Gli F-35, la Nato, il governo

In questi giorni il governo ha annunciato, sull’acquisto dei bombardieri Lockeed F35, una riduzione da 135 a 100 unità. E’ una decisione, tra le tante prese per uscire dalla drammatica situazione economica attuale, sicuramente condivisibile e che risponde ai desideri della totalità della popolazione italiana, chiamata a fare molti sacrifici.
Da mesi, infatti, montava la polemica su come mai, data la situazione disastrata dei conti pubblici, dovessimo mantenere l’impegno all’acquisto (sottoscritto, è bene ricordarlo, dal governo D’Alema nel 1999, nella fase iniziale del progetto F35, e confermato dai successivi governi Berlusconi e Prodi) di un numero così rilevante di aerei costosissimi e adatti più all’intrusione e all’attacco di obbiettivi terrestri (anche con bombe atomiche "tattiche") che alla difesa del nostro spazio aereo, come sarebbe logico aspettarsi da un esercito che nella Costituzione rinnega le guerre di aggressione.
Per comprendere come si sia potuto apporre la firma su di un accordo del genere, occorre svolgere alcune considerazioni sullo stato "de facto", e non "de iure", sul nostro modello di Difesa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Come è noto noi apparteniamo alla sfera di influenza geopolitica degli Stati Uniti; tale sfera di influenza (se non vogliamo chiamarla Impero) prevede che due importantissimi aspetti della sovranità dello Stato, la politica di Difesa e la politica degli Affari Esteri, siano gestiti di fatto da Washington, almeno per quanto riguarda le decisioni che possano interferire con gli interessi sensibili degli USA.
In particolare, l’eventuale difesa del territorio nazionale (che la Costituzione prevede come preciso dovere di ciascun cittadino) è garantita dall’esercito americano e, in particolare, dal suo braccio militare in Europa, cioè la NATO, cui noi aderiamo pienamente; in altre parole, in caso di un’aggressione contro l’Italia, il comando delle operazioni passerebbe alla NATO, la quale affiderebbe ai reparti italiani solo quelle funzioni che riterrebbe necessarie. Si tratta del famoso principio della "Difesa integrata".
Questo comporta che la pianificazione delle risorse, a medio e lungo termine, necessario a tale modello di difesa (e stiamo parlando dell’élite delle forze armate) viene deciso in sede NATO, con la supervisione determinante degli Stati Maggiori USA, con risultati, a parte la perdita di sovranità, che sfuggono al controllo economico dei governi del nostro Paese; in altre parole, per quanto riguarda la parte migliore del nostro esercito e per i suoi armamenti, i nostri governi non possono fare previsioni autonome di spesa a medio lungo termine.
Questo modello di Difesa integrata ha retto bene sino al 1991, anno dell’implosione dell’URSS, perché il timore di un attacco da Est era concreto e, trattandosi di un modello puramente difensivo, non contrastava palesemente con i nostri princìpi costituzionali; lo stesso Enrico Berlinguer tenne a precisare, negli anni Settanta, che preferiva stare sotto l’ombrello della NATO, piuttosto che sotto quello del Patto di Varsavia.

La situazione iniziò a complicarsi notevolmente proprio dopo la caduta dell’URSS; i Paesi europei principiarono infatti a chiedersi a cosa servisse mantenere un concetto di Difesa integrata così stringente, quando la minaccia da Est non esisteva più; furono infatti dei primi anni Novanta le prime prese di posizione, con grande preoccupazione degli USA, per emancipare l’Europa dall’asfissiante tutela della NATO. Fortunatamente per gli statunitensi iniziarono, nel 1992, le sanguinose guerre balcaniche che dimostrarono la assoluta incapacità per l’Europa, sia sul piano diplomatico che su quello militare, di pacificare una zona (i Balcani) che aveva sempre rappresentato una zona di instabilità incoercibile, tanto da dare innesco alla Prima Guerra Mondiale; in questo stato di crisi fu lesto ad inserirsi Bill Clinton, intervenendo militarmente nelle crisi balcanica e mettendo fine, è giusto ricordarlo, ad orrendi massacri a partire dal 1996.
Ma proprio l’intervento militare NATO nella ex Jugoslavia dette il pretesto a Clinton per trasformare questa organizzazione da puramente difensiva a proiettiva ed intrusiva, non solo in Europa, bensì verso tutto il mondo, come si sarebbe dimostrato negli anni successivi con la missione ISAF in Afghanistan.
La riunione fondatrice (ma decisiva) dello statuto della nuova NATO si tenne, molto riservatamente, a Washington il 20 aprile del 1999, nel pieno dei bombardamenti contro la Serbia di Milosevic, ormai "scaricato" politicamente da Clinton dopo essere stato co-firmatario e garante, con Clinton stesso, degli accordi di Dayton del 1996. In questa riunione, cui parteciparono tutti i membri della NATO, si sancì la nuova natura della NATO come ente giuridico-militare capace di intervenire in qualsiasi area di crisi, onde assicurarne la "stabilita" e la "sicurezza". Ma quale stabilità? Quale sicurezza? Naturalmente quelle che favorissero gli interessi della Potenza egemone.

Allo stato attuale lo sconvolgimento dello statuto della NATO, da una chiara funzione di mutua difesa ad arma per il perseguimento di fini del tutto opachi di "stabilità" e "sicurezza" ovunque gli americani abbiano conti da regolare, ha ovviamente complicato notevolmente i rapporti tra questa organizzazione e molti dei Paesi associati, in primo luogo per l’Italia.
Il primo problema che si pone è quello di come soldati italiani possano partecipare a missioni di intrusione e invasione di Paesi terzi (che non ci minacciano in alcun modo) senza violare la Costituzione; ciò si è tentato di risolverlo con pietosi contorcimenti sulla denominazione dei compiti sul campo e dei limiti (le cosiddette "regole di ingaggio") nel portarli a termine.
Il secondo problema è quello di far fronte a impegni finanziari, anche improvvisi e non pianificati, che il desiderio di "stabilità e sicurezza" da parte degli statunitensi, nelle aree più disparate, comporta. Prendiamo, ad esempio, il recentissimo caso dei bombardamenti sulla Libia: l’Italia è stata costretta a dare fondo al suo arsenale di bombe-razzo a puntamento laser su obbiettivi libici, naturalmente per fini altamente "umanitari". Bisogna tener conto che si tratta di veri e propri missili, che hanno un raggio d’azione sino a 60 Km, con una guida GPS molto raffinata; ebbene su circa 1000 ordigni custoditi nei nostri arsenali ne sono stati lanciati ben 800 sulla Libia. A parte ogni considerazione etica e la palese irrisione alla nostra Costituzione, supponendo che ogni bomba-razzo costi molte centinaia di migliaia di dollari (sono ordigni molto costosi e sofisticati), ecco la necessità, per il governo italiano di ricostituire i suoi arsenali sborsando alcune centinaia milioni di dollari. Che dire infine degli oneri finanziari necessari al mantenimento di 4000 soldati (e relativi equipaggiamenti) in Afghanistan, per assecondare il tentativo statunitense, ormai palesemente fallito, di soggiogare quel disgraziato Paese?

Malgrado le tante controindicazioni evidenziate, si è creata una omertosa condiscendenza (regolata da una miriade di trattati tutti rigorosamente segreti e sottratti all’analisi del Parlamento) da parte di tutti i governi che si sono succeduti nell’arco degli ultimi tre lustri verso la nostra partecipazione a questo modello di Difesa basato sulla nuova NATO . Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rispondendo ad una precisa domanda sul costo della nostra partecipazione ai bombardamenti sulla Libia, ebbe a recentemente dichiarare che "più che ai costi della nostra partecipazione alla campagna di Libia, occorrerebbe considerare quanto ci costerebbe il non parteciparvi". Mai frase sibillina risultò tanto eloquente.

E’ per questo che bisogna dare atto al coraggio del governo Monti per aver negoziato con gli americani (il premier ne ha certamente parlato con Barack Obama nella sua recente visita negli States) una sostanziale riduzione sulla fornitura degli F35, con il risultato di riappropriarsi, almeno parzialmente, della nostra sovranità nel decidere gli stanziamenti per la Difesa, soprattutto per spese palesemente inutili, come quelle necessarie all’acquisto dei bombardieri della Lockeed.
Aggiungo che proprio la natura "tecnica" di questo governo, che opera in una specie di limbo della democrazia rappresentativa, ha permesso tale passo, poiché nessuno dei partiti che oggi appoggiano la compagine governativa avrebbe mai avuto il coraggio di mettere in discussione alcunché dell’attuale nostro modello di Difesa.

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