Speciale G8: i risultati della commissione parlamentare

Presentiamo i risultati della Commissione parlamentare sui fatti di Genova: dapprima il documento ufficiale votato dalla maggioranza, quindi le considerazioni alternative dell’opposizione raccolte in un articolo de il Manifesto.

Documento di maggioranza: considerazioni conclusive.

Il Comitato, a conclusione degli accertamenti svolti, rileva che non sorgono dubbi sulla positiva riuscita del vertice G8 svoltosi a Genova. Il vertice ha infatti conseguito tutti gli obiettivi prefissati sia sotto l’aspetto dei contenuti, sia sotto l’aspetto logistico amministrativo, sia sotto quello della tutela dell’ordine pubblico, nonostante talune inerzie riferibili al precedente Governo nella fase organizzativa (formazione del personale delle Forze dell’ordine e rapporto con le associazioni antiglobalizzazione).

Tale risultato deriva dalla scelta del Governo Berlusconi di mantenere l’agenda predisposta dal Governo Amato, sviluppandola e integrandola, attraverso il coinvolgimento dei Paesi poveri nelle iniziative rivolte al loro sostegno, a tutela dei diritti umani e della difesa ambientale. Tali tematiche hanno incontrato l’adesione dei Paesi partecipanti al vertice e sono divenute, da proposte di lavoro dell’Agenda italiana, effettive conclusioni politiche del vertice medesimo. E’ da rilevare che per la prima volta sono state riconosciute meritevoli di particolare attenzione, in sede di vertice G8, tematiche in fondo non distanti da quelle che hanno animato le parti realmente pacifiche dei gruppi antiglobalizzazione. È da auspicare al riguardo che tale occasione di confronto su di un comune terreno non sia andata totalmente dispersa, ma anzi sia possibile in futuro riannodare un dialogo.

Alla luce delle varie audizioni e dei dati acquisiti il Comitato intende sottolineare che il Genoa Social Forum (GSF) costituiva un movimento composito nel quale convivono:

• un’anima pacifista e non violenta formata prevalentemente da movimenti di ispirazione cristiana che hanno come obiettivo la testimonianza delle ragioni dei poveri della Terra nei confronti dei processi di globalizzazione economica;
• un’anima “politicizzata” che si manifesta in una varietà di atteggiamenti che vanno dal disturbo inteso come violazione simbolica, al sabotaggio dei processi decisionali (nel caso di Genova la parola d’ordine era “violare la zona rossa”);
• un’anima violenta nella quale rilevanti segmenti di quella politicizzata (ad es. tute bianche e centri sociali) pongono in essere azioni seriamente aggressive nei confronti dei rappresentanti istituzionali, pretendendo di giustificare tali illeciti comportamenti con un ricorso strumentale e distorto al concetto di disobbedienza civile;
• un’anima guerrigliera, dove la logica del sabotaggio si trasforma in attacco finalizzato a creare danni concreti, a cercare lo scontro diretto e a provocare la sollevazione di piazza.

In una situazione di questo tipo la linea scelta dal Governo Berlusconi e l’azione delle Forze dell’ordine sono state, sul terreno dell’ordine pubblico, certamente positive. Il Governo Berlusconi si è posto l’obiettivo di dialogare con il GSF in modo da consentire da un lato il sereno svolgimento dei lavori del G8 propriamente detto e dall’altro la piena tutela del diritto di esprimere e manifestare pacificamente ogni dissenso. In tale ottica, si è anche provveduto a stanziare fondi per l’accoglienza e a impartire precise direttive alle Forze dell’ordine per una gestione moderata e ferma dell’ordine pubblico. Da qui, anche, l’impegno a difendere con la massima efficacia la “zona rossa” con lo schieramento di ingenti forze di Polizia e a controllare lo svolgimento delle manifestazione le quali, quando sono state pacifiche (per esempio “migranti”, “cub”, “donne iraniane”), hanno avuto il loro naturale corso.

Le Forze dell’ordine hanno profuso il loro massimo impegno, pagando a duro prezzo anche sul terreno della incolumità fisica. Non va sottaciuto che il coordinamento a talvolta messo in evidenza carenze e sfasature. Vi è da dire comunque che le Forze dell’ordine hanno dovuto affrontare circa 10.000 violenti (all’interno di un’area di manifestazione di oltre 100.000 persone). Un numero di violenti del tutto imprevisto ed imprevedibile. E ciò anche a causa del doppio gioco praticato da una parte del GSF. Le Forze dell’ordine si sono trovate di fronte all’esplosione di una autentica guerriglia urbana, variamente modulata, per la sua radicalità e per il suo svilupparsi all’interno di grandi cortei, avrebbe potuto portare ad un bilancio ben più grave di quello registrato. Infatti, per tutta la durata del G8, l’anima violenta ed eversiva dei manifestanti, si è avvalsa della tolleranza di parte dei dimostranti pacifici. Da costoro non è stato posto in essere alcun concreto comportamento volto alla segnalazione, all’isolamento, o all’espulsione di violenti o eversori, ai quali è stato consentito di muoversi con i cortei o ponendosene alla testa o, il più delle volte, occultandosi al loro interno, entrandone ed uscendone a piacimento. Ciò ha reso impossibile il ricorso per le Forze dell’ordine, alle consolidate tecniche di controllo dei cortei, prevenzione dei disordini, isolamento dei violenti e tutela dei dimostranti pacifici; le ha esposte ad attacchi proditori e ne ha spesso vanificato l’operato. L’uso strumentale e distorto del concetto di disobbedienza civile da parte di un’area insieme violenta ed ambigua finisce con il trascinare molti dei non violenti a comportamenti che provocano la risposta delle Forze dell’ordine e conducono allo snaturamento dell’anima pacifista, profonda e genuina del movimento nelle sue componenti realmente non violente, che certamente sono una parte cospicua dell’aerea della contestazione.

Va inoltre sottolineata l’esigenza emersa nel corso dell’indagine di promuovere per il futuro un maggior coordinamento tra le forze dell’ordine e di favorire altresì, anche mediante iniziative per l’armonizzazione del quadro normativo internazionale, una più efficace cooperazione tra le istituzioni preposte nei singoli Paesi all’attività di informazione e prevenzione.

Tutto ciò premesso, il Comitato ritiene di evidenziare quanto emerso in relazione ai tre episodi più discussi. Quanto ai disordini di via Tolemaide si osserva che il corteo fu respinto allorché, una volta giunto quasi a contatto con i cordoni della polizia, al termine dell’itinerario non vietato, si trasformò in un corteo violento, aggredì le forze dell’ordine e tentò la manovra di sfondamento degli sbarramenti. La situazione così creata, con il passare delle ore, a seguito dell’iniziativa dei manifestanti generava una serie di scontri ulteriori, violenti e disordinati in tutta l’area, e causava tra l’altro l’assalto di Piazza Alimonda e via Caffa. È in tale contesto che veniva aggredita, dopo essere rimasta isolata la Land Rover, con a bordo i tre carabinieri, venutisi così a trovare a rischio della propria vita. Il Placanica estraeva la pistola di ordinanza ed esplodeva un colpo che uccideva il giovane Carlo Giuliani nell’atto di scagliargli contro un estintore. Così si verificava ciò che non sarebbe mai dovuto avvenire: la perdita di una vita umana. La causa fondamentale sta nella cieca violenza esercitata dai gruppi estremisti che mettono a repentaglio l’esistenza di giovani che vengono coinvolti nelle loro iniziative criminali. In questo quadro così negativo emergeva un unico elemento positivo rappresentato dal ruolo svolto dal padre del Giuliani che, con grande senso di responsabilità e spirito civico, indirizzava ai manifestanti un appello alla ragione e si impegnava a riappacificare gli animi. Al padre di Giuliani il Comitato esprime il suo profondo e sentito cordoglio.

Relativamente all’episodio della scuola Pertini (ex Diaz), il Comitato rileva la legittimità del comportamento tenuto dalle Forze di polizia. Si rilevano altresì alcuni difetti di coordinamento sul piano decisionale ed operativo (legati in special modo alla linea di comando ed al suo funzionamento). È apparso evidente dalle audizioni e dal materiale acquisito che alla perquisizione si decise di procedere nella fondata convinzione che presso l’istituto fossero occultate armi. Così come è, inoltre, emerso con chiarezza che a ragione fu predisposta una forza operativa adeguata a fronteggiare una decisa resistenza all’atto. Tale determinata resistenza alla polizia è, infatti, ampiamente documentata in atti e fu tale da comportare una decisa forza per vincere e superare la condotta degli occupanti, al fine di tutelare la stessa incolumità del personale e di conseguire gli obiettivi dell’attività di polizia giudiziaria.

Va detto che dal complesso delle attività svolte dal Comitato sono emersi dati relativi a taluni eccessi compiuti da singoli esponenti delle Forze di polizia. L’accertamento dei fatti è demandato all’autorità giudiziaria competente sulla cui attività il Comitato non può e non intende interferire.

Quanto ai fatti verificatisi nella Caserma di Bolzaneto, il Comitato ritiene debba procedersi a singoli rilievi. In primo luogo, si osserva che nulla è possibile eccepire circa la necessità e la legittimità della creazione di siffatta struttura (e di quella analoga della caserma S. Giuliano), così come nulla è dato rilevare circa la palese legittimità anche amministrativa della gestione effettuata da parte della polizia penitenziaria. In special modo, dal punto di vista della gestione amministrativa nulla può essere eccepito circa il pieno rispetto delle regole e delle prassi concernenti le visite mediche, le perquisizioni e le ispezioni personali degli arrestati e circa le modalità del loro trattenimento in attesa di traduzione al carcere, sempre finalizzate al mantenimento dell’ordine tra gli arrestati nel rapporto, comunque difficile, tra gli arrestati e tra loro ed il personale operante. Le lamentele circa i tempi lunghi nella struttura sono da attribuire al numero significativo degli arrestati, alla loro contemporanea confluenza e alla inopinata scelta di ridurre da sette a due i luoghi di ricezione. Per quanto attiene le presunte violenze, sulla cui effettiva perpetrazione esiste un’indagine giudiziaria in corso, si ritiene di attendere come per la Diaz-Pertini, gli accertamenti dell’Autorità Giudiziaria. Fermo restando che gli episodi cui si fa riferimento, se veritieri, rivestono carattere di vera gravità, corre l’obbligo di richiamare le denunce della Questura di Genova, che a seguito di intercettazioni ambientali avrebbe acquisito elementi circa la preordinazione strumentale da parte di taluni degli arrestati di accuse infondate da parte degli operanti.

Il Comitato a conclusione dell’indagine, ribadisce che la violenza non è e non deve essere strumento di azione politica e che in un Paese democratico la legalità è un valore fondamentale e nel contempo sottolinea un richiamo forte all’inviolabilità dei principi costituzionali di libertà di manifestazione del pensiero, di rispetto della persona soprattutto, quando privata della libertà perché in arresto, nonché della tutela necessaria alla sicurezza dei cittadini e dell’ordine pubblico, auspica che, ove emergano fatti di rilevanza penale o di violazione disciplinare, l’autorità giudiziaria e gli organi amministrativi identifichino i responsabili e ne sanzionino i comportamenti.

Tratto da “il Manifesto”: Genova, l’altra verità dell’Ulivo, di Ida Dominijanni

Genova, 20 luglio 2001, ore 11.30 o poco più. Un corteo di black blocker si dirige da via Rimassa e corso Torino a piazza Da Novi, dov’è in corso il presidio dei Cobas. I black incendiano cassonetti, erigono barricate, attaccano i carabinieri; per non restare coinvolti i cobas si ritirano a piazzale Kennedy. I carabinieri si fermano, i black devastano l’area Bank, danneggiano un distributore, fuggono verso via Nizza passando davanti alla guardia di finanza che non interviene. Non interviene neanche il battaglione speciale Tuscania, che, com’è stato detto in una delle audizioni eccellenti del comitato parlamentare d’indagine, “sbagliò strada” in un punto in cui, direbbe Lucio Dalla, non si perde neanche un bambino. In compenso i carabinieri circondano i cobas. I black intanto si dirigono a via Palermo, sempre bruciando auto e cassonetti qua e là, e poi a via Tolemaide, dove danno il meglio di sé: parata con bandiere nere e tamburi a uso di tutte le tv, con i carabinieri nella parte degli spettatori. Poi se ne vanno in corso Sardegna, attaccano con agio un ufficio postale e un supermercato. In via Canevari assaltano un altro distributore sotto un orologio che segna le 14.20: scorrazzano da quasi due ore e nessuno è intervenuto. Si dividono in due, un gruppo va all’assalto del carcere di Marassi davanti ai carabinieri che arretrano, il secondo va a scatenare il caos nella piazza tematica di piazzale Manin, dove i carabinieri invece dei black caricheranno le femministe e i pacifisti. Nel frattempo, in via Tolemaide i nostri hanno fatto il loro capolavoro. Sta arrivando – atteso – il corteo delle Tute bianche, preceduto dal gruppo di contatto. E’ disarmato, neanche una mazza. Un gruppo di black si attarda in via Torino, passa attraverso il gruppo di contatto e imbocca il tunnel sotto la ferrovia. Ma i carabinieri non lo inseguono: caricano invece il corteo delle tute bianche. Che è immobile: non un sasso né una bottiglia né una molotov contro le forze dell’ordine. Piovono lacrimogeni, aumentano le cariche, sono arrivati i blindati. E’ l’inizio del caos che in breve, con l’assassinio di Carlo Giuliani, volgerà in tragedia.
Tutto questo è stato proiettato ieri mattina nella sala stampa del senato, a corredo della presentazione del contro-documento con cui il centrosinistra si contrappone, per una volta decisamente, alla “irricevibile” relazione conclusiva stilata dal presidente forzista del comitato d’indagine Donato Bruno (e – ieri stesso – approvata a maggioranza nelle commissioni affari costituzionali della camera e del senato). E la proiezione del filmato di Davide Ferrario – il regista di Tutti giù per terra e Guardami – , con tutte le cartine, gli orari e le freccette bene in ordine, non solo è un atto d’accusa implacabile, ma è la seconda irruzione – dopo quella dell’audizione di Agnoletto e Casarini – di un linguaggio “altro” nel linguaggio paludato e rarefatto delle istituzioni. E, per la seconda volta, l’irruzione colpisce nel segno. Prima, avevano colpito le parole dei senatori dell’Ulivo, Bassanini e Jovene per i Ds, Turroni per i Verdi, Petrini per la Margherita. Non c’erano a Genova, loro, non avevano tesi preconcette quando il comitato ha cominciato a lavorare. Sono i fatti, le audizioni e le omissioni e le contraddizioni, i filmati e i documenti, i rapporti di polizia che li hanno convinti, via via, di come sono andate le cose. Hanno lavorato collegialmente sulle fonti, qualcuno – Turroni – visionando i filmati (di Ferrario, di Mediaset, di Indymedia…) giorno e notte per ricostruire i fatti. E l’interpretazione è chiara. Per due giorni i black agirono indisturbati (e sì che Sisde e questura sapevano in anticipo come si sarebbero mossi), mentre venivano caricati cortei autorizzati e pacifici, i quali a loro volta tentarono di difendersi da soli dai black. Fine del teorema della violenza e della connivenza del movimento coi violenti.
E non fu solo inettitudine o inefficienza delle forze dell’ordine: Bassanini elenca responsabilità politiche pesantissime. “L’intollerabile tentativo” del centrodestra di criminalizzare il movimento. L’altrettanto intollerabile tentativo – segnatamente di An – di stabilire un rapporto di “patronage” con le forze dell’ordine rompendone la relazione di fiducia con la società. La volontà di An di precostituire una situazione in cui “il disordine diventava necessario” (così recita il documento) per legittimarsi come tutrice dell’ordine, superando largamente in zelo l’impostazione di Scajola e Ruggiero (ma su questo punto resta, nel documento, una sottovalutazione della compattezza complessiva della maggioranza nella gestione e nella ricostruzione dei fatti). Le violazioni di diritti costituzionali fondamentali, in piazza, alla Diaz e a Bolzaneto. La concordia su questa linea interpretativa non ha risparmiato tuttavia ai membri di centrosinistra del comitato un corpo a corpo durato undici ore, dalle 17 di mercoledì alle 4 del mattino, sulla “limatura” del testo. Due i punti di maggior contenzioso: il giudizio sulle forze dell’ordine e quello sul Gsf. L’inattaccabilità del capo della polizia De Gennaro, decisa da sempre da Luciano Violante, fa sparire dal testo ogni riferimento alla sua audizione (e alle sue omissioni, compresa quella sulla autorizzazione del corteo delle tute bianche), e parecchi riferimenti a episodi specifici di violenza delle forze dell’ordine. Ma il giudizio più controverso resta quello sulla pratica della disobbedienza civile e sull’audizione di Casarini. Passa alla fine, e non senza tormento (ne riferiamo qui in basso) un’analisi di un Gsf diviso fra “buoni” (Agnoletto) e cattivi (Casarini) che fa protestare i parlamentari verdi presenti a Genova (Zanella, Cento, De Petris, Martone) contro il “teorema Violante”. Non è l’unica ribellione in atto. A Bassanini non è andato giù il tentativo, operato fino all’ultimo nella commissione affari costituzionali della camera, di arrivare a un preambolo comune con la maggioranza, “del tutto impraticabile con gente che fa paragoni fra il movimento no-global e bin Laden”. E non è tutto: i senatori dell’Ulivo non demordono dal continuare a lottare per ottenere, visto l’esito del comitato, quella commissione d’inchiesta con poteri giudiziari che i deputati considerano ormai inutile.

Print Friendly, PDF & Email