Terra, sangue, spirito? Shlomo Sand – L’invenzione del popolo ebraico

Shlomo Sand è professore di storia contemporanea presso l’università di Tel Aviv. Da questo suo lavoro si impara molto, in specie per gli interrogativi che esso fa sorgere. Innanzitutto, una vera storia del popolo ebraico comincia solo nell’Ottocento, in quella fase in cui si cercò di far corrispondere dati storici ai testi sacri, talora con esiti penosi. Prima di allora, e dopo Giuseppe Flavio e qualche altro, non v’è traccia di una storia del popolo ebraico. La Chiesa cattolica vede gli ebrei come deicidi. Le comunità ebraiche, in Palestina e fuori della Palestina, non si occupano di storicizzazione, perché involte nella preghiera, nel culto, in alte speculazioni metafisiche. E tuttavia l’Antico Testamento, più di altri testi sacri, sembra anche un libro di storia.
La tesi di Sand è articolata ma chiara. Innanzitutto, non vi è evidenza che, anche ai tempi incerti narrati dalla Bibbia, si possa parlare di un popolo ebraico, inteso come ethnos legato ad una terra. Ed in questo Sand conviene con i risultati degli studi della scuola semitistica italiana: pensiamo particolarmente, ma non solo, a quelli di Giovanni Garbini. Gli Ebrei sono tali per l’adesione, contrastata e difficile, alla fede nel Dio Unico. In realtà essi sono nomadi: ma addirittura potrebbero non appartenere nemmeno alle Dodici tribù. Nella caotica sovrapposizione di tempi, luoghi e persone dell’A.T. (ben còlta da Sand e dettagliatamente trattata dal Garbini) v’è più di qualche evidenza di provenienze da altre aree, così come v’è più di una evidenza di connessioni e debiti di pensiero con l’Egitto e con l’area iranica. Peraltro anche l’insistenza sulla discendenza da Abramo e sulle Dodici tribù (che poi sono tredici o dieci a seconda dei testi) fa supporre un legame incerto all’elemento etnico. Inoltre, i richiami alle tribù sono anche legati alla dialettica interna all’ebraismo antico e al succedersi delle fasi monarchiche, profetiche, sacerdotali. A quanto pare, il testo dell’A.T. è continuamente rielaborato, prima di assumere una forma canonica, in funzione dell’appartenenza dei redattori. V’è anche da considerare la possibilità che la discendenza sia da intendere in senso fideistico-cultuale, ovvero come appartenenza ad una determinata tradizione, come avviene per altre correnti spirituali essoteriche ed esoteriche.
Fin dal principio quindi l’unità non è di fatto solamente etnica, e non è nemmeno legata a un territorio preciso. V’è sì una città santa, che però è innanzitutto tale, non capitale di uno Stato, per quanto questo concetto moderno abbia senso per le strutture politiche di quelle epoche e di quelle specifiche zone del mondo.
Sand ha quindi molti dubbi sul fatto che, dopo la caduta del primo e del secondo Tempio e dopo l’eroica resistenza di Massada, si possa parlare di una diaspora. La diaspora è in realtà connaturata alla struttura relativamente non-etnica degli ebrei, che si connotano per la fede, non solo per il sangue e nemmeno per la terra. E l’ebraismo si diffonde in quanto fede, al pari dei culti mithraici, o del cristianesimo. A parte le minoranze combattenti, non v’è espulsione della massa degli abitanti della Palestina, come si è finora creduto: essi resteranno là, taluni mantenendo la fede dei padri, altri convertendosi all’Islam.
Le comunità ebraiche che si formano per ogni dove (perfino in Afghanistan, cosa che Sand non dice, ma che è stato oggetto di indagine da parte di Gherardo Gnoli, forse il più grande studioso mondiale della spiritualità iranica nella sua totalità) sarebbero dovute a conversioni di popolazioni locali: che poi coloro che operarono le conversioni venissero dalla Palestina o no, è da vedere. Il fenomeno è del tutto simile a quello di altre grandi religioni universali, quali il Buddhismo o l’Islam.
Non vi sarebbe dunque esilio, ma diffusione: che arriva – oltre che a Roma – fino allo Yemen, all’Africa del Nord, e di qui alla Spagna, dando origine alla comunità sefardita. Per converso, la comunità ashkenazita non proverrebbe dalla Germania, ma avrebbe origine dal regno ebraico caucasico dei Cazari, e dunque un’origine mista (a stare alla componente etnica) turanico-slava. E’ questa la famosa tredicesima tribù dell’omonimo libro di Arthur Koestler, che fu stroncato dai sionisti perché metteva in evidenza quanto Sand si sforza di dimostrare con maggiore ampiezza di documentazione scientifica. Il complesso di questi fenomeni di conversione suscita anche molti dubbi sulla trasmissione matrilineare ope sanguinis dell’appartenenza alla comunità: se è ebreo un convertito, di là dalla sua appartenenza etnica, è chiaro che dopo qualche generazione l’integrazione per via ereditaria è un fatto sociale e culturale, non biologico. Si eredita la fede nel Dio Unico, non il sangue ebraico che mai si è avuto.
Fino alla metà dell’Ottocento, l’ebraismo è dunque una fede, oggetto periodicamente di persecuzione, come avvenne e avviene a molte altre comunità religiose. Ma le comunità dei credenti ebraici non intendono tornare in Palestina. Nella loro profonda devozione, nel senso alto ed esclusivo di essere depositari di una verità inattaccabile, nelle elevate forme speculative ed esoteriche che attingono, la Terra Promessa assume dignità metafisica, e i Luoghi Santi un ruolo non dissimile da quello che possono avere Roma e Gerusalemme per un cristiano, Benares per un induista, ecc.
Ma, mentre ad esempio il cattolicesimo viene privato dall’unificazione nazionale italiana del potere temporale territoriale (ciò che avrebbe potuto favorirne la spiritualizzazione e la spinta universalistica), l’ebraismo percorre un cammino inverso. Già prima del sorgere del sionismo in senso proprio, e poi pienamente e con forza nell’alveo di questo, si tenta di fare della Bibbia un libro di storia, e soprattutto, con debiti intellettuali che arriveranno perfino al Günther (studioso razzista del periodo nazionalsocialista, non uno dei peggio peraltro) si assorbe in pieno l’ideologia sostanzialista, come la chiama Sand, del sangue e suolo. Una fede religiosa viene insomma laicizzata e trasformata in un etnonazionalismo a tutto tondo, processo pel quale rimandiamo specialmente alle dettagliate ricerche di G. Colonna, anche per le intuibili e ben note conseguenze politiche.
Il punto di vista delle comunità religiose ebraiche attirerà il disprezzo degli orgogliosi sabra israeliani, come ha bene evidenziato Tom Segev nel suo Il Settimo Milione. E tuttoggi non si dà spazio a sufficienza al punto di vista dei credenti ebrei che non hanno sposato l’ideologia del sangue e suolo, ma si tengono fermi incrollabilmente alla fede dei padri, la terra tutta essendo luogo d’esilio rispetto alla Gerusalemme celeste.
Sand riporta alla fine del suo lavoro le vicende degli attuali studi di biologia umana, fotocopia esatta delle ricerche genetiche ed eugenetiche tentate dagli angloamericani e quindi dai nazionalsocialisti. Taluni scienziati israeliani sono a quanto pare alla ricerca del gene ebraico, con esiti che (se è vero quanto dice Sand), se non riempissero di tristezza, susciterebbero un riso amaro. E’ una parte del libro che si legge comunque con profondo disagio, poiché vi si citano fatti che non sono nullameno di puro razzismo: ben altra cosa dalla idea – esclusiva ed orgogliosa quanto si vuole – di essere il popolo eletto, che Sand accredita all’ebraismo in quanto religione. Di supposti eletti e perfetti e rinati è piena la storia dell’umanità, senza che ne siano scaturite forme di razzismo. Guerre invece sì.
Così come lo espone lo studioso, saremmo dunque di fronte ad un altro esito nefasto della secolarizzazione. Le grandi religioni orientali si sono trasformate in modo morbido in ritualità a tutto detrimento della dimensione metafisica. Analogamente, il cattolicesimo e le chiese riformate. L’Islam riscopre forme di radicalismo aggressivo non certo legate al sangue e al suolo, e per questo esportabili e pericolose. La comunità israeliana sionista – a dire del Sand – sembra invece essere rimasta fra i più cospicui esponenti dell’etnonazionalismo più puro.
Valuterà il lettore, tanto più che lo studioso israeliano è riuscito a scrivere un testo comprensibile su una questione intricatissima, e che tale a nostro avviso rimane.
Due osservazioni finali. Il capitolo introduttivo sulla definizione di popolo soffre della mancata conoscenza di moltissime fonti, europee ed italiane: è uno sforzo, comprensibile e legittimo, di offrire alla nozione di popolo uno statuto non solo etnico. Tuttavia il lettore, pur apprezzando, non potrà non notare che la concettualizzazione potrebbe essere più nitida.
Infine, si sente il bisogno di un complemento di studio che renda giustizia alla dimensione interiore della religiosità ebraica. Sand è un contemporaneista, probabilmente laico. Tuttavia un maggior riguardo per la natura spirituale dell’ebraismo non avrebbe guastato. A volte ci sono dei passaggi in cui sembra che le conversioni siano un fatto di comodo o di compatibilità funzionale. Probabilmente vero. Ma non crediamo sia tutto qui. Il cammino del Dio Unico nei cuori umani ha avuto, ed ha, ben altra grandezza.

Shlomo Sand, L’invenzione del Popolo Ebraico, Rizzoli, 2010

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