I due volti dello stesso Perù

È ormai certo che il presidente peruviano Humala, tradendo le attese, punti ad un pericoloso equilibrismo ideologico in modo da accattivarsi il favore della maggior parte della popolazione. Così il presidente, pur partecipando ad una manifestazione di vicinanza alle necessità del popolo peruviano in termini di sicurezza del lavoro e di sicurezza ambientale, non si priva del flusso finanziario esterno garantendo alle multinazionali straniere una protezione di fatto nell’estrazione mineraria. Tale equilibrismo rischia tuttavia di concludersi in un nulla di fatto per un semplice motivo: si deve considerare il processo di maturità politica che vive l’intero sub continente latinoamericano.
Tale evoluzione socio-politica comporta una progressiva emancipazione delle sfere politiche di ogni paese dal potere decisionale forte (fino al secolo scorso) dei finanziatori esterni. In passato si poteva dire che il flusso di capitale estero era subordinato ad un’accettazione, da parte del paese fruitore, del ruolo di subordinazione al volere di multinazionali e all’occorrenza, di sovranità egemoni – si pensi ad esempio alla guerra Fredda e alla strategia tenuta da URSS e Stati Uniti per accattivarsi il favore di singoli stati qua e la per il globo terrestre. Una tale predisposizione definibile come "feudalesimo coloniale" riduceva le istituzioni nazionali a meri esecutori di volontà incompatibili con le peculiarità territoriali, sociali e culturali. Dal 1830 a ben oltre la metà degli anni ’90 del XX secolo, l’impoverimento politico di ogni singolo stato latinoamericano è stata la condizione di base per il sostentamento di un neocolonialismo cronico.
Dalla fine del XX secolo ai giorni nostri, si evince nella gran parte dei paesi del sub continente uno sviluppo contrario al "feudalesimo coloniale" che ha visto un riorientamento politico di ogni sovranità verso l’emancipazione. Tuttavia, ed è questa la grande novità, tale processo non assume una dimensione temporale ben definita e riconducibile al presente, esso ha i tratti di un processo irreversibile e che appartiene al futuro grazie ad una peculiarità di non poca importanza: l’emancipazione e la consapevolezza politica, sociale e culturale della propria indipendenza viene dal basso della piramide sociale ossia dal popolo. È questo a catalizzare l’intero processo e a darne le solide fondamenta.
Ovviamente il processo non è uniforme in tutto il Sud America: esistono oligarchie che tutt’oggi resistono o che restano fortemente vincolate al volere di sovranità esterne. È il caso dell’area caraibica, di Panama e del Cile, del Messico e del Perù, per fare alcuni esempi.
Ma tale resistenza appare avere vita breve proprio perché l’emancipazione parte dal popolo e dal suo processo di maturità politica ed ideologica (in Cile ad esempio Piñera è assediato dalla volontà popolare di cambiare una Costituzione appartenente a Pinochet e quindi incompatibile con un sistema democratico) ed inoltre tali processi sono contagiosi e la loro diffusione da stato a stato sempre più repentina.
Humala, prima della sua nomina a presidente del Perù, si diceva interessato ai modelli politici di Bolivia e Venezuela, ma una volta al potere ha virato le sue strategie politico-economiche verso il modello cileno. Nell’atto pratico parliamo di uno stato che basa gran parte del suo sistema economico sul settore minerario e che quindi, anche a causa di una morfologia territoriale poco favorevole, ha difficoltà nella diversificazione del sistema produttivo. A ciò va ad aggiungersi una forte presenza di multinazionali straniere che detengono gran parte delle risorse minerarie – grazie ai bassi costi della manodopera.
Il presidente peruviano quindi di fatto esercita un equilibrismo politico evidente: da un lato pone l’accento sull’impatto ambientale dell’industria mineraria (pro popolazione) e dall’altro sviluppa il settore minerario – nuove infrastrutture per il comparto e legislazione inerente il mercato del lavoro pressoché invariata a favore degli investimenti stranieri.
Registriamo a tal proposito due nuove iniziative legislative da parte del governo peruviano:
– Recentemente è stata posta al vaglio dell’organo legislativo una proposta di legge inerente le sanzioni a carico delle imprese che incorrono in infrazioni ambientali. Si tratta di oltre 109 milioni 500 mila soles di multa per le imprese minerarie, petroliere, elettriche o peschiere che incorrono in un’infrazione ambientale "molto grave". La vigilanza sul rispetto delle norme spetterà all’OEFA (Organismo de Evaluación y Fiscalización Ambiental). Legge che risponderebbe alle richieste popolari di maggiore attenzione governativa all’impatto ecologico del sistema produttivo nazionale;
– Il Congresso ha approvato nei giorni scorsi un piano di legge inerente la sicurezza energetica ossia l’aumento dell’affidabilità nella produzione e nel trasporto di energia mediante un decentramento geografico della produzione energetica. In concreto si discute la costruzione di un gasdotto e di un polo petrolchimico nella zona sud del paese. Di certo si tratta di un impegno nel campo infrastrutturale e minerario capace di attrarre nuovo capitale estero in terra peruviana.
Due leggi che di fatto appaiono annullarsi a vicenda per quanto riguarda gli effetti che hanno sulla popolazione che in realtà ha bisogno di due riforme per intraprendere il sentiero dello sviluppo sostenibile: una riforma del mercato del lavoro e una riforma inerente la componente india della sua popolazione, tutelandone maggiormente cultura e integrazione sociale.
In definitiva possiamo affermare che il governo Humala difficilmente troverà conferma alle prossime elezioni e tutto ricomincerà da capo in attesa di una spinta proveniente dal basso…
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