Le multinazionali del petrolio tornano in Iraq. Prima la Shell

Negli anni ’70 il governo dell’Iraq (ancor prima dell’avvento al potere di Saddam Hussein) aveva nazionalizzato la più grande risorsa strategica del paese: il petrolio. L’evento era stato l’esempio più significativo del processo di decolonizzazione, in particolare dalla Gran Bretagna. Ora, a decenni di distanza, dopo che l’Iraq ha visto quasi ininterrottamente guerre ed embarghi negli ultimi 30 anni, le multinazionali dell’energia tornano a Baghdad.
Linda Cook, direttore esecutivo della Royal Dutch Shell, ha annunciato durante una conferenza stampa col ministro del Petrolio iracheno Hussein Sharistani, che la compagnia anglo-olandese ha riaperto i propri uffici nella capitale e sottoscritto un contratto del valore di 4 miliardi di dollari per lo sfruttamento del gas nel sud, nella regione di Bassora. Ma questo è solo il primo passo, la Shell spera di consolidare ed aumentare al più presto la sua presenza, anche se questo primo accordo rappresenta secondo la Cook "una pietra miliare".
L’Iraq ha una delle riserve più grandi di gas naturale al mondo. L’attuale accordo prevede inizialmente lo sfruttamento di quel gas che si produce dall’estrazione del petrolio e che al momento viene bruciato, perdendosi. La Shell porterà la tecnologia adatta per questa operazione e potrà quindi cominciare ad esportare il gas.
Secondo l’ex ministro del Petrolio iracheno (dal 1987 al 1990, prima della Guerra del Golfo), Issam Chalabi, il paese sta svendendo le sue risorse. Quando era ministro tale pratica di ottenere il gas durante l’estrazione di petrolio era perfettamente conosciuta ed applicata in Iraq. Solo la guerra e i successivi embarghi hanno prima fatto perdere e poi impedito al paese di recuperare quella tecnologia, ora l’accordo con la Shell farà guadagnare all’Iraq 4 miliardi per una risorsa che tra pochi anni potrà valere 40.
E non si tratta di nazionalismo, ma anche più semplicemente di affari. Secondo Chalabi e molti altri analisti, l’accordo è stato fatto in segreto fino al suo annuncio, e non si è lanciata nessuna gara d’appalto. Perché proprio la Shell, e non piuttosto la Exxon o Gazprom? Secondo Chalabi si è forse trattato, molto semplicemente, di un "bottino di guerra".

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