Il regime iraniano sull’orlo di una crisi di nervi?

Lo show di Ahmadinejad all’Onu, in occasione della conferenza sulla povertà, non salverà certo l’Iran da un possibile futuro attacco. Il presidente iraniano possiede il raro pregio di dire cose, che meriterebbero almeno un approfondimento, nei tempi e nei modi peggiori, ovvero nel momento più opportuno per farsi facilmente strumentalizzare dal mainstream mediatico occidentale.
La dichiarazione svolta dalla tribuna delle Nazioni Unite secondo cui "segmenti del potere statunitense hanno orchestrato l’11 settembre", infatti, è stata fatta apparire superficiale e rozza poiché non opportunamente contestualizzata e sostenuta da un ampio ragionamento (1). In questo senso essa non può certo aiutare il movimento per la verità sull’11 settembre, che si vedrà ora appiattito dai suoi avversari sul "negazionista" ed "antisemita" presidente iraniano. Ed è stata considerata non nel merito ma quale sprezzante provocazione in risposta ad un Obama che poche ore prima si era mostrato visionario sulla pace in Palestina ("il prossimo anno potremo avere un nuovo stato indipendente e sovrano all’Onu") ed aveva poi invitato il paese degli ayatollah a "varcare le porte del dialogo".
C’è da chiedersi se queste fughe in avanti del leader iraniano siano dettate da ignoranza dei più elementari meccanismi della comunicazione, se perseguano scopi e strategie che non ne tengono conto (magari di politica interna al suo paese o di propaganda regionale), o si tratti molto semplicemente di un ormai scoperto gioco delle parti.
Di certo, appena due giorni prima, Ahmadinejad si era mostrato estremamente abile ed aveva spiazzato tutti. Appena giunto a New York, nel rilasciare una intervista ad una delle esponenti di punta del giornalismo americano, Christiane Amanpour, per l’emittente ABC, aveva dichiarato a proposito delle polemiche tra l’Iran e la première dame francese Carla Bruni sul caso Sakineh: "Un giornale può forse insultare la sposa di un presidente? L’Islam lo permette? Si tratta di attacchi paragonabili a crimini e se ci sono colpevoli questi vanno puniti".
Il quotidiano iraniano Kayhan, di orientamento ultraconservatore e il cui direttore è nominato dalla Guida Suprema (tanto da essere considerato, superficialmente, una sorta di organo di stampa di tale istituzione), nei giorni precedenti aveva preso una violenta posizione nei confronti di Carla Bruni, rea di sostenere la campagna internazionale contro la lapidazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani, apostrofandola quale "prostituta" che "merita la morte".
Sul controverso caso della donna iraniana, il presidente Ahmadinejad aveva quindi voluto smentire le notizie circolate sulla stampa mondiale nelle ultime settimane: "La notizia della condanna alla lapidazione è falsa e fabbricata da qualcuno ma purtroppo ha infettato i media americani. La signora Mohammadi è ancora sotto processo e mi stupisce che una donna che vive in un villaggio iraniano sia diventato un caso tanto importante per le vostre autorità". Alle vivaci rimostranze della Amanpour sulla veridicità delle notizie riportate dalla stampa, tanto che la condanna alla lapidazione sarebbe stata bloccata dalle stesse autorità iraniane, Ahmadinejad ha risposto serafico: "Dovrei essere al corrente di quanto afferma ma non ne so nulla, perché non vi è mai stata la sentenza di lapidazione, e anche tutto il resto non ha fondamento. È frutto della propaganda degli stessi assassini che adesso fanno i difensori dei diritti umani".
L’intervista è stata un colpo di teatro escogitato dal presidente iraniano? O nasconde aspetti più interessanti oltre lo smascheramento delle inesattezze su cui si fonda gran parte della campagna mondiale, cominciata con un manifesto del filosofo francese Bernard-Henri Levy, in difesa di Sakineh?
Diversi analisti hanno visto nella vigorosa presa di distanza dal quotidiano Kayhan, addirittura un nemmeno tanto celato attacco verso la Guida Suprema, Ali Khamenei.
Secondo Ali Akbar Mahdi, professore di sociologia negli Stati Uniti e autore di numerosi volumi sull’Iran, "Khamenei sta iniziando a capire che al suo presidente tanto obbediente il potere piace molto, che il ruolo avuto finora gli sta stretto. E Ahmadinejad, certo di arrivare tra tre anni alla fine del mandato che tanto per lui sarà l’ultimo, ha iniziato ad agire in modo più imprevedibile e controverso del previsto" (2).
Gli entourage dei due massimi esponenti della Repubblica islamica paiono in effetti sempre più consolidarsi su posizioni non omogenee. Si trovano contrapposizioni nei mezzi di informazione, in Parlamento, tra i membri del governo, nella magistratura, tra le forze di sicurezza.
Uno degli epicentri dello scontro è rappresentato dal consuocero di Ahmadinejad e fedelissimo della prima ora del presidente, Esfandiar Rahim Mashai. Controverso e inviso a Khamenei, per lui si era già sfiorato lo scontro istituzionale in passato. La Guida Suprema era infine riuscita ad ottenerne le dimissioni dall’esecutivo (vice-presidente) ma Ahmadinejad lo ha tenuto al suo fianco nominandolo capo gabinetto e ritagliandogli un ruolo su misura come inviato speciale per il Medio Oriente. Proprio in questa funzione Mashai ha spesso scavalcato il ministro degli Esteri Manucher Mottaki, che ha mostrato una certa insofferenza.
Mashai, soprannominato "Rasputin" dagli avversari, una sorta di anima nera di Ahmadinejad, ha più volte manifestato il progetto di fondare una nuova concezione di islam tutto fondato sulla identità iraniana, un islam laico e nazionalista e molto poco clericale. Una visione che potrebbe minare alle fondamenta gli attuali equilibri della Repubblica islamica.
Ma i dissapori arrivano anche dal presidente del Parlamento, il conservatore pragmatico Ali Larijani, che accusa Ahmadinejad di boicottare le leggi dell’assemblea benché non abbia alcuna autorità in merito. Affianco a Larijani altri esponenti conservatori, come una figura in grande ascesa, il sindaco di Teheran Ghalibaf e il consigliere speciale di Khamenei, Ali Akbar Velayati, da sempre critico di Ahmadinejad.
Lo scorso 24 agosto Khamenei ha infine rotto gli indugi, e in modo piuttosto irrituale, per porre un freno ai dissidi interni. Proprio nei giorni in cui il paese festeggiava, dopo anni di lavoro e rinvii, l’inaugurazione della centrale atomica di Busher, un indubbio successo anche di immagine per il paese, Khamenei dichiarava davanti alle telecamere: "Ho lanciato un serio monito ai nostri funzionari affinché non rendano pubbliche le loro divergenze di opinione" (3). Parole che una Guida Suprema non aveva mai avuto il bisogno di pronunciare.
Su Slate.fr alcune indiscrezioni potrebbero spiegare le motivazioni più profonde di tale irritualità. Addirittura uno scenario da guerra civile. Il 23 agosto, gruppi di agenti del Vevak (i servizi segreti, il cui capo è nominato dalla Guida Suprema) hanno affrontato armi in pugno dei pasdaran (Guardiani della Rivoluzione, considerati il blocco di potere dietro Ahmadinejad) in pieno centro di Teheran, dando vita ad una autentica battaglia. Questa la ricostruzione dei fatti.
Agenti del Vevak hanno fatto irruzione in un appartamento situato in un quartiere elegante di Teheran, proprio nei pressi del quartier generale dei pasdaran. In realtà l’appartamento era un centro d’ascolto ad uso dei Guardiani della Rivoluzione, dotato di sistemi elettronici per lo spionaggio e videocamere per il controllo degli edifici circostanti. Gli uomini del Vevak hanno confiscato del materiale ma, all’atto di abbandonare l’edificio, sono stati affrontati da pasdaran in borghese che pretendevano la restituzione di tutte le prove confiscate. Ne è scaturito un nutrito conflitto a fuoco che si è esteso ben presto a tutto il quartiere. Infine l’intervento di alti funzionari in divisa dei pasdaran ha costretto gli uomini del Vevak al cessate il fuoco ed a restituire tutti i materiali prelevati.
Oltre la rivalità storica tra i due ordinamenti, reciproche accuse hanno infiammato gli animi tra queste strutture negli ultimi mesi. I Guardiani dubitano della lealtà dei servizi segreti: da loro sarebbero giunte informazioni riservatissime sia al Mossad che all’opposizione, in particolare quelle concernenti il programma nucleare. Di contro al Vevak ritengono che i pasdaran siano all’origine delle false notizie sullo stato di salute di Khamenei (indiscrezioni lo avevano dato anche per morto in passato), nel tentativo di destabilizzarne il potere.
Come sottolinea l’autore dell’articolo (4), le notizie di questi eventi sono filtrate attraverso gruppi dell’opposizione iraniana e i servizi informativi israeliani. Vanno pertanto considerate con la massima cautela. E tuttavia i casi sono due. Se vere rappresentano fatti di grande gravità e allarme; se false, delineando un tentativo di disinformazione, tuttavia si innestano in un contesto e sfruttano un quadro preesistente che denota un clima di straordinaria tensione.
Gli apparati statali iraniani hanno scelto il momento meno opportuno per dividersi (o il più opportuno, a seconda della visuale), ed avrebbero molto più motivo di preoccuparsi, piuttosto che delle rispettive rivalità, delle notizie che giungono dall’estero, in questo caso da Mosca. Il presidente Medvedev ha firmato il decreto che sospende definitivamente la fornitura all’Iran delle batterie di missili difensivi S-300, in quanto materiale bellico facente parte dell’ambito delle sanzioni Onu (5).
I russi cedono alle pressioni di Stati Uniti e Israele (la dotazione di S-300 vanificherebbe la minaccia di un attacco ai siti nucleari iraniani) e presentano un conto salato: Mosca vuole da Washington tecnologia hig-tech per il suo settore militare, "non i prodotti finiti" ha specificato il ministro della Difesa Anatolj Serdjukov, "vogliamo accedere al know-how tecnologico per poi produrre in territorio russo". L’omologo americano Robert Gates riceverà una lista dettagliata dei desiderata russi ma talune richieste potrebbero scontrarsi coi limiti imposti dalla legislazione americana in materia. Poco male, da Mosca fanno sapere di essere pronti a rifornirsi dagli alleati. Francia, Germania, Italia, ed in particolare Israele.

(1) I termini di tale ragionamento vengono invece analizzati e considerati in maniera puntuale da Pino Cabras in: "Ahmadinejād e l’11/9", Megachip, 25 settembre.
http://www.megachipdue.info/finestre/zero-11-settembre/4631-ahmadinejd-e-l119.html
(2) Cecilia Zecchinelli, "Ahmadinejad difende Carlà", Corriere della Sera, 20 settembre 2010
(3) "Risse di regime nei palazzi di Teheran", Il Foglio, 25 agosto 2010
(4) Jacques Benillouche, "Affrontement sanglant entre les factions du régime des mollahs", Slate.fr, 28/08/2010
http://www.slate.fr/story/26549/Iran-guerre-ahmadinejad-regime
(5) Antonella Scott, "Mosca prende le distanze dall’Iran: niente più missili", Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2010

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