L’arte di farsi attaccare: IL MEMORANDUM McCOLLUM

Tecniche di provocazione del partito della guerra negli Stati Uniti dal 1896 ad oggi.

Prima parte: 1940 – IL MEMORANDUM McCOLLUM

“E’ un fatto documentato e di storico dominio, che il governo americano e l’apparato dell’intelligence militare in passato abbiano deliberatamente provocato atti di terrorismo contro sé stessi, prevedendo grosse perdite di civili e di militari, per giustificare successive azioni militari. L’esempio a cui pensiamo è Pear Harbor. Lo History Channel (USA) ha recentemente mandato in onda un documentario prodotto dalla BBC, Betrayal at Pearl Harbor che, utilizzando tra i vari materiali storici anche alcuni documenti americani ora resi accessibili, ha dimostrato che il presidente Franklin D. Roosevelt e i suoi massimi consulenti militari sapevano benissimo che il Giappone stava per sferrare un “attacco a sorpresa” contro gli Stati Uniti, in seguito alla provocazione di questi ultimi, ma consentì che l’attacco si verificasse, per giustificare l’entrata in guerra. Una dettagliata documentazione su questo fatto è stata fornita da Robert Stinnett, nel suo autorevole studio Day of Deceit: The Truth about FDR and Pearl Harbor. Stinnett ha prestato servizio nella marina statunitense dal 1942 al 1946 e gli sono state conferite dieci decorazioni sul campo e una Presidential Unit Citation”.

Così lo studioso inglese Nafeez Mosaddeq Ahmed in Guerra alla libertà: il ruolo dell’amministrazione Bush nell’attacco dell’11 settembre (1).

“E al dio degli inglesi non credere mai”, Fabrizio De André, Coda di Lupo, 1978

“Non sono uno storico di mestiere, però ricordo che non ci fu solo Alamo (2), ma anche la Maine (3) – lo abbiamo scoperto cent’anni dopo, che quella nave non l’avevano fatta esplodere gli spagnoli; e poi c’è stato il nostro intervento nella prima guerra mondiale (4), da cui l’Europa non è mai guarita (5); e Franklin Delano Roosevelt (6), che ha invitato i giapponesi a distruggere la nostra flotta a Pearl Harbor. Allora, non è giunto il momento di indagare su questo governo sovversivo che esiste all’interno del governo, e cioè il partito della guerra con i suoi spietati servizi segreti?”

John Paul Leonard

Tree of Life Publications

Prefazione a Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà

1. 1940: il memorandum McCollum

Il libro di Stinnett è stato pubblicato in italiano, con il titolo Il Giorno dell’inganno – Pearl Harbor: un disastro da non evitare, per i tipi del Saggiatore (Milano, 2001; l’edizione americana è del 2000). Il volume è pregevole per chiarezza e completezza, ed ha un apparato documentale di 167 pagine su 294 di testo. Da esso emerge la centralità di un documento, redatto dal capitano di corvetta Arthur H. McCollum il 7 ottobre 1940. McCollum era il capo del reparto dell’estremo Oriente dell’ONI (Office of Naval Intelligence). Ma lasciamo la parola a Stinnett:

“McCollum aveva una formazione perfetta per formulare le tattiche e le strategie contro il Giappone. Nato a Nagasaki nel 1898 da genitori missionari battisti, trascorse l’infanzia in varie città giapponesi. Capiva la cultura giapponese: ne aveva imparato la lingua prima ancora di imparare l’inglese. Dopo la morte del padre la famiglia ritornò in Alabama. A diciott’anni McCollum fu ammesso all’Accademia navale. Dopo la laurea il guardiamarina ventiduenne fu mandato all’ambasciata statunitense di Tokyo com addetto navale. Fece anche un corso di ripasso di giapponese. McCollum non era un pallone gonfiato, ma gli piacevano le feste e il drink preferito della comunità navale giapponese: lo scotch Johnny Walker con l’etichetta nera. Aveva sempre qualcosa da dire: dopo avere raccontato una lunga storia, faceva una pausa con la sua frase preferita, “in altre parole”, e ripartiva con una versione ancora più lunga…Il bollettino redatto dal capitano di corvetta McCollum nell’ottobre 1940, composto di cinque pagine (a cui ci riferiremo d’ora in poi come il bollettino delle otto azioni) propose un piano sorprendente, inteso a creare una situazione che avrebbe mobilitato un’America riluttante a partecipare alla lotta dell’Inghilterra contro le forze armate tedesche che stavano annientando l’Europa. Le otto azioni miravano ad incitare virtualmente un attacco giapponese nei confronti delle forze armate terrestri, aree e navali americane alle Hawaii, oltre agli avamposti coloniali olandesi nella regione del Pacifico.

Secondo i sondaggi d’opinione dell’estate del 1940, la maggioranza degli americani non voleva che il paese venisse coinvolto nella guerra con l’Europa. Tuttavia i capi delle forze armate e del ministero degli esteri concordavano nel ritenere che una Germania nazista vittoriosa avrebbe minacciato la sicurezza degli Stati Uniti. Avevano perciò la sensazione che gli americani avessero bisogno di una chiamata ad agire.

McCollum avrebbe rivestito un ruolo fondamentale in questo piano. Il suo nome in codice era F2. Controllò il percorso dei servizi informativi delle comunicazioni per FDR dal 1940 al 7 dicembre 1941, e fornì al presidente i rapporti di questi sulle strategie militari e diplomatiche giapponesi. Tutti i rapporti militari e diplomatici giapponesi destinati alla Casa Bianca, che venivano intercettati e decodificati, passavano dalla sezione Estremo oriente dell’Asia dell’ONI, che lui presiedeva. La sezione serviva da smistamento per tutti i tipi di rapporti dei servizi informativi, non solo del Giappone, ma di tutti gli stati dell’Asia orientale.

Ogni rapporto preparato da McCollum per il presidente si basava sulle intercettazioni radio raccolte e decodificate da una rete mondiale di crittografi delle forze armate e intercettatori radio americani. L’ufficio di McCollum faceva parte della stazione US, un centro crittografico americano segreto situato nel quartier generale principale della Marina, all’incrocio fra la Diciottesima Strada e Constitution Avenue N.W., a circa quattro isolati dalla Casa Bianca.[…]

Il bollettino delle otto azioni di McCollum era datato 7 ottobre 1940ed era stato indirizzato e spedito a due dei più fidati consiglieri militari di Roosevelt: i capitani della marina Walter S.Anderson e Dudley W.Knox. Anderson era il direttore dell’ONI[…]. Knox era d’accordo con il bollettino delle otto azioni di McCollum, e lo fece subito avere ad Anderson con il seguente commento moderato: “sono d’accordo con il suo piano. Dobbiamo essere pronti su entrambi i fronti e probabilmente abbastanza forti da badare ad entrambi”.[…] Il bollettino di McCollum termina con la firma di Knox. Benché la proposta sia indirizzata ad Anderson, l’autore non ha trovato alcuna traccia che indichi se lui o Roosevelt l’abbiano vista. In ogni caso una serie di registrazioni presidenziali segrete, oltre ad informazioni collaterali dei servizi informativi negli archivi della Marina, offrono prove definitive che l’avessero visto. A cominciare dal giorno successivo, con il coinvolgimento di FDR, i propositi di McCollum furono sistematicamente messi in pratica.

Per tutto il 1941, a quanto pare, spingere il Giappone a compiere un atto aperto di guerra era la principale politica che guidò le azioni di FDR nei suoi confronti. Direttive dell’Esercito e della Marina che contenevano la frase “atto diretto” furono spedite ai comandanti del Pacifico. I membri del gabinetto di Roosevelt, in particolare il ministro della guerra Harry Stimson, favorirono notoriamente quella politica, secondo il diario dello stesso Stimson. Le annotazioni che vi si trovano mettono Stimson insieme ad altri nove americani che conoscevano o erano associati con questa politica di provocazioni del 1941.

L’impronta di Roosevelt si può trovare in ognuna delle proposte di McCollum. Una delle più scioccanti era l’azione D, lo schieramento deliberato delle navi da guerra americane nelle acque territoriali del Giappone o subito fuori di esse. Nel corso degli incontri segreti alla Casa Bianca, Roosevelt si fece personalmente carico dell’azione D. Definì le provocazioni “missioni a sorpresa”:”Voglio semplicemente che sbuchino qua e là e che i giapponesi continuino a chiedersene la ragione. Non mi importa di perdere due o tre incrociatori, ma non voglio correre il rischio di perderne cinque o sei.

L’ammiraglio Husband Kimmel, il comandante della flotta del Pacifico, obiettò alle missioni a sorpresa affermando:”E’ una mossa sconsiderata, e compierla porterà alla guerra” (7).

Il resto del libro dimostra, con una documentazione a dir poco impressionante, le tesi appena riportate. Il quadro sociale e politico contemporaneo, e le ragioni di grande strategia politica, che dovevano condurre a Pearl Harbor, sono affrescate con vigore nel bel “romanzo” storico di Gore Vidal, L’Età dell’Oro, che, per inciso, fa espresso riferimento al memorandum McCollum (8). In Vidal, che da l’idea di sapere moltissimo della politica americana del XX secolo, si perde in precisione analitica quello che si guadagna in ampiezza complessiva.

Le analogie fra Pearl Harbor e la strage dell’11 settembre 2001 sono state suggerite da più parti. Nahfez Mosaddeq Ahmed fa anche riferimento all’operazione Northwoods, nel periodo della crisi di Cuba. Se ne dovrà parlare.

Abbiamo ritenuto opportuno tradurre integralmente il memoriale McCollum, in modo che il lettore possa farsi una idea diretta di che si tratta. Purtroppo, secondo uno strano vezzo, gli editori italiani hanno la propensione a non tradurre INTEGRALMENTE i documenti in allegato a certi tipi di studi, pur sapendo benissimo che non tutti sono in condizione di leggere l’inglese. Così ha fatto Il Saggiatore per Sinnett, e Fandango Libri per L’incredibile menzogna di Thierry Meyssan, che riporta per esteso la documentazione dell’operazione Northwoods (9). Tutt’al contrario, Lucia Annunziata, nel suo pur discutibile e alquanto flebile NO – la seconda guerra irachena e i dubbi dell’Occidente, ha avuto il garbo di proporre al pubblico italiano la traduzione integrale del documento sulla sicurezza cosiddetta nazionale di Bush del 17 settembre 2002 (10).

Al di là di questi dettagli, resta il fatto che il memorandum McCollum è un documento storico di interesse eccezionale. I contenuti sono talmente espliciti da non meritare apparentemente un commento. In realtà, essi sono di particolare spessore strategico, come ognuno potrà constatare. Stinnett ha analizzato il testo in maniera molto esauriente, e rimandiamo per intanto al suo libro.

E’ invece il caso di sottolineare la peculiare lucidità, sistematicità e sintesi con cui McCollum condensa la situazione mondiale dell’epoca. Da questo punto di vista, il suo è un documento che va letto con molta attenzione anche per l’aspetto lessicale e soprattutto per l’articolazione del pensiero: che è molto istruttiva, e molto simile ad elaborazioni analoghe dei giorni nostri.

OP-16-F-2 ONI (11) 7 Ottobre 1940

Promemoria per il Direttore

Oggetto: Valutazione della situazione nel Pacifico e proposte per l’azione degli Stati Uniti.

1. Gli Stati Uniti si trovano attualmente dinanzi ad una Germania e ad un’Italia ostili in Europa e ad un Giappone ugualmente ostile in Oriente. La Russia, grande collegamento terrestre fra questi due gruppi di potenze ostili, è al momento neutrale, ma con ogni probabilità è favorevolmente orientata verso le Potenze dell’Asse, e ci si può attendere che tale atteggiamento favorevole verso queste Potenze si accresca in modo direttamente proporzionale all’estendersi dei loro successi nel prosieguo della guerra in Europa. La Germania e l’Italia hanno avuto successo nella guerra sul continente europeo e tutta l’Europa è sotto il loro controllo militare o è stata costretta alla sottomissione. Soltanto l’Impero Britannico si sta opponendo attivamente con la guerra alla crescita del dominio mondiale della Germania, dell’Italia e dei loro satelliti.

2. Gli Stati Uniti sono rimasti in principio freddamente distaccati dal conflitto in Europa e c’è una considerevole evidenza a supporto dell’opinione che la Germania e l’Italia cerchino con ogni mezzo in loro possesso di alimentare il perdurare dell’indifferenza americana fino al risultato definitivo della lotta in Europa. Paradossalmente, ogni successo degli eserciti tedeschi e italiani ha accresciuto negli Stati Uniti la simpatia e l’aiuto materiale per l’Impero Britannico, al punto che al momento attuale il governo degli Stati Uniti si trova impegnato in una politica di fornitura di ogni aiuto, eccetto l’impegno militare diretto, unitamente alla possibilità in rapida crescita che gli Stati Uniti divengano in un futuro molto prossimo alleati a pieno titolo dell’Impero Britannico. Il fallimento (12) finale della diplomazia tedesca ed italiana nel mantenere gli Stati Uniti nel ruolo di spettatore disinteressato li hanno costretti ad adottare la politica di sviluppare minacce contro la sicurezza degli Stati Uniti in altre aree del mondo, e specialmente per mezzo della minaccia di rivoluzioni in America meridionale e Centrale, valendosi di gruppi controllati dall’Asse e sollecitando il Giappone a porre in essere ulteriori aggressioni e minacce in Estremo Oriente nella speranza che usando questi mezzi gli Stati Uniti diventassero così intellettualmente confusi e timorosi per la loro sicurezza diretta da portarli ad un tale stato di preoccupazione per la preparazione della sola difesa, in modo da precludere virtualmente qualsiasi forma di aiuto statunitense alla Gran Bretagna. Come ulteriore risultato di questa politica, la Germania e l’Italia hanno successivamente concluso un’alleanza militare con il Giappone contro gli Stati Uniti. Se i termini del trattato che sono stati resi pubblici e le dichiarazioni palesi dei leaders tedeschi, italiani e giapponesi sono credibili, e non sembra ci siano fondati motivi per dubitarne, le tre potenze totalitarie sono concordi nel muovere guerra agli Stati Uniti, possa essa scaturire dall’assistenza all’Inghilterra, o dal tentativo di interferire energicamente con gli obiettivi giapponesi in Oriente e, in più, Germania e Italia si riservano espressamente il diritto di determinare quale aiuto americano alla Gran Bretagna, a parte l’impegno bellico diretto, sia o no motivo di guerra una volta che esse avranno sconfitto la Gran Bretagna stessa. In altre parole, dopo che l’Inghilterra sarà stata sistemata i nemici decideranno se procedere immediatamente ad un attacco agli Stati Uniti. A causa della situazione geografica, né la Germania né l’Italia sono in condizione di offrire alcun aiuto materiale al Giappone. Il Giappone, al contrario, può essere di grande aiuto sia alla Germania che all’Italia minacciando e possibilmente anche attaccando i dominions britannici e le vie di rifornimento dall’Australia, India e Indie Occidentali olandesi, indebolendo in tal modo concretamente la posizione inglese di opposizione all’Asse in Europa. In cambio di questo servizio, il Giappone riceve mano libera per impadronirsi di tutta quella parte dell’Asia che gli è possibile arraffare, con la promessa aggiuntiva che Germania ed Italia faranno tutto ciò che è in loro potere per mantenere l’attenzione americana talmente concentrata da evitare che gli Stati Uniti intraprendano vere e proprie azioni aggressive contro il Giappone. Qui abbiamo di nuovo un altro esempio di come la diplomazia dell’Asse e giapponese sia finalizzata a mantenere immobilizzata la potenza americana, e con minacce ed allarmi rendere così confusa la coscienza dell’America da precludere una pronto e decisivo intervento degli Stati Uniti in ambedue le sfere d’azione. Non potrà mai essere sottolineato troppo energicamente che l’ultima cosa che desiderano sia le potenze dell’Asse in Europa che il Giappone in Estremo Oriente è un’immediata azione bellica da parte degli Stati Uniti in ambedue i teatri di operazioni.

3. L’esame della situazione europea porta alla conclusione che c’è ben poco che noi possiamo fare adesso, immediatamente, per aiutare la Gran Bretagna, che già non sia stato fatto. Non abbiamo un esercito addestrato da inviare in soccorso dell’Inghilterra, né lo avremo almeno per un altro anno. Attualmente stiamo cercando di aumentare l’afflusso di materiali verso l’Inghilterra e di sostenere la difesa dell’Inghilterra in ogni modo praticabile, e questo tipo di aiuto senza dubbio aumenterà. D’altra parte, è ben poco quello che la Germania o l’Italia possono fare contro di noi fin quando l’Inghilterra continua a combattere e la sua flotta mantiene il controllo dell’Atlantico. L’unico pericolo per la nostra posizione è una disfatta prematura dell’Impero Britannico, con la flotta che cada intatta nelle mani delle potenze dell’Asse. La possibilità che un evento del genere si verifichi potrebbe essere concretamente ridotta se fossimo già militarmente a fianco dei Britannici o se come minimo prendiamo misure attive per diminuire la pressione sulla Gran Bretagna in altri teatri. In sintesi: la minaccia alla nostra sicurezza nell’Atlantico rimane modesta fintanto che la flotta inglese mantiene il dominio dell’oceano e resta favorevole agli Stati Uniti.

4. Nel Pacifico, il Giappone, in virtù della sua alleanza con la Germania e con l’Italia, è una precisa minaccia alla sicurezza dell’Impero Britannico, e una volta che l’Impero Britannico sia caduto la potenza di Giappone-Germania e Italia sarà diretta contro gli Stati Uniti. Un potente attacco terrestre della Germania e dell’Italia attraverso i Balcani e il Nord Africa contro il canale di Suez, insieme ad una minaccia o ad un attacco giapponese contro Singapore, avrebbero conseguenze molto serie per l’Impero Britannico. Se il Giappone potesse essere deviato o neutralizzato, i frutti di un attacco riuscito al canale di Suez potrebbero non essere così conclusivi e benefici per le potenze dell’Asse, rispetto al caso in cui tale successo fosse accompagnato dalla virtuale eliminazione della potenza navale britannica dall’Oceano Indiano, aprendo così una via di rifornimento europea per il Giappone ed una via marittima per le materie prime orientali verso la Germania e l’Italia. Il Giappone deve essere sviato se il blocco britannico ed americano (?) (13) dell’Europa e possibilmente del Giappone (?) deve essere almeno in parte efficace.

5. Se, come evidenziato nel paragrafo 3, è poco quello che gli Stati Uniti possono fare per rimediare la situazione in Europa, essi sono invece in condizione di annullare realmente l’azione aggressiva del Giappone, e ciò senza diminuire l’aiuto materiale statunitense alla Gran Bretagna.

6. Un esame dell’attuale posizione del Giappone contrapposta agli Stati Uniti evidenzia la seguente situazione:

Punti di forza

1. forte posizione geografica delle isole giapponesi
2. un governo centrale capace e fortemente centralizzato

3. rigoroso controllo dell’economia in termini bellici
4. un popolo assuefatto alle privazioni e alla guerra
5. un esercito potente
6. una flotta ben addestrata pari a circa 2/3 della forza della flotta statunitense

7. Varie riserve di materie prime
8. Le condizioni del mare fino ad aprile rendono difficoltose le operazioni navali in prossimità del Giappone.

Punti di debolezza

1. un milione e mezzo di uomini impegnati in una guerra logorante sul continente asiatico
2. stretto razionamento dell’economia e dei rifornimenti alimentari in patria

3. una seria carenza di fonti di materie prime per la guerra, specialmente petrolio, acciaio e cotone

4. totale isolamento dai rifornimenti europei

5. dipendenza da lunghe vie marittime per i rifornimenti essenziali

6. incapacità di aumentare la produzione ed il rifornimento dei materiali bellici in mancanza di libero accesso ai mercati statunitense o europeo

7. principali città e centri industriali estremamente vulnerabili agli attacchi dall’aria.

7. Nel Pacifico gli Stati Uniti dispongono di una posizione difensiva molto forte, e di una flotta e di un’aviazione navale già ora capaci di operazioni offensive a largo raggio in quell’oceano. Altri fattori che attualmente giocano fortemente a nostro favore sono:

A. le Filippine tuttora in possesso degli Stati Uniti

B. il governo delle Indie Orientali olandesi amichevole e disponibile all’alleanza

C. gli Inglesi tengono ancora Singapore ed Hong-Kong e ci sono favorevoli

D. consistenti forze armate cinesi sono tuttora in campo in Cina contro il Giappone

E. una piccola forza navale statunitense già presente sul teatro delle operazioni, capace di minacciare seriamente le vie di rifornimento da sud del Giappone.

8. Le considerazioni precedenti portano alla conclusione che un’immediata azione di aggressione navale contro il Giappone da parte degli Stati Uniti renderebbe il Giappone incapace di fornire qualunque aiuto alla Germania e all’Italia a supporto del loro attacco alla Gran Bretagna, e che il Giappone stesso si troverebbe ad affrontare una situazione in cui la sua flotta potrebbe essere costretta a combattere nelle condizioni più sfavorevoli, oppure accettare un collasso piuttosto rapido del paese a causa della forza del blocco. Una immediata e rapida dichiarazione di guerra, successiva ad adeguati accordi con l’Inghilterra e l’Olanda, sarebbe estremamente efficace per condurre il Giappone ad un rapido collasso, eliminando così il nostro nemico nel Pacifico prima che la Germania e l’Italia possano realmente attaccarci. Inoltre, l’eliminazione del Giappone deve sicuramente rafforzare la posizione della Gran Bretagna contro la Germania e l’Italia e, in aggiunta, un’azione del genere aumenterebbe la fiducia e l’aiuto di tutte le nazioni tendenzialmente amichevoli nei nostri confronti.

8. Non crediamo che dato lo stato attuale dell’opinione politica il governo degli Stati Uniti possa dichiarare guerra al Giappone senza qualcosa in più; ed è scarsamente possibile che un’energica iniziativa da parte nostra possa condurre i giapponesi a modificare il loro atteggiamento. Perciò, viene suggerita la seguente linea d’azione:

A. accordarsi con la Gran Bretagna per utilizzare le basi inglesi nel Pacifico, soprattutto Singapore

B. Accordarsi con l’Olanda per utilizzare le attrezzature della base e per poter ottenere rifornimenti nelle Indie orientali olandesi

C. Dare tutto l’aiuto possibile al governo cinese di Chiang Kai-shek
D. Mandare in Oriente, nelle Filippine o a Singapore, una divisione di incrociatori pesanti a lungo raggio

E. Mandare due divisioni di sottomarini in Oriente

F. Tenere la flotta principale degli Stati Uniti, attualmente nel Pacifico, nei pressi delle isole Hawai

G. Insistere con gli olandesi perché rifiutino di garantire al Giappone le richieste per concessioni economiche non dovute, soprattutto petrolio

H. Dichiarare l’embargo per tutti i commerci con il Giappone, in connessione con un analogo embargo imposto dall’Impero Britannico.

Se con questi mezzi il Giappone potesse essere indotto a commettere un aperto atto di guerra, tanto meglio. In conclusione dobbiamo essere completamente pronti ad accettare la minaccia di una guerra.

A.H. McCollum

CC-Op-16

Op-16-F

File

(1) Fazi Editore, Roma, 2002, pag. 281. Titolo originale: The War on Freedom: How and Why America was Attacked, september 11th, 2001, edizione inglese 2002. L’autore è direttore esecutivo dell’Institute for Policy Research & Development di Brighton, un ente di ricerca che si occupa di diritti umani. Il libro è una esauriente analisi della vicenda complessiva dell’11 settembre, e si segnala come base di informazioni aggiornata per ulteriori ricerche.

(2) Il forte americano di San Antonio, Texas, che nel 1836 fu strenuamente difeso dall’assedio dell’esercito messicano. Remember the Alamo! Divenne uno slogan al tempo della Guerra con il Messico (1846-1848)[N.d.T.]

(3) La corazzata americana distrutta da un’esplosione nel porto dell’Avana il 15 febbraio 1898. L’incidente contribuì a scatenare la guerra con la Spagna. Remember the Maine divenne uno slogan molto diffuso.[N.d.T.]

(4) Sulla vicenda del piroscafo Lusitania, affondato il 7 maggio 1915 in pochi minuti al largo della Gran Bretagna dopo essere stato silurato da un sottomarino tedesco, cfr. Colin Simpson, Il Lusitania, Rizzoli, Milano 1974. La morte di 1201 passeggeri, in maggioranza americani, dovuta non al siluro ma all’esplosione immediata di alcune tonnellate di nitrocotone (pirossilina) a contatto con l’acqua, contribuì notevolmente a rendere accettabile all’opinione pubblica statunitense l’intervento in Europa. Di fatto, come Simpson dimostra, la nave – in violazione di tutti gli accordi internazionali – era stivata di munizioni ed esplosivi americani per l’esercito britannico [nota del curatore]

(5) In materia: Geminello Alvi, Il secolo americano, Adelphi, Milano 1996; benché scritto con uno stile inutilmente artificioso, è un testo imprescindibile sulle conseguenze finanziarie, economiche e politiche dell’intervento americano nella Prima Guerra Mondiale. Alvi è editorialista economico del Corriere della Sera.[nota del curatore]

(6) Franklin Delano Roosevelt, secondo varii storiografi, sapeva che i giapponesi avrebbero scatenato l’attacco su Pearl Harbor, ma non passò l’informazione al comando nelle Hawaii per dare uno scrollone all’isolazionismo e motivare gli americani all’intervento nella seconda guerra mondiale. La tesi è stata riformulata di recente da Robert B. Stinnett ed elaborata dallo scrittore Gore Vidal nel suo romanzo L’età dell’oro. Dello stesso autore, si veda anche la recente, durissima requisitoria Le menzogne dell’Impero e altri tristi verità, Fazi, Roma 2002, oltre al celebre La fine della libertà, Fazi, Roma, 2001[N.d.T.]

(7) Stinnett, op. cit., pagg. 23-26, passim

(8) Gore Vidal, L’Età dell’Oro, Fazi Editore, Roma, 2001 (The Golden Age, 2000). Vidal parla di McCollum alle pagg. 300-304.

(9) Thierry Meyssan, L’incredibile menzogna – nessun aereo è caduto sul Pentagono, Fandango, Roma 2002 (L’effroyable imposture, Aucun Avion ne s’est écrasé sur le Pentagone!, Editions Carnot, 2002)

(10) Lucia Annunziata, No – la seconda guerra irachena e i dubbi dell’occidente, Donzelli, Roma 2002, pp. 115-154.

(11) Sta per: Office of Naval Intelligence, Ufficio dei Servizi Informativi della Marina.

(12) Il traduttore declina ogni responsabilità per il periodare fluviale di McCollum, per il quale si rimanda alla caratterizzazione che ne ha fatto Stinnett.

(13) Nel dattiloscritto originario, il punto interrogativo è cancellato a mano.

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