Padroni dell’universo e sovranità dei popoli: il caso BlackRock

In queste settimane, e probabilmente ancor di più nei prossimi mesi, la questione di chi controlla l’economia mondiale potrebbe diventare argomento frequente di discussione. Clarissa da anni sta cercando di fornire analisi che le persone comuni possano agevolmente seguire e che possano risultare di stimolo ad ulteriori approfondimenti. I nostri lettori vengono in questo modo invitati ad accompagnarci in un lavoro di ricerca che sviluppiamo nella logica di quello che scriveva anni fa Ezra Pound: "Resta il dovere di tentare di escogitare un’economia sana, e di tentare di imporla con il metodo più violento in assoluto: far sì che le gente rifletta".
In merito al controllo dell’attuale economia mondializzata, abbiamo scritto di recente che esso si sviluppa a partire da grandi centri finanziari – un’espressione questa che, se non spiegata in modo concreto, rischia suggerire al comune cittadino l’immagine di oscuri burattinai che tirano i fili delle speculazioni che ogni giorno spostano per il mondo migliaia di miliardi, distruggendo in pochi secondi, come accaduto anche nella Borsa italiana nelle ultime settimane, la ricchezza prodotta col lavoro di popoli interi. In realtà, il solo vantaggio di oggi è che queste forze si mostrano con estrema evidenza, per cui basta applicarsi con attenzione per comprendere come esse operano in concreto.
C’è un’espressione inglese che viene usata di frequente dagli addetti ai lavori: masters of the universe, "padroni dell’universo", per definire il potere dei grandi gruppi finanziari mondiali. Per farne comprendere la portata, faremo un caso concreto, senza con questo voler attirare su di un nome l’odio o il risentimento di nessuno, semplicemente per illustrare come la potenza del denaro speculativo abbia raggiunto dimensioni e capacità mai viste nella storia.
BlackRock, l’esempio che proponiamo, è una società americana con sede a New York che, al 31 marzo 2011, dispone di 9.300 dipendenti, dislocati in 26 Paesi del mondo in Nord e Sud America, Europa, Asia, Australia, Medio Oriente ed Africa. Il suo attuale amministratore delegato è Laurence D. Fink, che ne è stato anche il fondatore, nel 1988. Fink, quando lavorava alla First Boston, una delle principali banche americane, ebbe un’intuizione fondamentale, che lo rende uno dei precursori del sistema dei titoli derivati basati sui mutui ipotecari: si rese conto infatti che le banche avrebbero potuto creare, coi crediti immobiliari presenti nel proprio portafoglio, un nuovo tipo di prodotto da collocare sui mercati finanziari, creando cioè proprio quel mercato che è stato all’origine del crack finanziario dell’estate del 2007 e del successivo dilagare dell’attuale crisi internazionale.
Ai primi successi che permisero a Fink di far guadagnare alla First Boston cento milioni di dollari in soli tre mesi, seguirono delle perdite consistenti, che portarono al licenziamento dello stesso Fink, il quale però, grazie a questa esperienza non del tutto positiva, aveva maturato un’idea ancora più stimolante: proprio rispetto all’altissima rischiosità dei nuovi prodotti finanziari, che negli anni Novanta avrebbero avuto un vero e proprio boom, egli aveva conoscenze dei meccanismi sottostanti ideali per offrire agli investitori indicazioni in grado di ottimizzare i guadagni e ridurre i rischi. "Wall Strett – scrive Heike Buchter su Die Zeit, è divisa in due gruppi: il sell side cioè le banche, che confezionano e vendono i prodotti finanziari, e il buy side, i clienti che li comprano: grandi investitori come i fondi pensione, le fondazioni, i fondi di investimento o le divisioni finanziarie delle multinazionali. (…) Fink avrebbe messo le conoscenze maturate nel sell side a disposizione del buy side e avrebbe valutato da esperto indipendente le offerte delle banche"(1) .
In pochi anni, questo lavoro ha in realtà collocato BlackRock in una posizione di controllo su entrambi i versanti della speculazione finanziaria internazionale, grazie al fatto che la società era in grado di svolgere sia i compiti di consulenza nella valutazione e scelta dei migliori investimenti, sia nella intermediazione e nella gestione di interi pacchetti di titoli, inclusi quelli maggiormente a rischio e quindi anche maggiormente redditizi.
Da questa posizione privilegiata, l’azione di BlackRock non ha più conosciuto confini. Oggi la società di gestione patrimoniale statunitense è divenuta, ad esempio, la principale azionista della borsa tedesca (che di recente si è fusa proprio con quella di New York) e controlla quote azionarie delle principali aziende della Germania: Adidas, Allianza, Basf, Deutsche Bank, le industrie farmaceutiche Merck, il produttore di materiali edili HeidelbergCement, solo per fare qualche nome. Lo stesso è avvenuto anche altrove, come in Italia, a seguito di una delle più importanti operazioni sviluppate da BlackRock, la fusione con Barclays Global Investor, rilevata da BlackRock nell’estate 2009 per 13,5 miliardi di dollari. Questa operazione, alla quale hanno partecipato con 2,8 miliardi di dollari anche i fondi sovrani, si noti, di Cina (Cic) e Kuwait (Kia), il super gestore Usa ha ora in portafoglio fra l’altro il 2,7% di Eni, il 3,8% di Unicredit (dal 2,2% della sola Barclays), il 3% di Enel, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Ubi (rispetto a quote Barclays pari al 2%), il 2,9% di Generali (dal 2%) e di Fonsai, il 2,8% di Telecom e di Bulgari, il 5,8% di Mediaset (prima era sotto il 5% e diventa così il secondo socio dopo Fininvest), il 2,7% di Fiat, il 2,2% di Atlantia e di Finmeccanica, il 3,5% di Banco Popolare (dal 2%), il 2% di Terna (2) .
Al 31 marzo 2011, BlackRock dichiara nei suoi documenti ufficiali pubblici di gestire 3.648 miliardi di dollari di patrimoni amministrati: una cifra incredibile, pari all’intero Prodotto Interno Lordo della Germania, superiore anche a quello italiano che oltrepassa i 2.000 miliardi di dollari. Si tratta probabilmente della più grande azienda finanziaria della storia che, in virtù dei collegamenti con i maggiori investitori privati e istituzionali del mondo, dispone ovviamente di un potere senza equivalenti.
In una recente occasione (3) , abbiamo già visto infatti che BlackRock detiene quote azionarie anche delle maggiori agenzie di rating, come Moody’s e Standard&Poor’s, agenzie che hanno acquisito il potere, da una parte, di valutare l’affidabilità di banche e Stati, ma, dall’altra, anche degli stessi prodotti che BlackRock controlla e offre ai suoi clienti, senza che questo abbia dato finora luogo a nessun tipo di reazione politica.
Non può sorprenderci, quindi, che la società americana abbia acquistato in tal modo anche un peso politico senza pari, dal momento che le stesse autorità di governo si sono rivolte a lei nei momenti più drammatici della crisi attuale: nel marzo del 2008, ad esempio, quando è stato deciso il salvataggio della Bear Stearns, l’allora responsabile della Federal Reserve, Tim Geithner, ha chiesto alla BlackRock un rapporto sull’esposizione dell’istituto di credito rispetto ai famigerati subprime, i titoli legati ai mutui ipotecari spazzatura; lo stesso è avvenuto poco dopo, quando il governo Usa ha affidato a BlackRock il compito di gestire i titoli spazzatura di Aig, il colosso assicurativo di cui era in corso un affannoso salvataggio. Ma non basta: riportavamo infatti, nello studio che Clarissa ha dedicato nel 2008 alla crisi dei mutui, un’altra rilevante notizia sul ruolo della BlackRock:
"Come se non bastasse, e questo forse dà anche l’idea della gravità della crisi in atto, si sta provvedendo anche diversamente, attraverso la creazione di "superfondi": abbiamo notizia di uno negli Stati Uniti ed uno in Francia. J.P. Morgan, Bank of America, Citygroup intendono costituire un superfondo da 50-60 miliardi di dollari, rilevando l’attivo di alcuni dei veicoli di investimento creati dalle banche (SIV). Si tratta di creare una sorta di Super-SIV (fonte: International Herald Tribune, 15 ottobre 2007), denominato Master Liquidity Enhance Conduit e gestito dalla società di investimenti BlackRock. Un fondo di cui sarebbe ispiratore addirittura il segretario del Tesoro Usa, Hank Paulson, già CEO di Goldman Sachs"(4).
Vediamo bene quindi come il potere di un colosso finanziario internazionale riesca a diventare fondamentale anche sul piano politico, quando crisi come quella ancora in corso richiedono l’intervento dello Stato e quest’ultimo si trova obbligato a ricorrere proprio ai grandi della finanza, soprattutto in quanto, come nel caso di Paulson, segretario al Tesoro con Bush, ma anche del già ricordato Tim Geithner, poi segretario al Tesoro Usa con Obama, uomini da tempo legati al mondo della finanza mondiale siedono nei governi come responsabili dell’economia.
"Dopo lo scoppio della crisi, non c’è stata operazione di salvataggio a cui Fink non abbia preso parte. Agli interventi per la Bear Stearns e per l’Aig sono seguiti altri: la BlackRock ha assistito la Federal Reserve nelle sue transazioni miliardarie con i titoli legati ai mutui ipotecari e le ha offerto una consulenza per l’ingresso nel capitale della banca Citigroup. I suoi esperti sono stati assoldati anche per esaminare i conti dei colossi ipotecari Fannie Mac e Freddie Mac. L’azienda inoltre ha ottenuto molti contratti di consulenza con lo Stato senza che fosse indetta una gara pubblica"(5) .
Oggi, le attività di consulenza, che ancora nel 2006 rappresentavano solo una parte insignificante delle attività di BlackRock, contano per oltre il 20% del suo fatturato e hanno portato alla creazione di sofisticati servizi informativi come il sistema Aladdin, un centro di calcolo composto da cinquemila computer dislocati in quattro località segrete che eseguono circa duecento milioni di operazioni alla settimana, per conto di una rete di 40 clienti principali, che calcolano "ogni giorno, ogni minuto e a volte anche ogni secondo il valore delle azioni, delle obbligazioni, delle monete e dei titoli di credito contenuti nei portafogli d’investimento", allo scopo di prevedere "come potrebbero variare i prezzi dei titoli se dovesse cambiare il contesto". Secondo quanto ha dichiarato a Die Zeit, Rob Goldstein, il "custode di Aladdin", "la nostra attenzione diviene quasi maniacale quando bisogna conoscere nel dettaglio ogni singolo strumento e poi fari un’idea dell’intero portafoglio. È una specie di risonanza magnetica, a cui sottoponiamo i portafogli di tutti gli investitori"(6) .
Su questa via, per BlackRock si sta aprendo anche una nuova tipologia di servizio che rappresenta la logica estensione del potere politico acquisito da questi masters of the universe finanziari, grazie al fatto che sono divenuti tali proprio in quanto, come abbiamo visto, dispongono di risorse finanziarie pari a quelle delle maggiori potenze industriali del pianeta, sono quelli che potremmo definire degli Stati finanziari totalmente indipendenti.
Nel giugno 2011, infatti, destinato all’attenzione degli esperti, il centro studi di BlackRock, il BlackRock Investment Institute, ha pubblicato un agile studio di una decina di pagine, intitolato Introducing the BlackRock Sovereign Risk Index: A More Comprehensive View of Credit Quality che indica con chiarezza la nuova direzione "politica" della grande multinazionale di gestione patrimoniale. Partendo dalla premessa secondo cui "gli investitori si stanno rendendo conto dell’importanza del rischio del debito sovrano sui mercati globali del debito, ma quantificarne in modo appropriato il costo rimane difficile", BlackRock illustra in questa pubblicazione il proprio sistema di valutazione, un indice appunto del rischio connesso al debito pubblico degli Stati: giacché i debiti pubblici sono collocati sui mercati finanziari mondiali, BlackRock estende la propria attività di valutazione e consulenza anche alla questione del "rischio Paese".
Senza entrare in un’analisi eccessivamente tecnica, che potrebbe scoraggiare il lettore, basterà dire che l’indice di BlackRock prende in considerazione sedici indicatori, raggruppati in cinque aree principali, a ognuna delle quali è assegnato un peso percentuale: spazio fiscale (che conta per il 40%), posizione finanziaria esterna (20%), salute del settore finanziario (30%), volontà di pagare (10%). La ponderazione di questi elementi determina appunto la "graduatoria finale" dell’indice, dalla quale apprendiamo, ad esempio, che l’Italia si trova, come livello di rischio del proprio debito pubblico, ad essere ad un livello superiore a India, Sud Africa, Messico, Turchia, Spagna, Argentina, Irlanda, Ungheria; e a stare meglio solo rispetto a Egitto, Venezuela, Portogallo e Grecia.
Lasciamo volentieri agli specialisti finanziari la valutazione della validità delle diciassette righe dedicate al caso Italia, sufficienti nel rapporto a concludere che "crediamo che l’Italia è forse un caso in cui i mercati sono troppo ottimisti in merito al suo rischio sovrano e dovrebbero essere più propensi ad assumere posizioni difensive": esse, unite alle contemporanee uscite della previsione di Moody’s e Standard&Poor’s, di cui ricordiamo la stessa BlackRock è azionista, hanno avuto sicuramente effetto nell’indirizzare l’attacco della speculazione sulla Borsa di Milano, vista l’ampiezza e autorevolezza dei patrimoni finanziari che questo gestore amministra a livello mondiale.
Al di là del fatto che questo tipo di analisi abbia un valore "scientifico" e che indici di questo tipo siano davvero affidabili, la questione di fondo che si pone ad un Paese sovrano è quella del rapporto con forze della finanza mondiale le cui capacità eccedono quelle produttive dello stesso Paese e che sono con ogni evidenza in grado di condizionarne, dall’esterno e dall’interno, le scelte sul piano socio-economico, sulla base di una pura logica di profitto, non soggetta in alcun modo al controllo ed alla valutazione da parte dei popoli che compongono queste comunità. In questo senso, dunque, parlavamo di schiavitù del debito, come soggezione, appunto, delle nostre comunità nazionali ad entità che sfuggono a qualsiasi controllo democratico, pur avendo il potere di influenzare scelte fondamentali, come quelle di un modello di organizzazione sociale ed economica.
Il fatto che lo scorso 12 luglio il commissario europeo della concorrenza Joaquin Almunia abbia affermato (7) che non esistono elementi per avviare un’azione dell’antitrust europeo contro le agenzie di rating ("non vediamo finora la possibilità di reagire contro questo oligopolio"), dimostra che nemmeno un’entità politico-economica del livello dell’Unione Europea ha le idee e il coraggio necessari per individuare e percorrere nuove vie, che sottraggano i nostri popoli alla presa di poteri mondiali che stanno riconfigurando la stessa democrazia politica così come essa è stata pensata e attuata fino ad oggi.

1) H. Buchter, "L’astro nascente di Wall Street", Die Zeit, in Internazionale, n. 899, 27 maggio 2011.
2) S. Bocconi, "Se BlackRock importa i fondi sovrani a Piazza Affari", Corriere della Sera, 11 dicembre 2009.
3) G. Colonna, "Come si conquista un paese: l’attacco della finanza internazionale all’Italia",
http://www.clarissa.it/ultimora_nuovo_int.php?id=146
4) Intervento "Crisi dei mutui e finanza mondiale", conferenza del 14 dicembre 2007; testo scaricabile su http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=207&tema=Conferenze
5) H. Butcher, cit.
6) Ivi.
7) "Almunia: dalle agenzie nessun abusto sull’antitrust", Il Sole 24 Ore, 13 luglio 2011.

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