Africa e Cina più vicine

Il terzo forum sulla cooperazione tra Cina e Paesi africani, tenutosi a Pechino dal 3 al 5 Novembre, si è concluso con una dichiarazione finale sottoscritta da tutti i partecipanti in cui si sottolinea con enfasi la nascita "di un nuovo tipo di partnership strategica" tra la Cina e l’Africa.
Oltre a dichiarazioni basate su un certo grado di astrattezza (amicizia, pace, cooperazione e sviluppo erano gli elementi cardine su cui era focalizzato il Forum), l’incontro sino-africano ha visto anche siglare importanti accordi economici e commerciali tra Paesi africani ed imprese cinesi per un controvalore pari a quasi due miliardi di dollari. I progetti spaziano dalla realizzazione di importanti infrastrutture allo sfruttamento delle abbondanti risorse energetiche di cui dispone il continente nero (non a caso alcuni analisti ritengono che l’Africa stia diventando il serbatoio di energia del gigante asiatico).
La costituzione di un vero e proprio "asse" tra Pechino e l’Africa si colloca in un contesto in cui i leader africani, che non hanno perso occasione per rimproverare a più riprese gli USA e l’Europa di averli eccessivamente trascurati, avranno più da guadagnare che da perdere. Sono ipotizzabili infatti conseguenze di natura politica ed economica: una forte diminuzione della dipendenza energetica cinese dalle aree mediorientali, politicamente instabili per definizione, con vantaggi tutto sommato reciproci: la Cina mantiene infatti un profilo politico relativamente basso, non interferendo in modo particolare negli affari interni degli Stati africani, oltre ad aver già azzerato il debito di alcuni Paesi per un controvalore di 1,2 miliardi di dollari negli ultimi anni.
Ma non mancano le osservazioni critiche: l’organizzazione Human Rights Watch fa notare infatti come sia la Cina che i Paesi africani siano ancora notevolmente indietro nell’assicurare il rispetto e la tutela dei diritti umani alle loro popolazioni. La Cina, ad esempio, fornisce armi al Sudan, prosegue il suo perdurante silenzio sulle uccisioni di massa nel Darfur, in cui si stima vi siano stati oltre 200 mila morti dal 2003, prosegue nella vendita di merci allo Zimbabwe, rompendo così l’isolamento diplomatico del Presidente Mugabe volutamente realizzato dalla comunità internazionale come leva di condizionamento per il rispetto di standard minimi di tutela della popolazione locale.

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