L’Europa non è un ideale. Non lo è ancora, ma alcuni di noi vorrebbero che lo fosse.
Si parla tanto di Europa: tanto inchiostro, prime pagine dei quotidiani, interviste ed incontri. Ma l’Europa viene affrontata come uno dei tanti "problemi" che una società come la nostra "deve affrontare". Senza il cuore. Senza un comune sentire. Senza la passione di chi sa di combattere per una giusta causa ed è disposto a sacrifici e impegni per conquistarla. Non c’è pathos.
L’Irlanda, un piccolo paese, con il suo no al referendum sull’adesione al trattato di Lisbona, sembra aver bloccato il processo di evoluzione dell’unità europea. Tutto questo è vero?
Sono profondamente convinto che i si di molti stati (ottenuti per via parlamentare) siano poco rappresentativi della volontà popolare quanto i no stabiliti da specifici referendum come accaduto in Francia e Olanda nel 2004, nell’Irlanda nel 2008.
Questo perché alla base di tutto manca il pathos, il "fortissimamente credere" che ciò possa rappresentare una nuova luce, un nuovo corso della storia.
Proviamo a pensare quello che poteva sentire il rivoluzionario parigino vissuto nel corso degli eventi che hanno portato alla presa della Bastiglia. O ancora prima l’americano, ancora suddito di sua maestà britannica, al momento in cui si è cimentato nella costruzione degli Stati Uniti d’America. Oppure il patriota italiano che fin dai primi decenni dell’ottocento lottò per l’unità dell’Italia e, soprattutto, per l’indipendenza e la libertà del suo popolo.
L’Europa è stata partorita da menti eccelse, ma che hanno operato secondo un razionale disegno finalizzato a risolvere problematiche economiche (carbone, acciaio, nucleare) e soddisfare la sentita necessità (altrettanto razionale e condivisibile) di porre fine a guerre che hanno impoverito e distrutto gran parte dei suoi territori.
Ma anche all’origine non c’era il cuore. Esisteva, piuttosto, una (o più) necessità.
Non è mai nato un "neo-romanticismo europeo" teso a costruire "la nuova Europa". Invece si è creata l’Unione Europea che vagheggia la nascita in Europa di un grande popolo ed una grande nazione ma senza voler (e poter) affrontare i nodi che costituiscono la condizione essenziale per la creazione di un vero stato unitario anche se nella forma federale.
Il metodo "cartesiano" ha costruito l’Europa. Essa è figlia delle cancellerie dei governi e delle loro diplomazie. E’ altresì il prodotto (in questo caso il termine risulta azzeccato) delle spinte e degli sforzi di gruppi economici e finanziari che vedono nell’Europa il "mercato unico".
Quale somiglianza tra il nostro Continente ed il povero Frankestein!!
Il Parlamento Europeo non rappresenta i suoi cittadini, la Commissione non governa, le altre istituzioni non sono strategiche per il futuro di questo continente.
Tutto questo si presenta come una sovrastruttura, un soffocante fardello amministrativo, un luogo di scontro di sempre più bassi interessi di parte che, di volta in volta, esprimono le istanze di governi nazionali ciechi e proni a vantaggi immediati oppure le spinte di gruppi sociali ed economici che puntano a specifici fini.
Senza voler parafrasare, l’Europa è una entità astratta. C’è, ma non c’è.
Quanti degli abitanti di questo Continente si sentono Europei?
Se fossi in grado di rispondere a questo interrogativo, avrei timore a pormelo.
I segnali della assenza di un comune spirito europeo sono numerosi e sconsolanti: quante volte il tema dell’Europa costituisce il cuore di una conversazione tra amici, conoscenti, comunque nei luoghi non deputati a questo genere di argomenti? Quanti sono i movimenti che pongono come finalità principale della loro esistenza e del loto agire la realizzazione di una Europa Unita?
Tralascio di esaminare in quanti partiti ed altre organizzazioni impegnate nella politica dei singoli stati, lo spirito europeo aleggia al di fuori, beninteso, delle esternazioni di facciata.
Forse gli unici, o la maggior parte di coloro che si sentono europei sono quei giovani studenti che in gran parte dell’Europa (progetto Erasmus per esempio) si mescolano ai loro coetanei. Studiano insieme, si conoscono, pensano insieme su progetti di vita e di cultura.
Da essi potrebbe nascere, con il tempo, un comune senso di appartenenza, una base da cui potrebbe crescere una anima europea, che senta come Suo un territorio che va dall’Atlantico alle steppe russe, dai freddi mari del nord alle dolci e temperate isole del Mediterraneo.
Ma sarebbe sciocco e quanto mai vanesio pensare che solo con uno strumento siffatto si possa inculcare nel cuore degli europei l’amore per l’Europa.
Come in tutti i grandi rivolgimenti storici e sociali, diventa assolutamente rilevante il contributo che la cultura può e deve fornire a questo processo di evoluzione. E questa è la grande assente da oltre cinquanta anni nel nostro teatrino europeo. E’ la cultura, la vera cultura, quella generata da spinte emozionali che, solo successivamente temperate e raffinate dall’intelletto, crea l’aspettativa, il desiderio per una grande impresa.
Che riesce a far comprendere come il sacrificio verso i risultati immediati e particolari sia giusto e funzionale al tentativo di raggiungere "l’apparente impossibile" risultato di far convivere gli europei in una casa comune.
Solo la cultura può fornire quella spinta ideale, quella energia costituita da un coacervo di passioni, idee, ragionamenti e desideri, in grado di rompere con il passato ed aprire un nuovo tracciato umano, sociale, politico quale potrebbe e dovrebbe essere la vera Europa nella quale io credo.
Abbiamo bisogno di novelli Mazzini e Garibaldi in grado di unire idea e azione e far nascere la nuova Europa Unita (e non dell’Unione Europea)! Abbiamo bisogno di un Risorgimento Europeo che possa sublimare le specificità dei singoli popoli in valori comuni sentiti da tutte le persone che abitano questo straordinario territorio.
Il progetto europeo, dunque, non è morto con il no irlandese o di qualche altro paese.
L’Europa che si vagheggia non è mai nata! E sta a noi, in questo preciso momento, porre i cardini, i punti fermi su cui far ruotare l’intero progetto.
Progetto impossibile?
Difficile, ma realizzabile.
Insieme.