Un satellite israeliano per spiare l’Iran

Lo scorso 25 aprile Israele ha messo in orbita un satellite spia, frutto dell’industria aeronautica del paese, che gli permetterà di sorvegliare strettamente l’Iran. Il lancio è avvenuto da un centro spaziale nella regione dell’Amur, nell’estremo oriente russo. La notizia desta interesse per diversi motivi.
È evidente che in uno stato di crisi come l’attuale la mossa israeliana si pone sia come atto difensivo per monitorare i programmi nucleari iraniani, sia come strumento strategicamente necessario in caso di escalation militare.
È poi interessante notare che il lancio del nuovo satellite è avvenuto da una base russa. È vero che l’industria aerospaziale ex sovietica, in crisi finanziaria, concede in "affitto" le proprie strutture, ma il momento scelto non manca di destare interrogativi politici.
Finora la Russia si era sempre adoperata come intermediatrice nella crisi Usa-Iran, evitando che in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si ponessero sanzioni o dichiarazioni troppo severe a carico della Repubblica islamica, ed invitando a più riprese l’Iran a trasferire il programma di arricchimento dell’uranio sul suo territorio. La proposta è stata finora respinta dagli ayatollah con l’evidente remora di vedere limitato il controllo sul proprio programma nucleare.
L’appoggio ad Israele potrebbe significare che la Russia intende ora aumentare la pressione diplomatica sull’Iran o addirittura che un intervento militare non sarebbe più visto in maniera così deleteria da Mosca. In fondo lo shock sui mercati energetici farebbe diventare gli idrocarburi russi (gas e petrolio) primari e vitali per i mercati europei e cinese, ciò che Putin non tarderebbe a sfruttare dal punto di vista politico oltre che economico.

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