Ad Aleppo, come a Damasco, vivono ampi settori della borghesia commerciale che non hanno partecipato alle rivolte. In città, la crisi economica sembra meno forte che a Damasco. Le strade sono affollate, i ristoranti pieni. Si sente musica fino a tardi. Le giornate sono calde e la gente esce di sera a passeggio, per godersi il fresco. C’è una certa vivacità anche se tutti ammettono apertamente che il Paese "sta vivendo un momento difficile". La caduta del turismo, le sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, pesano.
"L’Iran però ha incominciato a vendere il suo petrolio in lira siriana per sostenere la nostra valuta – garantisce un importante commerciante di stoffe – Siamo forti. Ne verremo fuori". Qualcuno ora è preoccupato per un possibile intervento militare francese contro la Siria con la copertura dell’Onu. "Non posso pensarci", dice sconsolata Agnes, una ragazza armena che lavora come receptionist in un albergo del centro, "mi viene in mente la Libia e rabbrividisco". Ma il giovane collega la rassicura: "Anche gli oppositori militanti hanno protestato. Ho letto sulla pagina di Fb, la rivoluzione siriana 2011, un proclama: il popolo rifiuta in modo formale e categorico qualsiasi intervento militare straniero nel Paese". Agnes sospira: "Speriamo che vada tutto bene. A volte mi sembra di vivere in un brutto sogno".
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