesso essenziale, è l’esplicita universalizzazione di questa tendenza interiore.

Ad essa coopera Kant, che assegna alle forme-pensiero, alle categorie, una funzione regolativa. Non è un caso che, tanto in Hume quanto in Kant, il problema morale sfoci nel richiamo al senso comune, al sentimento religioso, al fideismo, con ciò segnando la più totale ablazione dell’autentica spinta conoscitiva umana.

La ginnastica intellettuale, sia nella conoscenza della natura che in quella dell’uomo, del neopositivismo logico in tutte le sue derivazioni non è, alla fine, che un pietiner sur place all’interno di questa prospettiva animica, ad un tempo nominalistica, sistematizzatrice, normalizzatrice e comunque materialistica in quanto vincolata all’apparenza sensibile.

In certo senso, possiamo dire che l’élite culturale, politica ed economica dell’Occidente è la prima di quelle che potremmo chiamare genti della legge che agiscono sulla scena mondiale. E di quale legge? Della legge noetica, e morale, che rimanda ad una delle tre ombre [3] della nostra epoca, quella dell’aristotelismo, filtrata attraverso l’arabismo. Queste ombre vivono come cascami spirituali del passato energizzati nella semicoscienza da tutto quanto è radicale opposizione all’evoluzione del mondo.

Ora, non c’è dubbio che all’Occidente, e segnatamente alla Gran Bretagna, sia stata assegnata una parte nella missione dell’affermazione dell’Io libero, tanto che questo si riflette – nota sempre R. Steiner – anche nelle istituzioni parlamentari [4]. Ma questo è vero fino ad un certo punto, cioè fin quando l’impulso alla libertà non viene smorzato dal vincolo crescente all’apparire sensibile. Una cosa è la Gran Bretagna fino a Carlyle, un’altra quella del positivismo di Spencer, e poi del neopositivismo logico che proprio nelle università inglesi troverà ampio spazio. La retorica di Kipling, l’idea imperiale e il culto della Repubblica platonica che viene espressamente insegnato quale viatico alla classe dirigente inglese [5], non sono che la controparte sentimentale di un’identità nazionale sempre più immemore del primigenio impulso alla libertà. Impulso che è stato sostituito dalla volontà di potenza su un mondo inteso sempre di più come inconoscibile nell’essenza ma dominabile nella presenza.

In fondo, si può anche pensare che la citatissima e retorica frase di Churchill sulla democrazia, che non funziona ma alla quale non si può rinunciare perché le altre forme si governo sono tutte peggiori, è anche una sorta di drammatica dichiarazione di impotenza a conoscere. E’ un accontentarsi, una sorta di ignorabimus in politicis, a ben vedere l’espressione di un’autentica disfatta dello spirito nella ricerca delle forme di organizzazione collettiva. Disfatta percepibile un po’ in tutto il pensiero liberale contemporaneo, che trova forse la sua più sincera manifestazione ideale quando si afferma che il liberalismo è un metodo. Ma intendendo: il metodo di una ricerca infinita (e fin qui, passi) su una realtà naturale e sociale che si dà per infinitamente inconoscibile.

Chiaro che da un simile stato della psiche scaturiscano poi sentimentalismo e cinismo, piaggeria e cinica violenza dominatrice, quale testimonianza della perdita della direzione centrale dell’anima.

Si crea così un alveo [6] nell’interiorità della gente della legge aristotelica che diviene, in certi esseri, permeata e permeabile alle istanze della gente della legge salomonica, la gente del Tempio di Gerusalemme. Gli accordi Sykes-Picot (1916) e la dichiarazione Balfour (1917) altro non sono che la declinazione del cinismo dei dominatori, del sentimentalismo del principio di nazionalità che si eccita, mentre contraddice quel che promette alla rivolta araba, a contatto con l’antica suggestione dell’ebraismo. Antica suggestione mutata in forma nazionalistica dal sionismo, ma affine al tessuto interiore di alcuni dirigenti dell’Europa e dell’Occidente, tessuto in cui hanno spazio le sètte eredi – con altre – del fantasma del Tempio.

Si manifesta, in un torno di tempo brevissimo, fra il 1916 ed il 1919, la collaborazione fra la gente subordinata alla legge aristotelica e quella soggetta alla legge del Tempio: si manifesta quindi anche la seconda ombra del nostro tempo.

Ma nello stesso periodo assume forme ulteriori ed inedite anche la terza ombra, quella dell’Impero Romano. E come? Dagli stentati inizi della Società delle Nazioni, all’ONU, alla pletora di istituzioni umanitarie, economiche, politiche mondiali, fino all’aperta proclamazione di un Nuovo Ordine Mondiale. E’ bene non farsi fuorviare dalla successione ed intersecazione degli apparati istituzionali, ma guardare invece allo spirito che ad esse presiede. Spirito che è il precipitato di sentimenti umanitari richiamanti diritti naturali coerenti con la versione exoterica (sia cattolica che protestante) del cristianesimo. Ma spirito imperiale romano, in quanto pretesa ad una norma universale che vuole incardinare tutti i popoli ad un corpus giuridico unitario, in cui si riconoscono anche le istituzioni ecclesiastiche.

Che poi nel tempo, progressivamente, la reale sovranità, e quindi il braccio armato, passi ad una classe dirigente specifica, quella statunitense, non è che la manifestazione del fatto che essa è quella che meglio incorpora – nelle forme attuali – la manifestazione delle tre ombre, del passato che non vuole passare e cerca di rivivere suggendo energie (spirituali E materiali) al presente e, quindi, al futuro.

E questo forse anche in grazia della sua composizione mista, del suo non avere una lunga tradizione storica. Tradizione che, insieme alla volontà di perseguire linee d’azione autonome, osta all’accettazione delle estreme conseguenze dell’aristotelismo arabistico e dell’ombra del Tempio da parte – ad esempio – di alcune componenti delle Chiese; che rende ardua la sottomissione ad una giuridisdizione universale da parte dei più diretti esponenti della corrente spirituale del Tempio, a meno che di tale giurisdizione non siano essi stessi i padroni; che desta più di qualche fremito, e nei confronti del Tempio e nei confronti del nuovo “cattolicesimo”, in coloro che non sono immemori del senso originario della modernità, quale impulso alla libertà dell’individuo, dei popoli e della vita economica. Fremiti soltanto, tuttavia, perché il vincolo arabico-aristotelico ricorre in molti di essi, e ne depotenzia il pensare e l’agire.

Non stupisce perciò che gli S.U. siano progressivamente subentrati alle potenze coloniali europee, ed in particolare a quella britannica. Forse non è casuale nemmeno il fatto che la spinta statunitense a demolire l’Impero britannico trovi energica incarnazione operativa in un cattolico americano, democratico, il generale Donovan, capo dell’OSS [7]. Dietro la pulsione moralistica, democratica e anticolonizzatrice si instrada, mancando un autentico e condiviso impulso morale, l’affarismo come strategia di dominio.

Moralismo ed affarismo marciano di pari passo anche nei rapporti con i popoli arabi, a cominciare dalla fondazione dell’Aramco [8] per finire all’appoggio accordato alle classi dirigenti più retrive per contrastare la penetrazione comunista, ma con essa anche i pochi vettori di modernizzazione che il Vicino Oriente ha conosciuto.

In un testo datato, e perciò interessante, le componenti del processo di modernizzazione araba, in riferimento al nasserismo, sono così descritte:

“Le fonti culturali che troviamo in esso variamente combinate a formarlo nella sua specificità e a darvi una capacità di presa che non ha eguali nel mondo arabo contemporaneo sono infatti: 1) il richiamo alla tradizione del nazionalismo ‘classico’, affermatosi sin da prima della guerra mondiale ‘14-’18 e poi contro l’Impero turco, nazionalismo laicistico e riformatore che si ispirava alle correnti più aperte del liberalismo europeo; 2) l’attivismo organizzativo, l’appello alla tradizione musulmana e la condanna della corruzione spirituale d’importazione straniera che furono tipici delle confraternite religiose del genere della Fratellanza musulmana; 3) l’orientamento dinamico e costruttivo delle cerchie di giovani ufficiali, portavoce effettivi, non solo in Egitto, ma, come si vedrà, in Irak, Siria, Yemen e Giordania, della spinta modernizzatrice della borghesia industriale in formazione; 4) la serietà nell’elaborazione, la devozione alle classi popolari, lo spirito di coerenza e la carica rivoluzionaria dei quali erano specialmente improntati i circoli dell’intellettualità progressista, gli studenti vicini al marxismo, le avanguardie operaie conquistate all’ideale comunista.” [9]

Liquefattosi – non a caso, come non a caso ne era stato permesso l’avvento – il comunismo, combattuta la modernizzazione con la doppia spada dell’anticomunismo e dell’antinazionalismo e dei diritti umani, pagati tutti quelli che si potevano pagare, è conseguente che nel mondo arabo sia rimasta vitale soltanto la spinta religiosa.

Ma a quale livello? Poiché non vi è progresso verso la modernità, ossia verso lo stadio della libera autocoscienza, non può che esservi regresso, verso stati istintivi, con il degrado della stessa religiosità islamica ad un atavismo allucinato. Perché ciò che in essa vi era di pertinente al livello razionale (cioè di confronto lucido con il mondo, ma ancora non pienamente con sé stessi) [10], e forse capace di evolvere verso l’autocoscienza, ritorna dall’esterno in una forma catafratta di astrattezza, rigida normazione, dominazione e guerra, e dunque sprofonda quei popoli verso il passato. A meno che essi non accettino la vulgata occidentale della modernità, classi dirigenti imposte o sorrette e pagate, presenze straniere.

Le identità dei popoli in cerca di una propria coscienza, non trovandola insorgono: non trovando un’

Auctoritas, bensì un Imperium – e per di più un Imperium in parte nascente dal loro antico percorso spirituale.

L’elemento autoctono si ribella, opaco e magmatico, in Iran. E poi in Afghanistan. E un po’ ovunque vi siano dei diseredati (nello spirito, nella politica e nell’economia), il semplicistico messaggio dell’Islam fondamentalista si diffonde e crea solidarietà: anche questa, circostanza che non stupisce, perché, orbato dell’aristotelismo, l’Islam come religione ha una identità fragile, di monoteismo derivato, donde sorge la sua capacità di connettere popoli di civiltà diverse, come già fu nello splendore in passato, e come lo è nella buia bassura del presente.

L’arabismo contro gli arabi, dunque, anche se probabilmente come obiettivo intermedio per un disegno geostrategico di aggiramento dell’Hearthland [11] per il tramite del Maghreb, del Vicino Oriente, dell’Iran e del Turan, sperando di stabilizzare nello spazio arabo in frantumi una più forte catena di Stati-presidio a sorvegliare i riottosi.

Ma soprattutto in vista del compimento di un disegno spirituale globale, in modo che le tre ombre, congiunte in una, possano allargare il loro dominio fino agli estremi confini del mondo – in modo che le macerie interiori dell’antichità possano prevalere sulla modernità libera, quale fra gli altri la intese a livello globale Giuseppe Mazzini. Estensivamente, fino a quelle terre finora solo marginalmente toccate, come la Cina. Intensivamente, per i popoli che, “educati” dal socialismo, vengono ora “rieducati” all’Occidente, come quelli slavi. In modo definitivo, per quelli che in Europa ancora esitano: i molti troppo legati ad una singola ombra, i pochi non convinti da nessuna.

Per costoro è da ricordare che la missione del Centro si connette alla presenza dell’Io, nell’elaborazione di una scienza quale fu in parte prefigurata anche da Goethe, nella costruzione di forme di organizzazione collettiva rispondenti al retto intendimento dell’istanza spirituale contenuta nei principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza. Se si vuole avere un’immagine appena sbozzata, ma storicamente documentata, di quello che avrebbe dovuto essere il Centro, se ne può trovare qualche traccia in Prussia fra il 1810 ed il 1820. E’ possibile vedere come l’impulso interiore della cultura tedesca classica avesse cominciato a dare frutti in ogni àmbito. Mette qui conto citare l’ambiente di cui fecero parte i due fratelli von Humboldt, Von Stein, Clausewitz: un ambiente in cui molto fu elaborato, dalla teoria dello “Stato minimo” di Wilhelm von Humboldt, alla riforma militare di Scharnhorst, agli studi naturalistici e geografici di Alexander von Humboldt [12]. Molto fu elaborato insomma di una modernità cosciente, aperta alla libertà, patriottica ma non nazionalistica, progressiva nella socialità [13].

Da queste premesse, in un punto interiore che probabilmente si situa all’epoca dell’Impero guglielmino (ma certo deriva dall’incomprensione che l’Idealismo filosofico tedesco ebbe della sua essenza), il Centro precipita in una crisi politico-culturale di cui sono sintomatiche, più ed oltre che le invettive, le non di rado desolate cronache di Nietzsche sulla cultura a lui contemporanea. La Germania che si presenta alla svolta del secolo XX è, ed è possibile dimostrarlo in sede storica, una Germania occidentalizzata, soprattutto nei suoi ceti dirigenti. E’ una Germania che, in politica, imita la Gran Bretagna, dietro cui premono le forze statunitensi.

La vittoria occidentale nella Prima Guerra Mondiale (vittoria politica e spirituale) [14] ha conseguenze, che forse solo oggi possiamo apprezzare nella loro interezza, sull’accesso alla modernità dei popoli extraeuropei e quindi degli arabi e degli altri popoli islamici. La vittoria del 1918 infatti fa sì che una parte del mondo islamico, i popoli arabi, incontri un ecumene spirituale che si presenta come portatore di libertà e di modernità: ma non di tutta la libertà e la modernità, bensì della sua versione occidentale. Quello che è avvenuto in Europa nella fase di emersione dei ceti inferiori, ossia la mancata o negativa educazione che essi hanno avuto dai ceti superiori [15], è avvenuto ancora nell’incontro e nei rapporti fra popoli arabi e modernità occidentale. E cioè: una richiesta di autonoma coscienza, di libertà, di rinnovamento degli ordinamenti collettivi ha incontrato un interlocutore, duplicemente vittorioso sul Centro e incapace di dare la giusta risposta.

La risposta che ancora manca è ciò che pesa come un macigno nelle relazioni fra popoli arabi, Islam, e – in misura e forme diverse – popoli sottosviluppati dell’Asia e dell’Africa, da una parte, e Occidente tutto, dall’altra. E manca perché manca il Centro, di cui l’Italia fa parte a pieno titolo.

Per questa ragione va tenuto ben presente che il Risorgimento italiano ed i suoi protagonisti ebbero risonanza anche sull’altra sponda del Mediterraneo [16]. Al di là della colonizzazione in Libia, al di là della particolare posizione del regime fascista riguardo al mondo arabo, resta il fatto che la nostra responsabilità interiore e politica verso quei popoli è grande.

E’ ora che essa dia luogo ad un agire spirituale, intellettuale e quindi pratico del tutto inedito, capace di generare nuove forme politico-sociali più forti dell’allungarsi delle tre ombre del passato che non passa sull’epoca contemporanea, e tenta di chiudersi come una pietra tombale su tanti esseri incolpevoli.-

[1] R. STEINER, Geschichtliche Notwendigkeit und Freiheit. Schicksalseinwirkungen aus der Welt den Toten, O.O. 179, trad. it. parziale in Il Mistero della Volontà Umana, ed. Arcobaleno, Oriago di Mira, 1986, p. 34

[2] A. CAVE BROWN, Bodyguard of lies, Macmillan, New York, 1977

[3] R. STEINER, Come ritrovare il Cristo?, Antroposofica, Milano 1988, in particolare la seconda e la terza conferenza

[4] R. STEINER, La missione delle singole anime di popolo, Antroposofica, Milano 1983, p. 163: “ I grandi successi storici della Gran Bretagna sono da ricondursi al fatto che nell’io si impresse l’impulso dell’anima cosciente. Anche la fondazione della forma esteriore del diritto pubblico è in relazione con la missione storica dei paesi britannici. Il collegamento dell’anima cosciente con l’io non esisteva ancora interiormente, ma riuscendo a vedere come sia avvenuto questo collegamento dell’anima cosciente con l’io sospinto verso l’esterno, si troverà che le grandi conquiste storiche della popolazione di quell’isola provengono da questo impulso. Si troverà però che anche l’istituzione delle forme parlamentari di governo ivi introdotte diventano meglio comprensibili quando si sappia che con esse doveva venir instaurato un impulso dell’anima cosciente nel piano della storia.”

[5] A.CAVE BROWN, “C”, The secret life of Sir Stewart Graham Menzies Spymaster to Winston Churchill, Macmillan, New York, 1987, pp. 31-41. Vi si afferma fra l’altro: l’”obiettivo era di creare dai figli di importanti personalità, che avrebbero altrimenti potuto diventare dei Filistei, l’equivalente britannico dei guardiani platonici dello Stato, una ideale forma d’uomo che Platone sceglie ‘per difendere lo Stato in guerra quando sono giovani, e dai quali, quando sono più anziani, vorrebbe selezionare i più capaci per la funzione di magistrati, capi, e legislatori’”.

[6] D. CANNADINE, Decline and Fall of the British Aristocracy, 1990, trad. it. Declino e caduta dell’aristocrazia britannica, Mondadori, Milano 1991. È un’opera molto esplicativa sulla situazione culturale, politica ed economica della nobiltà britannica, e contiene più di un’indizio della sua situazione spirituale, anche riguardo a figure decisive quali Lloyd George e Churchill

[7] A. CAVE BROWN, Wild Bill Donovan, the last Hero, Times Books, New York, 1982

[8] id., Aramco, Times Books, New York, 1999

[9] G. VALABREGA, La rivoluzione araba, Dall’Oglio, Varese 1967, pp. 188-189

[10] E’ da ricordare che il problema gnoseologico sorge in Europa in modo esplicito nel XVII secolo, come è facilmente constatabile da qualunque storia della filosofia

[11] La nozione è di H. Mackinder, Democratic Ideals and Reality, 1904. Per l’importanza del pensiero di Mackinder nella definizione della strategia americana durante la Seconda Guerra Mondiale e successivamente ad essa, si veda A. CAVE BROWN, Wild Bill Donovan, cit., p. 698, p. 800 sgg.

[12] C. MALANDRINO (a c.), Politica, scienze e cosmopolitismo – Alexander e Wilhelm von Humboldt, Angeli, Milano 1997

[13] G. E. RUSCONI, Clausewitz il prussiano, Einaudi, Milano 1999: offre una buona ricostruzione del periodo

[14] R. STEINER, I punti essenziali della questione sociale, Antroposofica, Milano 1980, p. 118: “Lo sfacelo della potenza militare fu accompagnato da una capitolazione spirituale. Invece di rimettersi, almeno in quel momento, ad una valorizzazione, mossa dal volere europeo, degli impulsi spirituali del popolo tedesco, si venne alla semplice sottomissione ai quattordici punti di Wilson.”

[15] R. STEINER, op. ultima cit.

[16] G. VALABREGA, op. cit., p. 19: “tanto nei territori alle dipendenze della Turchia (Irak, Palestina, Siria e Libano), quanto nei territori coloniali strappati alla sovranità del sultano le esigenze derivanti dalla cattiva condizione economica, dalle deficienze burocratiche ed amministrative combinandosi con l’oppressione politica spingevano tra la fine del secolo e gli inizi del ‘900 ad un rapido sviluppo dei nuclei, dei movimenti, dei centri di discussione, dei giornali e delle riviste che ispirandosi alle rivoluzioni nazionali europee della metà dell’800, richiamandosi esplicitamente a quegli ideali democratici, facendo riferimento ai moti risorgimentali dell’Italia, della Grecia o dell’Ungheria, auspicavano attraverso multiformi progetti una rinascita araba.”

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