Riprendiamo, per concessione dello stesso autore, un articolo redatto da un rappresentante interno al mondo bancario e già pubblicato sul bollettino sindacale Fiba Cisl. Questo articolo ci appare di grande importanza proprio perché rappresenta una testimonianza di chi, per professione, giorno dopo giorno vive le questioni di cui parla per immediata e diretta conoscenza. Ne risulta, al contempo, un coraggioso grido di dolore e un generoso atto d’amore. Le critiche, infatti, pur derivando da una palese condizione di disagio, sono sempre indirizzate al miglioramento ed alla crescita armonica di una azienda che è sentita e vissuta come "propria".
Riteniamo importante pubblicare questo pezzo poiché, pur riguardando una fattispecie particolare, ci sembra la testimonianza di un modus operandi che possa essere facilmente esteso come paradigma d’azione alla generalità degli attori del sistema bancario italiano e mondiale. In controluce si possono infatti vedere meccanismi, comportamenti e strategie che, sicuramente altrove con anche maggiore aggressività e spregiudicatezza, hanno modellato l’attuale sistema finanziario e hanno condotto, come concausa, alla devastante crisi globale attuale.
Una nuova banca di Lovanio Belardinelli
L’attuale crisi finanziaria internazionale è un uragano che ha divelto il tetto del sistema finanziario mettendo a nudo le magagne che vi si nascondevano. Tuttavia sarebbe troppo comodo affermare che da questo edificio nulla fosse trapelato nel corso degli anni passati. Ambizioni legate alla carriera personale, interessi economici, supina acquiescenza, un codardo "modus vivendi" hanno fatto si che molti che avrebbero potuto denunciare e parlare sono rimasti muti oppure hanno espresso il loro dissenso in punta di piedi permettendo quindi che i problemi si ingigantissero e divenissero patologici.
Pure nel nostro Gruppo [ovvero Unicredito s.p.a., n.d.r.] sono emersi fatti sui quali solo ora è iniziato un serio approfondimento.
In primis è caduto il principio di "infallibilità" del nostro top management. L’acquisto di Capitalia nel nostro paese e di alcuni altri investimenti effettuati nei paesi del centro Europa a prezzi probabilmente eccessivi, ha fatto comprendere che la strategia di espansione perseguita dal Gruppo Unicredito presentava delle evidenti carenze di analisi e, almeno per quanto concerne l’operazione in Italia, forse risentiva di influenze e pressioni di natura non propriamente economica.
Ma il secondo aspetto che ci riguarda più da vicino è la consapevolezza che la "meravigliosa" macchina da combattimento allestita e, che finora (in apparenza) aveva marciato inarrestabile verso la vittoria, sta entrando in panne. Mi riferisco, in particolare, alla nostra banca retail. A sollevare il coperchio di questa sgradita sorpresa sono stati, principalmente, i clienti che hanno iniziato a verificare con sempre maggiore attenzione i risultati dei loro investimenti e, più in generale, il rapporto con il nostro Istituto.
Da tutto questo risulta palese la crisi del modello commerciale finora implementato dalla nostra Banca. Nel corso degli ultimi cinque anni il Gruppo Unicredito è stato prodigo in enunciazioni di principio e iniziative di vario genere volte ad esaltare il miglioramento del rapporto con il cliente.
Dalla Carta di Integrità alla Customer Saticfaction l’azienda, nei suoi propositi, ha posto il cliente al centro dell’attenzione ritenendo (a mio avviso giustamente) che il patrimonio più importante di una banca sia rappresentato dal grado di soddisfazione e di fiducia stabilito con la clientela.
In modo altrettanto spinto, tuttavia, si è implementata una politica commerciale aggressiva finalizzata al raggiungimento di obiettivi di "vendita" immediata, particolarmente ambiziosi.
Balza immediatamente agli occhi l’evidente contraddizione tra queste due "anime".
Customer Saticfaction e budgets "sfidanti" (come vengono definiti dalla stessa Direzione) non possono trovare posto nella stessa concezione di pensiero. I principi di correttezza professionale che vengono esplicitati come i cardini sui quali è fondata l’attività del dipendente che opera nella rete commerciale, vengono di fatto disattesi dalla stessa direzione nel momento in cui vengono elaborate politiche commerciali stringenti che spingono il collega a privilegiare l’atto di vendita in sé e non come naturale completamento di un iter basato su una articolata, organica, esaustiva analisi delle problematiche del cliente.
In sostanza la banca (intesa come Direzione) ha cavalcato contemporaneamente due ruoli tra loro antagonisti. Nel primo ha esaltato la figura del dipendente consulente, cioè della persona in grado di risolvere "problemi": coscienziosa, seria, valida in termini professionali.
Nel secondo si è via via trasformato il rapporto di lavoro di gran parte dei colleghi che operano sulla rete, in una mera attività di vendita, potenzialmente pericolosa per tutti. Per il cliente che rischia di non vedere soddisfatte le proprie specifiche esigenze finanziarie; per il dipendente che non trova stimoli in una attività sempre più standardizzata e quantitativa; per la banca che vede diminuire il grado di fedeltà della clientela.
La gestione del personale, d’altronde, ha consolidato questo perverso dualismo privilegiando una formazione basata sulla vendita e sullo sviluppo delle doti commerciali e legando i percorsi di carriera all’ "efficienza commerciale" del singolo.
Questa evidente de-professionalizzazione colpisce gran parte delle mansioni previste dall’organigramma aziendale di rete. Nel corso degli anni la Banca ha perseguito la "specializzazione" dei ruoli, ma ha svuotato di effettiva conoscenza le corrispondenti mansioni lavorative. Conseguentemente la decantata specializzazione spesso è una scatola vuota che contiene conoscenze di base solo per alcuni prodotti standard.
Un esempio per tutti si può individuare nel gestore "personal banking" erede di quello che un tempo veniva chiamato (secondo le banche) operatore titoli od operatore di borsino ma che oggi è focalizzato su prodotti standard quali polizze vita, fondi comuni di investimento, ecc..
Alla de-specializzazione si associa negli operatori della rete la consapevolezza che l’atto di vendita richiede sempre più spesso il trasferimento al cliente di una dose notevole di rassicurazione; il che equivale a dire mettere in campo rapporti personali di stima e di fiducia.
Per far sì che i risultati commerciali siano aderenti ai piani elaborati, la Banca da tempo ha rivolto la propria attenzione alla piccola e media dirigenza (dai direttori di centro impresa fino ai direttori regionali) che è stata all’uopo formata e motivata. Cosicché, pure questi ruoli di sintesi hanno perso parte della professionalità che fino a pochi anni fa si riscontrava ad analoghi livelli di responsabilità. Il middle management è prevalentemente impegnato in attività di controllo sulle performances commerciali dei colleghi che operano nella rete, ma fornisce sempre di meno un effettivo sostegno professionale.
Nell’attuale grave situazione congiunturale e aziendale occorre un deciso colpo di timone per quanto concerne la strategia fino ad ora implementata. Attualmente, anche il meno esperto tra gli operatori bancari ritiene necessaria ed ineludibile una profonda riflessione della politica commerciale della nostra Banca retail.
Questo significherebbe dare concretezza alle affermazioni di principio a gran voce affermate ma di fatto non applicate. La centralità del cliente, il rispetto e la tutela dei suoi interessi, la consulenza fatta per "consigliare" e non per "vendere": queste dovrebbero essere le componenti della "rivoluzione" da intraprendere.
E’ indispensabile anche una politica di gestione del personale che sia coerente e correlata con questa "nuova" mission. La professionalità e l’esperienza dovrebbero essere premiate insieme alle capacità espresse nell’area commerciale, purché queste ultime esplicitate in un trasparente rapporto con il cliente.
Secondo una corretta logica aziendale tale nuova strategia dovrebbe essere proposta e consigliata all’alta direzione proprio dalle figure di sintesi di cui ho appena fatto cenno. Il middle management dovrebbe divenire la cinghia di trasmissione tra i livelli operativi di rete che hanno il termometro della situazione (e ce lo hanno da lungo tempo..) ed i livelli di alta managerialità impegnati nelle strategie interne ed esterne.
A questa logica organizzativa fa riscontro l’osservazione empirica che tanti colleghi, dirigenti di medio livello, si sono nutriti nel brodo di cultura aziendale fondato sui numeri, sul pedissequo raggiungimento del budget, sui successi e sui trends commerciali di breve periodo, tutti aspetti che ritengo in contrasto con il concetto di qualità, intesa (seppur sinteticamente) come approccio globale e di lungo termine al cliente.
Pertanto, senza escludere a priori nessuna "conversione sulla strada di Damasco", ritengo che lo sforzo maggiore debba essere affrontato, in prima persona, dagli stessi colleghi che giorno dopo giorno si correlano con i clienti, i loro problemi, le loro esigenze.
Questi dovranno di volta in volta, vagliare le specifiche situazioni e consigliare secondo "coscienza", cercando di rimanere slegati dai numeri indicati nei budgets o dalle pressioni commerciali esercitate dai singoli responsabili di area.
Sarà facile tutto questo? Sicuramente no; soprattutto nel principio prevedo forti resistenze.
Ma è d’uopo che i grandi cambiamenti richiedono anche grandi sforzi (e perché no, pure qualche rischio).
La posta in gioco? Il futuro della NOSTRA Banca e la tranquillità di poter guardare in faccia i nostri clienti.
Credo che non siano risultati da poco.