Il nucleare iraniano qualche dubbio e una proposta

Mentre si moltiplicano i segnali di un possibile (e prossimo?) intervento israeliano per colpire le installazioni nucleari iraniane, il dibattito sulla questione rimane aperto. Sul piatto della bilancia troviamo da un lato le esigenze di sicurezza da parte di Israele di fronte ai programmi nucleari (e missilistici) iraniani, di certo non pacifici, e dall’altra le possibili conseguenze (regionali e globali) di un simile intervento; il tutto complicato da eterne tensioni non solo con Israele stesso ma anche fra l’Iran e diversi Paesi arabi. Uno scenario dunque pesante già oggi, addirittura terribile in caso di attacco; ma visto che nessuno vuole che Teheran si doti di armi atomiche e che la via politico-diplomatica (sanzioni comprese) appare poco efficace, quali potrebbero essere le reali alternative a un blitz militare?
Giovanni Martinelli

Risponde Sergio Romano:

Caro Martinelli,
Nel calore delle polemiche molti governi e osservatori danno per scontato che l’Iran stia lavorando alla costruzione di un ordigno nucleare. Non sembra in realtà che ve ne siano prove documentate. Il National intelligence estimate del 2007 (un rapporto che proviene dalla massima autorità degli Stati Uniti in materia di spionaggio e controspionaggio) sostenne che i progetti per la costruzione di una bomba erano stati abbandonati nel 2003. Il rapporto fu redatto in un momento in cui la Cia temeva di cadere nell’errore commesso prima della guerra irachena e fu accusato di eccessiva prudenza. Un rapporto successivo, distribuito al Congresso nel 2011, è meno prudente, ma neppure in questo caso gli analisti sembrano avere trovato la pistola fumante. Nel dicembre 2011 il segretario alla Difesa Leon Panetta ha fatto dichiarazioni sul momento in cui l’Iran avrebbe potuto disporre di un ordigno nucleare, ma il suo portavoce, nei giorni seguenti, ha chiarito dicendo: «Non abbiamo alcuna indicazione sul fatto che gli iraniani abbiano deciso di sviluppare un’arma nucleare ». Contrariamente all’impressione generale la delegazione degli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, dopo la recente visita in Iran, non ha detto che l’Iran stia costruendo un ordigno. La delegazione lamenta di non avere potuto visitare tutti i siti che desiderava ispezionare e dichiara nel suo rapporto che l’Iran ha le strutture necessarie per la costruzione dell’arma (una situazione simile a quella del Giappone). Gli iraniani, dal canto loro, continuano a sostenere che il loro programma ha soltanto scopi civili. È possibile che mentano, ma il segreto che avvolge alcune delle loro installazioni potrebbe essere motivato soprattutto dal desiderio di non fornire ulteriori informazioni ai servizi israeliani.

Il vero problema, naturalmente, è l’uso che l’Iran farebbe di un’arma nucleare se avesse il tempo e la voglia di costruirla. Attaccherebbe Israele? Armerebbe la mano di una organizzazione terroristica? Le due ipotesi mi sembrano del tutto improbabili. Se l’Iran lanciasse un primo colpo, la reazione israeliana e, forse, americana, sarebbe, per l’aggressore, catastrofica. La bomba è anzitutto un deterrente. Chi ne dispone lascia intendere al nemico che è in grado di difendersi, se minacciato, e di infliggergli danni irreparabili. Dopo gli attentati dell’11 settembre, l’Iraq e la Corea erano entrambi, nel linguaggio di George W. Bush, «Stati canaglia». Perché gli Stati Uniti hanno aggredito il primo e hanno evitato di colpire il secondo?

Aggiungo, caro Martinelli, che alcuni uomini politici e studiosi americani si stanno chiedendo sempre più frequentemente se la strategia da adottare verso l’Iran non dovrebbe essere quella raccomandata da George F. Kennan al governo di Washington nei confronti dell’Unione Sovietica agli inizi della guerra fredda. Si chiama containment (in italiano diremmo contenere, tenere a bada, contrapporre minaccia a minaccia). Ha funzionato allora e potrebbe funzionare anche il giorno in cui l’Iran fosse davvero dotato di un’arma nucleare.

Fonte: Sergio Romano, La lettera del giorno, Corriere della Sera, 17 aprile 2012, pag. 43

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