Le rivelazioni di Wikileaks nello scenario mediorientale

Dunque la diplomazia occidentale è un colabrodo che perde acqua da tutte le parti. Se saranno necessarie settimane per avere un panorama completo dei 250mila file desecretati dal sito pirata Wikileaks, le anteprime opportunamente filtrate da una pattuglia di quotidiani internazionali, New York Times, Guardian, Le Monde, El Paìs, Der Spiegel, in collaborazione con lo stesso sito ("Abbiamo un accordo. Wikileaks non può mettere online nulla senza la nostra approvazione" ha spiegato Sylvie Kauffmann di Le Monde), sono servite ad orientare il pubblico verso le indiscrezioni più succose, o meglio, verso quelle su cui esisteva l’intenzione di concentrare i riflettori.
Tra le voci più clamorose che escono dall’ombra delle segrete stanze diplomatiche, quelle relative lo scenario mediorientale appaiono come le più suscettibili a influenzare la politica odierna e dell’immediato prossimo futuro.
Il re saudita Abdallah esorta gli americani a "tagliare la testa del serpente", ad attaccare cioè l’Iran prima che possa diventare una potenza nucleare. Sulla stessa linea gli Emirati Arabi, Giordania, Egitto, Yemen, per cui l’Iran è, di volta in volta, "il diavolo" o una "minaccia esistenziale".
Non si tratta di novità clamorose. Negli ultimi tempi la tensione tra Ryad e Teheran aveva toccato dei picchi, con i clan sauditi (sunniti wahabiti) sempre più allarmati dall’influenza iraniana presso le turbolenti minoranze sciite della penisola araba e per il presunto sostegno alla guerriglia Houti dello Yemen.
Ben altre indiscrezioni erano trapelate negli scorsi mesi: sottomarini nucleari israeliani che attraversano il canale di Suez scortati dalla marina militare egiziana per andarsi a posizionare nel Golfo Persico; l’Arabia saudita pronta ad aprire un corridoio aereo ai bombardieri di Tel Aviv per consentire loro di giungere in tutta tranquillità al cuore dell’Iran. Le smentite non erano state sufficienti a rasserenare il clima nella regione.
Le attuali indiscrezioni, a confronto, sembrano più che altro voci di disturbo. E come tali sono state interpretate in una conferenza stampa dal presidente iraniano Ahmadinejad, che ha accusato apertamente gli americani di aver ordito un complotto: "Si tratta di pezzi di carta che non hanno alcun valore legale e nessuno perderebbe tempo a dargli una occhiata. Le nazioni della regione sono per l’Iran come amici e fratelli e questi atti tesi all’inganno non avranno alcun effetto sulle nostre relazioni".
Una coincidenza è completamente sfuggita alla stampa italiana. Proprio mentre venivano divulgate le rivelazioni di Wikileaks, il premier libanese Saad Hariri si trovava in visita ufficiale in Iran per una missione delicatissima. Il Libano è stato l’epicentro della diplomazia mediorientale degli ultimi tempi. Il monarca saudita Abdallah vi si è recato la scorsa estate per una visita ufficiale che mancava da decenni; il presidente iraniano Ahmadinejad ha avuto il suo bagno di folla a Beirut e nel sud sciita del paese a metà ottobre. E’ in Libano, infatti, che potrebbe scoppiare a breve il bubbone capace di travolgere tutta la regione.
Da mesi ormai negli ambienti diplomatici circola la voce che il Tribunale speciale dell’Onu per il Libano (TSL) guidato dal giurista italiano Antonio Cassese, sarebbe in procinto di incriminare i vertici di Hezbollah per l’omicidio del leader sunnita libanese Rafic Hariri, padre dell’attuale premier Saad, avvenuto a Beirut nel 2005 con uno spettacolare attentato.
Questo porterebbe senza dubbio ad una situazione drammatica nel Paese dei Cedri. Da una parte la componente filo-occidentale di Saad Hariri, che ha come sponsor più immediato proprio l’Arabia Saudita; sull’altro fronte il Partito di Dio sciita libanese (Hezbollah) e i suoi profondi legami con l’Iran.
Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha già fatto chiaramente intendere che il suo movimento non accetterà mai questa manovra attribuita a Stati Uniti ed Israele per mettere fuori gioco gli sciiti libanesi. Sembra che Hariri si trovasse in Iran proprio per scongiurare questa ipotesi da guerra civile. Infatti, anche se l’incriminazione dovesse avvenire, solo una dichiarazione dello stesso premier Hariri che sconfessasse le conclusioni del Tribunale Internazionale, potrebbe impedire lo scontro frontale tra le due componenti maggiori che formano l’attuale governo di unità nazionale.
La reazione di Ahmadinejad alle veline di Wikileaks, di cui si è dato conto, è tutta tesa ad ammorbidire i toni. Resta da verificare quali saranno le reazioni della controparte. In questo senso è possibile che la tempesta diplomatica sia orchestrata al fine di influenzare l’Arabia Saudita e le componenti sunnite libanesi sulle decisioni da prendere.
Esiste un unico paese mediorientale, non islamico, che avrebbe tutto da guadagnare nel creare un conflitto aperto tra sunniti e sciiti in Libano, se non addirittura direttamente tra Arabia Saudita e Iran. Non è forse un caso che il quotidiano israeliano Yedioth Ahronot, in maniera quasi esultante, abbia commentato: "La minaccia iraniana non è affatto una paranoia tutta israeliana ma un incubo condiviso da tutti i leader del mondo, da Ryad a Mosca. Se Wikileaks non esistesse, avremmo dovuto inventarlo".

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