Colombia: il silenzio degli innocenti

Lo scorso 22 maggio nella cittadina di Jamundì, in Colombia, dieci agenti antidroga comandati dal maggiore Elkin Molina, che al suo attivo vantava la cattura di 205 narcos nel corso degli ultimi due anni e mezzo, sono stati massacrati da un plotone di militari della terza  brigata dell’esercito impegnata  nella contro guerriglia.
In una zona dove le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, formazione guerrigliera di estrema sinistra) non operano più da anni, affermare che il fatto si possa attribuire ad un "terribile errore" diventa irreale anche per un paese dove la verità, spesso, viene scritta dal più forte (o dal più potente).
La verità che emerge è invece diversa: i poliziotti stavano confiscando un carico di cocaina appartenente al clan del mafioso Diego Montoya e questi ha ordinato ai militari di fermarli. E che i militari, servitori  dello stato, erano in realtà al servizio di un criminale non deve meravigliare più di tanto.
Uribe, presidente rieletto in questi ultimi giorni, ha espresso parole di circostanza.
La Colombia sprofonda così sempre più nell’illegalità. La  corruzione è così pervasiva nella società colombiana da far apparire stato e antistato (poteri mafiosi e guerriglia) sempre più come una unica immensa zona grigia, indecifrabile e pericolosa.

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