Vittorio Arrigoni. Necessario capirne la morte per rendergli onore

Non si puoi mai essere abbastanza misurati e attenti quando si onorano esistenze come quella di Vittorio Arrigoni, ennesimo rappresentante di quei pochi Italiani ancora capaci di credere, vivere e morire in nome di ideali disinteressati e universali, come quello del restare umani, in uno dei contesti contemporanei più rappresentativi del nostro tempo, la striscia di Gaza, Palestina.
Questa cautela e questa attenzione non ci possono però vietare di dire chiaramente quello che i grandi mezzi di informazione non possono e non vogliono dire; e di dirlo nonostante il rischio evidente di passare per guerroccultisti e dietrologi – un’accusa molto frequente contro chi cerca faticosamente di comprendere cosa accade realmente intorno a noi.
Non basta nemmeno dire che oggi, a causa delle posizioni internazionali del nostro Paese, del suo piatto allineamento alle coalizioni "occidentali" che giustificano con un astratto democracy building i più improponibili interventi militari, come quello in corso in Libia – non basta nemmeno, dicevamo, dire che la morte di Arrigoni è dovuta al fatto che la cooperazione italiana è militarizzata, anche se è indubbiamente logico e vero.
Dobbiamo ricordare infatti che in Palestina e in tutto il Vicino Oriente si combatte da decenni una guerra sucia, una "guerra sporca", per usare un’espressione ben nota a chi si è occupato della strategia della tensione in Europa, in America Latina e nel Sud-est asiatico: una guerra nella quale, come ha dimostrato G. Colonna in alcuni punti fondamentali di Medio Oriente senza pace, l’islamismo radicale è diventato dapprima strumento della politica anti-comunista ed anti-sovietica occidentale (si veda per tutti il caso dell’Afghanistan), per poi essere utilizzato da Israele come giustificazione della propria politica di occupazione militare della Palestina e di ricerca dell’egemonia nell’intero Medio Oriente.
In questa logica, Israele ha consentito la nascita di Hamas fin dalla fine degli anni Settanta, col preciso scopo di controbilanciare ed indebolire l’Olp di Arafat, come è stato affermato non solo da una serie di fonti occidentali (si veda per tutti Richard Sale, Hamas History Tied to Israel, UPI, 18 agosto 2002) ma dallo stesso ex-presidente egiziano Hosni Mubarak che, in una intervista del 26 marzo 2002, dichiarava al giornale al-Nahar:
"Israele ha fondamentalmente creato Hamas. Lo avevo già detto a Yitzhak Rabin che, avendo preso a lamentarsi di Hamas, ci ha spiegato che era stato un errore. In realtà, Israele ha creato Hamas per contrapporla all’Olp e a Yasser Arafat".
Questo ovviamente non significa che il movimento islamista non sia poi diventato un nemico reale per Israele; così come avvenuto per i talebani in Afghanistan e in Pakistan; o per la sempre più fantomatica Al Qaeda. Intendiamo dire semplicemente che la presenza di questi movimenti, la loro caratterizzazione terroristica ed il loro dipendere da inesauribili fonti finanziare legate all’occidente, come l’Arabia Saudita, ha giustificato quella generale strategia anti-terroristica occidentale, varata sul finire degli anni Ottanta dai più alti esponenti della classe dirigente mista israeliano-americana, come ben documentato dal già ricordato libro di Colonna – una strategia che ha motivato l’impegno militare diretto occidentale in Medio Oriente, a partire dal 1991.
Questo meccanismo, occorre dirlo chiaramente, ha funzionato e funziona perfettamente: oggi il movimento di resistenza e di opposizione palestinese è dilaniato da faide sanguinose; il processo di pace è definitivamente bloccato; i documenti di Wikileaks recentemente pubblicati mostrano come l’Anp, per contrastare Hamas, sia arrivata ai compromessi più umilianti con Israele e con gli Usa; la sanguinosa operazione Piombo fuso, giustificata dall’egemonia di Hamas, è stata accettata passivamente dalla comunità internazionale, nonostante abbia definitivamente annientato il tessuto socio-economico e politico di Gaza; intanto lì, nelle ultime settimane, sono stati uccise una ventina di persone in varie azioni militari israeliane, nella più grande indifferenza mediatica.
La guerra sporca che utilizza attentati, provocazioni e infiltrazioni, omicidi mirati, operazioni belliche vere e proprie, è quello che accade in Palestina, ed Arrigoni è un caduto di questa guerra. Chi sono gli autori della sua uccisione? Una frangia estremista di Hamas? Una cellula salafita "fuori controllo"? Un gruppo armato che Israele favorisce per indebolire politicamente Hamas? Non lo sappiamo al momento, forse lo sapremo presto, forse non lo sapremo mai.
Quello che è certo è che vittime innocenti come Vittorio Arrigoni, se non comprese in questo contesto, preparano l’opinione pubblica ad accettare il dominio del più forte, mettendo in ombra i diritti dei Palestinesi, generando il desiderio di stabilità e di ordine, anche a prezzo dell’uso spregiudicato della forza delle armi, finendo per giustificare interventi "preventivi" che Israele sta predisponendo per una normalizzazione definitiva, nei suoi piani, del Medio Oriente, progetto di cui l’Occidente è pienamente consapevole e, in molti casi, complice.
Che i molti militanti palestinesi in buona fede (di Hamas, dell’Anp o degli altri gruppi e gruppuscoli mediorientali) non possano ormai uscire da questa spirale, non può sorprenderci; che governi come quello italiano ritengano di non dover spiegare nulla al nostro popolo di quanto sta accadendo, non fa meraviglia; che la pletora di esperti in strategia che sempre più spesso affollano i media italiani non abbia nulla da dire in proposito, è del tutto naturale.
A noi resta comunque il dovere, per non tradire la memoria di uomini come Arrigoni, di sottolineare che la sua morte è parte di questa guerra senza né onore né gloria, nella quale resta però intatto il valore di chi è pronto a sacrificare la propria vita per un alto senso di umanità, senza per questo chiedere niente in cambio, ritenendo di fare semplicemente il proprio dovere e con questo di dare alla propria esistenza un senso compiuto.
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