VIAGGIO A CARACAS

La America Latina ha sempre suscitato in me un fascino particolare.
Forse dovuto alle assonanze culturali che legano questo sub continente alla cultura europea. Forse legato alla sorte ingrata , che fa di questa terra un luogo in cui violenza e ingiustizia, spontaneità e generosità, sono presenti in contenuti e forme più accentuate e rendono questa società un crogiuolo umano dalle peculiarità irripetibili altrove; spesso incomprensibile all’occhio raziocinante dell’osservatore esterno.
In questa prospettiva, il Venezuela esprime elementi ancora più spiccatamente originali: è la Patria di Simone Bolìvar, idealista, politico e militare che espresse (fin dai primi anni del 1800) e realizzò il desiderio di indipendenza nazionale e di autonomia dalle ingerenze europee e degli Stati Uniti, è il paese che ha realizzato istituzioni democratiche quando gli altri stati sudamericani erano marchiati da dittature o governi autoritari.
Infine è lo stato che dal 1998 ha assunto una connotazione politica del tutto particolare grazie (o a causa) alla presenza di Hugo Chavez. Su di lui si dice tutto ed il contrario di tutto (vedi su Clarissa l’articolo Que viva Chavez!). Tuttavia il fascino rivoluzionario di questo uomo che si proclama contro la potenza nord americana, rivendica per i paesi latinoamericani una vera autonomia e piena sovranità, si scaglia contro il capitalismo globale, ricerca alleanze inedite (Cuba, oltre che Brasile e Argentina) si diffonde in Occidente e trova consensi più o meno celati in varie forze politiche e movimenti di vario genere.

Vivendo, seppure per breve tempo, a Caracas e dintorni ho cercato di cogliere il sentire comune, di capire come viene vissuto questo momento, sicuramente inedito, da parte dei venezuelani.

La capitale è un crogiuolo etnico e urbano.
I barrios, che ospitano la desolante povertà comune a tanti altri luoghi del globo, fanno da drammatico contorno alla città, ma si ramificano anche nelle sue aree più centrali. I contrasti sono evidenti e forti: il grattacielo prospiciente la baracca, l’auto di lusso accanto a quella decrepita e fumigante di trenta anni più vecchia.
Si avverte un disincantato distacco dalla politica. La gente, presa dalle quotidiane esigenze, sorride e ironizza riguardo la corruzione della polizia, il degrado urbano, la carenza (grave) di strutture sanitarie ed educative nei luoghi più poveri della città.
Non esistono, di fatto, luoghi ricreativi pubblici, equivalenti ai nostri centri storici, piazze, associazioni, circoli ricreativi, fino a vie e corsi destinati allo shopping. Pertanto questa funzione viene espletata da grandi centri commerciali dove la gente si ammassa, non solo per comprare ma anche per passeggiare, incontrarsi, trascorrere dei momenti in relax presso un bar, un ristorante, o altro ancora.

Fanno eccezione a questo tipo di vita i clubs privati ad uso e godimento della classe più agiata.

L’indigenza dei barrios, le evidenti difficoltà economiche delle classi lavoratrici, vengono comunque vissute con dignità e con quella serena e smagata allegria tipica delle genti latine.

I giudizi su Chavez sono difformi.
Nelle zone più povere e degradate alcuni ne parlano con fiducia, paragonandolo ad un liberatore o ad un giustiziere sociale.
Ma già tra la classe media la stima comincia vacillare. L’atteggiamento populista ed in taluni casi demagogico del Presidente vengono visti con sospetto e inquietudine. L’alleanza sempre più stretta con il regime Castrista di Cuba, il ruolo più marcato dello stato nell’economia, alcune dichiarazioni di Chavez interpretate come un allentamento del diritto alla proprietà privata hanno reso più guardinghi e attenti i risparmiatori, spaventato i piccoli imprenditori incerti sulle decisioni da prendere.
Questa classe si interroga sul futuro del paese. Sono domande che provengono da persone che dispongono di eccellenti basi culturali, abituate a seguire le vicende internazionali, preoccupate che il loro paese possa essere danneggiato da politiche radicali, basate più su linee ideologiche che su una vera forza rivoluzionaria in grado di riorganizzare il paese al suo interno sotto il profilo economico e sociale.
E’ opinione diffusa, inoltre, che le promesse elettorali debbano ancora essere adempiute.
I poveri, gli abitanti dei barrios, hanno bisogno di case popolari, una effettiva istruzione, una sanità decente. Finora, tuttavia, non sembra che il governo abbia impresso alla politica interna una svolta in questo senso.
Campeggiano lungo le strade slogans che inneggiano al potere per il popolo, alla fine della sudditanza verso i gringos, alla libertà del popolo venezuelano. Ma perché queste frasi non rimangano parole vuote, occorrono programmi, impegni in termini organizzativi e finanziari, realizzazioni.
In un paese dove solo nella capitale sono ammassati (si calcola) due o tre milioni di poveri che vivono nei barrios nella più completa indigenza, i fatti diventano una necessità ineludibile. E dopo sette anni di governo Chavez è una necessità che si vorrebbe vedere almeno in parte concretizzata.

La ripresa economica legata prevalentemente al favorevole andamento dei prezzi petroliferi, unita ad una positiva bilancia commerciale, ad un debito estero contenuto ed una equilibrata situazione delle finanze pubbliche potrebbero aiutare efficacemente l’attuale classe politica per la realizzazione del tanto atteso cambiamento.

Ci auguriamo che ciò avvenga.
Per il popolo venezuelano, per i suoi cittadini così lontani ma così simili a noi.

A Maria con gratitud

Fano, 20 novembre 2005

Print Friendly, PDF & Email