Due nuovi libri, Fine corsa di Jeremy Legget (Einaudi) e I giacimenti del potere di Guido Rampoldi (Mondatori), riaprono il delicatissimo problema energetico con analisi e interrogativi di particolare interesse.
Legget propone, da esperto di fama mondiale nella prospezione petrolifera, una disamina critica delle attuali riserve e la loro prevedibile evoluzione nel futuro. Con questa prospettiva analizza l’opacità esistente sulle stime delle riserve petrolifere mondiali (1) che costituisce il principale elemento di incertezza in cui sta annaspando l’intero sistema economico del Pianeta.
Gli attuali metodi di prospezione e calcolo permetterebbero ad equipes di esperti, che possano operare in condizioni di piena libertà sui giacimenti, di elaborare stime estremamente attendibili circa l’ammontare delle riserve attuali e di fare previsioni abbastanza puntuali per le future scoperte.
Il punto sta proprio qui. Ben pochi soggetti (privati e pubblici) sono disponibili ad accettare le regole di trasparenza. Gli Stati per motivi strategici, le multinazionali per ragioni di bilancio.
Tra questi, quelli meno propensi ad aprire i propri giacimenti a stime obbiettive, sono i Paesi Arabi detentori di oltre il 60% delle riserve ufficiali.
E’ risaputo quanto si è verificato durante il periodo 1985/1990.
In quell’epoca i paesi del Medio Oriente incrementarono le cosiddette riserve accertate di ben 300 miliardi di barili di petrolio affermando “uno dopo l’altro che fino a quel momento avevano stilato delle proiezioni nazionali troppo caute” (2)
Questi paesi decisero di operare in tal senso, quando in sede OPEC venne stabilito che ognuno dei paesi aderenti avrebbe potuto estrarre e vendere un ammontare di petrolio proporzionale alle riserve accertate. Da qui la corsa a gonfiare le cifre.
Queste stime sono state dichiarate inattendibili anche da persone che lavorano (o hanno lavorato) nelle stesse compagnie petrolifere nazionali dei paesi OPEC. E’ il caso di Samsan Baktiari della NIOC, International Iranian Oil Company (compagnia petrolifera iraniana), che asserisce: “ So per esperienza come vengono stimate le riserve nei principali paesi del Medio Oriente e OPEC e so che i metodi utilizzati hanno ben poco di scientifico, poiché questi paesi non dispongono delle conoscenze di base per eseguire analisi così complesse”.
“Egli critica ferocemente il rialzo di 90 miliardi di barili di petrolio delle riserve saudite e non è entusiasta nemmeno delle cifre fornite dal suo paese”.
“Alla fine del 1993 la BP Statistical Review dichiarava [per l’Iran] la stima di 92 miliardi accertati. Baktiari preferiva la stima effettuata da Ali Muhammed Saidi che aveva potuto constatare un volume di riserve accertate di soli 37 miliardi di barili”.
“Mamdouh Salameh, analista petrolifero della Banca Mondiale, concorda sul fatto che le stime sulle riserve dell’OPEC siano gonfiate di circa 300 miliardi di barili”.
L’Arabia Saudita, secondo stime più attendibili, potrebbe disporre di 130 miliardi di barili, anziché i 260 dichiarati come riserve accertate. (3)
A questo riferimento è utile rileggere quanto pubblicato su “Oil and Gas Journal” del 17 maggio 2004 circa le affermazioni di Sadad Al Husseini (ex direttore della Saudi Aramco, compagnia petrolifera di stato saudita) tendenti a difendere le attuali stime delle riserve accertate: “Considerando il fatto che le rocce serbatoio saudite, individuate ma sottosfruttate racchiudono 130 miliardi di barili delle riserve del regno, l’opinione che si potranno aggiungere nuove riserve derivanti da sviluppi futuri dei serbatoi [per ulteriori 130 miliardi di barili di petrolio] è una conclusione automatica ma non garantita”. (4)
Affermazioni del genere fanno riflettere anche i non eruditi del settore sulla effettiva scientificità delle stime definite “ufficiali”.
Ma l’opacità del sistema secondo Leggett si avvalora ancora di più quando si riesaminano le statistiche fornite dagli operatori del settore.
Una delle società più accreditate nella elaborazione di stime e calcoli sulle riserve petrolifere è la BP (British Petroleum, terza compagnia più grande del Mondo) che da oltre un secolo esplora il Mondo alla ricerca dell’oro nero.
Qui, ci fa notare l’autore, si possono avere sorprese sconcertanti.
La notissima “BP Statistical Review of World Energy”, fornisce l’andamento delle stime accertate globali, divise tra le nazioni detentrici, anno per anno.
Al 2003 esse ammontavano a 1147 miliardi di barili di petrolio.
Tuttavia tale statistica risulta essere una “..mera raccolta di dati forniti da altre aziende, che a loro volta li acquisiscono in gran parte di seconda mano” (5)
Leggett nota che la “BP Statistical Review of World Energy” contiene una scritta microscopica con questa dicitura: “Le cifre riportate non concordano necessariamente con le definizioni e le linee guide della SEC (Commissione di Controllo della Borsa Valori di New York) riguardo alle procedure di determinazione delle riserve e non rappresentano necessariamente l’opinione di BP riguardo alle riserve nazionali accertate”. Alla fine di questa statistica si legge inoltre: “BP si rammarica di non poter rispondere ai quesiti riguardanti i dati della Statistical Review of World Energy” (6)
Così la compagnia si esime dal fornire chiarimenti circa la statistica da essa stessa compilata che viene da tutti considerata la bibbia dell’energia dei ricercatori di tutto il Mondo.
C’è dell’altro. Sempre dall’analisi della BP si nota che le riserve dei paesi mediorientali sono rimaste praticamente immutate.
“Dal grafico NON si può notare, invece, che questa invariabilità sostanziale si riscontra non solo nella somma complessiva delle riserve dei paesi produttori di petrolio del Medio Oriente, ma anche nelle statistiche riguardanti le riserve delle singole nazioni.
Occorre riflettere sulla ENORMITA’ di questa coincidenza.
Significa che i miliardi di barili recuperati ogni anno grazie alla scoperta di nuove riserve dovrebbero corrispondere esattamente ai miliardi di barili prodotti ogni anno da ogni paese mediorientale membro dell’OPEC, procedendo con questo ritmo per più di un decennio.”
Anche un non esperto rimarrebbe assolutamente sconcertato da queste “coincidenze”.
“Il rapporto della BP ci invita a ritenere attendibili questi dati senza fornirci alcun commento e senza concederci la possibilità di fare domande”. (7)
Leggett continua in questa disamina riportando le valutazioni di una notissima personalità nel mondo petrolifero: Matthew Simmons, presidente di una banca d’affari con base a Houston, è stato uno dei consiglieri per l’energia di George W. Bush.
Simmons ha studiato i rapporti degli ingegneri petroliferi sauditi nei quali si segnala che la pressione dei giacimenti sta calando.
Egli afferma: “In un futuro più prossimo potremo assistere ad un crollo della produzione del 30/40% di questi giacimenti [i più grandi, quelli che assicurano la quasi totalità dell’estrazione saudita pari ad oggi 9,5 milioni di barili al giorno su di un totale di circa 84,5]. Per futuro prossimo possiamo intendere un lasso di tempo tra i 3 ed i 5 anni, ma potrebbe accadere addirittura domani”
Se la mancanza di trasparenza, fino ad arrivare in alcuni casi ad un comportamento menzognero, è diffuso in molti paesi produttori, dubbi ed interrogativi possono essere posti anche nelle stime delle più importanti majors petrolifere.
Lo scandalo della Dutch Shell avvenuto nel 2004 è, in proposito, piuttosto eloquente.
La società ha ammesso di avere volutamente sovrastimato le proprie riserve di oltre il 20%.
Un caso analogo si è verificato nel 2006 con la compagnia petrolifera spagnola Repsol (8).
All’epoca dello scandalo Shell il nuovo CEO della compagnia, Van Der Veer, espresse il sospetto che altre compagnie potevano avere gli stessi problemi della sua società. A tale proposito l’Economist concluse in un suo articolo: “Fra analisti e investitori circola la voce che Van Der Veer potrebbe avere ragione, perciò da qualche parte potrebbe prepararsi un altro grande scandalo sulle riserve petrolifere”.
Le considerazioni tecniche, le valutazioni contabili che possono aver annoiato per la loro prolissità ed elevata specializzazione sono state volutamente riportate per dare il senso di un processo di disinformazione in atto da tempo, tollerato fin ai più alti livelli (finanziari, politici) perché confacente agli interessi dei grandi centri di potere.
Questi intendono conservare l’attuale situazione che garantisce loro fiumi di danaro (si pensi ai profitti stratosferici delle majors petrolifere degli ultimi anni), conservazione degli attuali investimenti (relativi, in particolare, alsettore energetico e automobilistico), controllo politico e sociale tipico di una società che fonda le proprie prerogative di sviluppo e di ricchezza sul petrolio.
Il libro di G. Rampoldi citato all’inizio completa l’analisi fornendo un quadro dettagliato ed esauriente dei potentissimi equilibri di potere che si sono formati e consolidati sulla estrazione e distribuzione dell’oro nero e quanto potere di condizionamento abbia questa materia prima nei rapporti tra Stati sovrani così come nelle decisioni di politica interna e sociale.
Di fronte a queste imminenti minacce ed ai riflessi economici, sociali e politici che ne possono conseguire risulta drammatica l’incapacità politica di comprendere e gestire il problema.
Una seria politica energetica europea, come già sostenuto in altri nostri interventi ed un orientamento deciso a favore delle energie alternative con precisi impegni finanziari nella ricerca e nella diffusione di tali nuove fonti energetiche, rappresentano imperativi ineludibili da realizzare nel più breve tempo possibile.
Ma altrettanto ineludibile è che informazione e politica comincino ad affrontare questo problema, cardine del nostro sviluppo, in modo corretto e veritiero.
Se il servilismo ed il grado di collusione dei politici verso i santuari della finanza e dell’economia è così pronunciato da non voler vedere l’evidenza, occorre l’impegno di tutti affinché si cominci a costruire una società meno asservita agli idrocarburi e più orientata ad energie alternative e a modelli sociali diversi.
1) Si veda l’articolo “Pericolo petrolio” pubblicato su questo sito.
2) Leggett. pag. 65 op. cit.
3) Leggett. pag. 67 op. cit.
4) Leggett. pag. 102 op. cit.
5 e 6) Leggett. pag. 62 op. cit.
7) Leggett. pag. 64 op. cit.
8) Vedi “Il caso Repsol” allegato a “Pericolo petrolio”.