Ucraina: qualcosa di nuovo sul fronte orientale?

I media nazionali stanno trascurando da qualche tempo il conflitto in Ucraina. La nostra impressione è che questo non avviene solo per la gravità della situazione in Medio Oriente, come se la focalizzazione mediatica sia stata distolta dai massacri in Terra Santa. Secondo noi, questo silenzio è dovuto al fatto che sulla questione ucraina si stanno producendo eventi di un certo rilievo, che sarebbe opportuno seguire con particolare attenzione.

Per chi scrive, quanto sta succedendo conferma il fatto che il presidente ucraino Zelensky potrebbe cominciare a costituire un problema per l’Occidente, come già avvenuto per molti servitori della politica nordamericana, quando essi hanno cominciato a disturbare gli interessi del padrone atlantico. Cerchiamo quindi di ricostruire alcuni passaggi significativi degli ultimi mesi e delle ultime settimane.

Il 4 novembre scorso, NBC riferisce che l’Occidente sta facendo pressioni sull’Ucraina affinché riprenda i colloqui di pace con la Russia: quasi esattamente quattro mesi dopo aver riferito, il 6 luglio 2023, che «ex funzionari statunitensi hanno tenuto colloqui segreti sull’Ucraina con esponenti russi di rilievo». Quest’ultima notizia faceva a sua volta seguito alle tre apparizioni del presidente russo Putin a metà giugno, in cui egli aveva suggerito con forza che una soluzione politica al conflitto era ancora possibile.

Il 10 settembre 2023, il presidente ucraino Zelensky, rilascia un’intervista all’Economist nella quale appare seriamente in difficoltà, affermando fra l’altro che l’eventuale elezione di Trump a presidente degli Usa avrebbe significato l’abbandono della politica di sostegno all’Ucraina da parte nordamericana.

Lo stesso 4 novembre in cui, come si è visto, era stata pubblicata da NBC la notizia dei colloqui segreti russo-americani, il New York Times richiama l’attenzione sulla crescente rivalità Zelensky-Zaluzhny. Infatti, solo pochi giorni prima, il 2 novembre, il capo di stato maggiore ucraino, gen. Valory Zaluzhny, aveva rilasciato una eclatante intervista all’Economist statunitense: in sostanza il generale ucraino affermava che in questo conflitto, a causa della reciproca capacità di conoscere la situazione del nemico grazie ai droni, ogni sorpresa diventava impossibile. Per cui esso si è trasformato in una guerra di posizione molto simile alla guerra di trincea del 1914-1918.

Per poter vincere, occorre quindi all’Ucraina un supporto militare assai più ampio. Zaluzhny propone quindi una sorta di lista della spesa, costosa e variegata: velivoli di superiorità aerea, misure elettroniche potenziate, artiglieria e mine più numerose ed efficienti, addestramento fuori dal territorio ucriano. Tutti elementi che comunque, per produrre effetti, conclude il generale, richiedono da uno a due anni minimo. Come a dire: la guerra non si conclude certo subito.

Il 4 novembre, Zelensky annuncia il sollevamento dell’alto ufficiale ucraino responsabile delle operazioni speciali dell’esercito ucraino, gen. Viktor Khorenko, senza fornire spiegazioni. Il ministro della difesa ucraino, Rustem Umerov, dichiara subito dopo che queste motivazioni non possono essere fornite per non avvantaggiare il nemico: lasciando così adito al sospetto che si tratti in realtà di una misura di ritorsione contro le pessimistiche affermazioni di Zaluzhny, che smentiscono la retorica bellicista di cui il presidente ucraino ha dato ampi saggi in questi anni.

Il 6 novembre, Zelensky ammette, in un’altra intervista alla NBC, che i suoi protettori occidentali stanno probabilmente parlando con la Russia: aggiunge che non è certo questo il momento per indire elezioni ed invoca dagli Stati Uniti un prestito, promettendo di restituirlo dopo la fine del conflitto. Lo stesso giorno in cui è andata in onda la sua intervista, si noti, il Washington Post si spinge a pubblicare un articolo, molto esplicito, su come “i sostenitori dell’Ucraina devono ripensare la loro teoria della vittoria”, affermando testualmente:

«La controffensiva ucraina avrebbe dovuto avvalorare il sostegno politico a Kiev, dimostrandone la capacità di riconquistare il territorio perduto. Ora, i sostenitori dell’Ucraina potrebbero dover utilizzare l’argomento inverso: l’Ucraina non sta riconquistando territorio consistente e gli aiuti sono necessari a tempo indeterminato, ma per evitare una sconfitta devastante».

Che questa sia la situazione effettiva sul campo, risulta ben chiaro agli analisti, compresi quelli occidentali, che spesso usano le loro competenze militari solo per fare propaganda: per esempio, anche il sito understandingwar.org, espressione dei servizi d’informazione militare britannici, nei suoi report quasi quotidiani, è costretto oramai a constatare che nessuno dei due contendenti è in realtà in grado di dare la “spallata” decisiva, capace di assicurare una rapida vittoria.

Il 7 novembre è il ministro degli Esteri ucraino, Dmitro Kuleba, ad avvertire che il suo Paese non può più fare affidamento solo sugli Stati Uniti: questa dichiarazione è ovviamente conseguente alle affermazioni contenute nell’intervista di Zelensky, in particolare all’ammissione che gli Stati Uniti stanno parlando con la Russia, alla ricerca di una soluzione non militare del conflitto.

Significativamente giungono ora importanti dichiarazioni da parte di esponenti di rilievo del governo russo: il portavoce del Cremlino Peskov, il ministro degli Esteri Lavrov e l’ambasciatore russo in America Antonov affermano, tutti nel giro di poche ore, che il dialogo con gli Stati Uniti è possibile, a condizione ovviamente che gli interessi fondamentali della Russia siano rispettati. Dagli Stati Uniti ecco sopraggiungere l’inattesa conferma dell’invito alla Russia a partecipare al vertice APEC (Cooperazione Economica dell’Asia e del Pacifico), previsto dal 12 al 18 novembre, a San Francisco: una sorpresa per quanti pensavano che APEC avrebbe tenuto fuori la Russia, paese destinatario di ben 12 sanzioni economiche!

In questo contesto in movimento, il presidente Putin, nell’incontro con i membri della Camera Civica russa, tenutosi la scorsa settimana, sostiene, con ovvio riferimento alla situazione interna dell’Ucraina, che «gli americani stanno ora pianificando un cambiamento delle élite – sia economiche che politiche» di quel Paese. Nella stessa occasione, aggiunge poi che l’Occidente ha cambiato la sua impostazione, finora rivolta alla sconfitta della Russia sul campo di battaglia, avvertendo tuttavia che «questo non significa che dobbiamo comportarci in modo aggressivo». Un’evidente apertura all’Occidente, che ribadisce la sua convinzione, espressa anche in passato, che l’attuale conflitto possa essere ancora risolto per via diplomatica.

La crescente rivalità tra Zelensky e Zaluzhny, ed il rifiuto del primo di indire le elezioni, avvalorano la tesi del leader russo, secondo cui gli Stati Uniti, stancatisi di uno Zelensky parolaio e inconcludente, stanno preparando un cambiamento delle élite politiche ucraine. Il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, Patrushev, fa intendere poco dopo, esattamente nello stesso giorno dell’intervista di Zelensky alla NBC, che “attori razionali” sono in attesa di prendere il potere a Kiev, non appena se ne presenterà l’occasione.

Ricordiamo ai nostri più affezionati lettori che questa ipotesi, quella cioè di un cambiamento al vertice dell’Ucraina, che allontanasse Zelensky e lo sostituisse con una direzione politica non ostile alla Russia, è stato secondo noi il vero obiettivo (finora sanguinosamente mancato) dell’operazione speciale intrapresa da Putin.

Qualche osservatore ipotizza a questo punto un riferimento, come “attore razionale”, per esempio proprio all’ex-consigliere di Zelensky, Oleksii Mykolaiovych Arestovych, il quale non per nulla è da pochi giorni entrato direttamente in rotta di collisione con il suo ex-capo, dichiarando senza mezzi termini il 15 ottobre 2023 che la controffensiva ucraina si è rivelata un disastro, accusando Volodymyr Zelensky di seguire oramai una deriva autoritaria, ed i suoi comandanti militari di aver commesso errori strategici che hanno impedito alle forze armate ucraine di infrangere le linee russe.

Arestovych è un personaggio quindi da seguire, poiché si tratta di un veterano dei servizi di informazione militare ucraini, i quali molto spesso, come ho spiegato in Ucraina tra Russia e Occidente, hanno fornito i quadri politico-militari direttivi all’Ucraina, come spesso è accaduto anche in Russia, del resto.

C’è anche della ruggine personale a motivare Arestovych, a causa di un dettagliato servizio dedicato il 1° novembre da Time Magazine alla difficile situazione in cui versa oggi Zelensky anche negli Usa: servizio in cui è forse proprio Zelensky a lasciar trapelare, attribuendole ad Arestovych, pesantissime affermazioni sul livello di corruzione in cui l’Ucraina, nonostante la guerra, continua a versare, senza che la dirigenza del Paese riesca a porvi rimedio.

Pochi giorni fa, Arestovych taglia infine nettamente i ponti con il suo ex-patron, annunciando che si candida alle prossime elezioni presidenziali ucraine. In un’intervista, rilasciata a Meduza il 9 novembre 2023, dichiara di trovarsi ora “naturalmente” fuori dell’Ucraina, temendo di essere arrestato – per chi ancora nutrisse qualche illusione sulla democraticità di un’Ucraina baluardo delle democrazie occidentali. Infine, afferma di voler fondare un proprio partito, chiamato poco fantasiosamente Partito Arestovych…

Gli ingredienti per un cambio di cavallo in corsa a Kyev ci sono tutti. Zelensky è infatti ora in difficoltà presso gli Usa, presso i suoi vertici militari ed all’interno del Paese, dove, salvo imprevisti, emergono persino nuovi candidati, sempre se sarà possibile arrivare ad elezioni democratiche, a meno che non si rendano necessari colpi di stato alla Maidan o, peggio, alla Diem. Il paziente orso russo attende quindi speranzoso, mentre sul campo di battaglia ha intanto ripristinato la tattica degli attacchi frontali di fanteria, dispendiosa ma efficace abitudine russa.

Ci auguriamo, con poche speranze, che qualche politico italiano rifletta su queste cose. Se davvero qualcosa cambierà nella guerra, noi europei ci dovremo interrogare allora, cancellati due anni di inutile retorica guerrafondaia, sulle ragioni, i tempi ed i modi che potrebbero dar vita ad una nuova, ennesima puntata del post 1989.

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