Gli Usa soffiano sul fuoco della crisi russo-georgiana

Putin sembra nell’occhio del ciclone. Mentre gli omicidi eccellenti del vicepresidente della Banca centrale russa Andrei Kozlov e della giornalista Anna Politkovskaja destano preoccupazione e imbarazzo al Cremlino, non accennano a diminuire le tensione al confine sud con la Georgia, malgrado la repubblica caucasica abbia liberato i quattro ufficiali russi che erano stati arrestati con l’accusa di spionaggio.
Rimangono interrotti i collegamenti tra Mosca e Tbilisi. Nell’accogliere all’aeroporto gli ufficiali liberati il ministro della Difesa Sergei Ivanov ha dichiarato che quello sarebbe stato "l’ultimo volo dalla Georgia dell’anno". Il Parlamento russo sta studiando un progetto di legge per impedire le rendite finanziarie che gli emigrati georgiani rimettono verso lo stato d’origine. Si parla di circa 2 miliardi di dollari l’anno.
Mosca non crede che l’intensificarsi della crisi sia casuale. Il ministro degli Esteri Lavrov ha rimarcato che le "provocazioni" georgiane sono aumentate dopo la visita del presidente Saakashvili a Washington, e che il vero catalizzatore del peggioramento dei rapporti è da ricercarsi nell’intenzione della Georgia di aderire alla Nato. Da parte sua Saakashvili ha risposto che il suo paese non ha nessuna intenzione di "essere trattato come il cortile di un nuovo impero".
La posta in gioco è alta. La Russia ha ancora in Georgia 4mila soldati, più altri 2mila nelle regioni secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud. È il paese cuscinetto tra la regione del Caspio e la Turchia, dove transitano nevralgiche rotte petrolifere. È quindi evidente che Putin ritenga che dietro le mosse georgiane si nasconda la longa manus degli Stati Uniti. E che, specie nel tallone d’Achille caucasico, le manovre americane tendano ad indebolire la politica estera russa.

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