La strage di Oslo e i rapporti tra Norvegia e Israele

La Norvegia ha sempre svolto un ruolo molto speciale nel sostenere lo Stato di Israele, fin dai primissimi anni della sua fondazione.
"La politica norvegese nei confronti del Medio Oriente è stata caratterizzata fino all’epoca attuale dalle intense relazioni con Israele. Sia i forti movimenti religiosi che l’establishment e, soprattutto, il movimento operaio norvegese hanno stretto un forte legame con questo paese"(1), scriveva nel lontano 1994, sul giornale di impostazione laburista Aftenposten, Harald Stanghelle, nel rendere omaggio a Johan Jørgen Holst, il ministro degli esteri norvegese, scomparso in quei giorni, al quale si ascrive gran parte del merito del raggiungimento degli accordi di Oslo del 1993.
Accordi che Hilde Henriksen Waage, in un’autorevole ricostruzione storica semi-ufficiale della loro genesi, ha criticamente dimostrato essersi basati sul fatto che i negoziatori norvegesi, in primis lo stesso ministro Holst, avevano abbracciato in tutto e per tutto i presupposti israeliani.
"Essi sapevano che seguire le regole di Israele era la sola via attraverso la quale si sarebbe potuto raggiungere un accordo e che se i Palestinesi non avessero ceduto a quello che Israele considerava importante, i colloqui (e il ruolo della Norvegia) avrebbero avuto fine. Come ha notato Dennis Ross: "La Norvegia doveva abbracciare la posizione israeliana. Altrimenti non vi sarebbe stato accordo". Data l’asimmetria di potenza esistente, la Norvegia poteva svolgere questo ruolo oppure no. Scelse di svolgerlo. In definitiva questo significava persuadere l’OLP ad abbandonare posizioni che Israele considerava inaccettabili, da un lato, e, dall’altro, persuadere l’OLP ad accettare le posizioni proposte da Israele"(2).
Waage ha accuratamente descritto i passaggi che, fin dagli avvenimenti post-bellici, hanno portato la Norvegia, da un’iniziale posizione di equidistanza cui erano particolarmente legati i diplomatici di carriera norvegesi, con un processo simile a quanto avvenuto negli Usa fra Dipartimento di Stato e governo statunitense, ad un aperto sostegno alla causa israeliana: un processo nel quale hanno svolto un ruolo fondamentale in primo luogo gli stretti legami fra il partito laburista norvegese, in particolare nel lungo periodo della segreteria di Haakon Lie, ed il movimento laburista israeliano, grazie al quale si ebbero negli anni Cinquanta entusiastiche campagne a favore dello stato ebraico, come quella "Let Israel Live" del 1956, che oggi si dimostrano documentatamente sostenute dall’ambasciata israeliana nel Paese nordico.
Ma anche il fattore religioso è stato, anche negli ambienti più conservatori, determinante, caratterizzato com’è dalla presenza di un cristianesimo di forte impronta vetero-testamentaria, con tratti assai simili a quelli del sionismo cristiano di cui G. Colonna ha chiaramente illustrato l’importanza fondamentale ai fini del sostegno al movimento sionista nel mondo anglosassone fin dal XIX secolo(3): "Questo fondamento profondamente radicato nella Bibbia, questa familiarità con la religione e la storia antica, fu strumento essenziale nella creazione di un orientamento favorevole al nuovo e moderno Israele. La maggior parte dei Norvegesi sente una naturale vicinanza con gli Ebrei, anche se non sempre chiaramente definita. Una volta che lo Stato ebraico venne costituito come una realtà, forti legami furono forgiati tra presente e passato, tra religione e politica"(4).
Il complesso di questi essenziali fattori ha portato la Norvegia ad essere, nel 1954, il primo stato che riconobbe di fatto Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, secondo la solenne proclamazione israeliana del 1952, nonché il principale fornitore dell’acqua pesante che si dimostrò basilare per alimentare il primo reattore israeliano EL 102 di Dimona, agli albori del programma militare nucleare israeliano, nel 1958: "fu lo stesso governo laburista norvegese, ancora su iniziativa del segretario del partito Haakon Lie, su richiesta di suoi buoni amici socialdemocratici israeliani, a vendere acqua pesante allo Stato ebraico"(5).
Negli ultimi anni tuttavia, la sostanziale vanificazione del processo di pace che si sperava di avere avviato, sia pure sulle basi squilibrate di cui si è detto, unita alla politica israeliana di sempre maggiore chiusura a qualsiasi accordo con i Palestinesi, hanno probabilmente sollecitato qualche elemento di novità nell’orientamento della politica filo-israeliana tradizionale dei governi norvegesi.
Poche settimane fa, infatti, il 18 luglio scorso, un comunicato del ministero degli esteri della Norvegia, dava notizia che il ministro degli esteri Jonas Gahr Støre ed il presidente palestinese Mahmoud Abbas avevano sottoscritto un accordo in base al quale il rappresentante palestinese in Norvegia assumeva il rango di ambasciatore e la sua rappresentanza passava dalla designazione formale di "Delegazione Generale Palestinese" a quella di "Missione Palestinese", rappresentando insieme sia l’OLP che l’Autorità Palestinese, con tutti i privilegi diplomatici del caso. A sottolineare la novità dell’evento, il ministro Støre dichiarava pubblicamente che la decisione "riflette il progresso verso la costituzione di uno Stato Palestinese indipendente cui stiamo assistendo sotto la guida del presidente Abbas e del primo ministro Salam Fayyad". Il comunicato ufficiale del ministero aggiungeva inoltre che "il sostegno al processo di costruzione istituzionale palestinese è stato una priorità essenziale per la comunità dei donor internazionali fin dagli Accordi di Oslo del 1993, il cui obiettivo è stato sostenere i negoziati per una soluzione fondata su due Stati e per porre le basi per la formazione di uno Stato palestinese"(6).
Non vi è dubbio che, alla luce della paventata ipotesi di un voto delle Nazioni Unite che a settembre riconosca di fatto un auto-proclamatosi Stato Palestinese, questa posizione norvegese non può che avere allarmato il governo israeliano che, come è noto, sta attivamente operando per evitare il realizzarsi di questa ipotesi, che ne indebolirebbe la posizione internazionale in modo del tutto inedito.
Le dichiarazioni rese alla stampa dal ministro laburista hanno certamente accresciuto la preoccupazione israeliana. Støre avrebbe infatti dichiarato, subito dopo l’incontro con Abbas, che Oslo era propensa a sostenere la richiesta di riconoscimento palestinese, considerandola "perfettamente legittima", aggiungendo di non essere d’accordo con quanti sostengono che l’iniziativa palestinese alle Nazioni Unite rappresenta un ostacolo ai negoziati (come affermato ripetutamente da Israele, che da sempre teme l’internazionalizzazione del problema palestinese) e affermando che "la posizione norvegese fondamentalmente è che un popolo ha il diritto di utilizzare le istituzioni delle Nazioni Unite per chiarire i problemi relativi alla legittimità del proprio status internazionale e non vogliamo negare questo diritto ai Palestinesi".
Per parte sua, il presidente Abbas, informava i reporter che "la Norvegia è pronta a dire sì alla nostra proposta non appena ne riceverà il testo", per cui "spero che la Norvegia, quando avrà inizio il processo di pace, riconoscerà lo Stato palestinese basato sui confini del 1967 e sosterrà i nostri sforzi per essere riconosciuti".
La strage compiuta dal giovane norvegese, diretta in particolare contro il partito laburista, è stata in un primo momento classificata come un attentato di stampo islamista, cosa che ha procurato qualche brutta figura all’intera stampa internazionale, a partire dal New York Times. Si è poi subito passati alla classificazione dell’attentatore come di un acceso neo-nazista, per poi sposare quella, a tutta prima sufficiente a chiudere il caso, di un puro scoppio di follia. Ma è lo stesso quotidiano israeliano Haaretz ad avere sottolineato la presenza, nel lunghissimo documento che l’attentatore aveva da tempo pubblicato, di espressi richiami a Israele, da lui considerato, secondo un leit-motiv tipico del sionismo-cristiano americano, "linea di frontiera nello scontro di civiltà fra Giudeo-Cristianesimo e Islam"(7), fondamentale dunque anche nella lotta contro la penetrazione islamica in Occidente, e quindi anche in Norvegia, una delle maggiori preoccupazioni che percorrono il "manifesto" dell’attentatore.
Sta di fatto che, poche ore dopo questo terribile evento, l’ambasciatore norvegese in Israele, Svein Sevje, ha tenuto a ribadire pubblicamente che "la posizione storica della Norvegia nei confronti di Israele è stata sempre di grande sostegno, dall’inizio fino ad oggi, di enorme sostegno". Ha tenuto poi a precisare che una delle ragioni per cui la Norvegia ritiene legittimo il ricorso palestinese alle Nazioni Unite sta nella stessa storia della Norvegia, dato che questa nacque nel 1905 da una pacifica separazione dalla Svezia: "Accadde senza violenza, fu una dichiarazione unilaterale di indipendenza e la Svezia l’accettò"(8), ha dichiarato Sevje.
Quello che è certo è che l’attentato di Oslo, sia esso il frutto di una mente devastata o di un’abilissima strumentalizzazione, oltre a rappresentare una tragedia per l’intera Norvegia, ha dato il colpo di grazia allo "spirito di Oslo". Il completo dissolversi delle fallaci speranze nate sulla base di patto leonino fa sempre più temere che una pace equa sia davvero irraggiungibile in Medio Oriente. Il primo Paese non mediorientale ad averne pagato un prezzo altissimo è stata proprio la Norvegia, "il migliore amico di Israele"(9), come scriveva Waage.

1) H. Stangelle, "Norvegesi in Medio Oriente", Aftenposten, in Internazionale, 19 febbraio 1994.
2) H. H. Waage, "Norway Role in the Middle East Peace Talks: between a Strong State and a Weak Belligerant", Journal of Palestine Studies, XXXIV, 4, summer 2005, pp. 6-24.
3) G. Colonna, Medio Oriente senza pace, Edilibri, Milano, 2009, pp. 37 e ss.
4) H.H. Waage, "How Norway Became One of Israel’s Best Friends", Journal of Peace Research, vol. 37, n. 2, marzo 2000, p. 198.
5) Ivi, p. 205.
6) "Palestinian Ambassador to Norway", 18 luglio 2011, comunicato stampa, Ministero degli Esteri della Norvegia.
7) D. Sheen, R. Ahren, "Norway’s ambassador tells Haaretz: More restrictive societies not an answer to terror", Haaretz, 29 luglio 2011.
8) Ivi.
9) H.H. Waage, "How Norway Became One of Israel’s Best Friends", cit.

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