GAZA: QUALCHE PROBLEMA CON LA VERITA’

Si narra che David Ben Gurion dicesse di Sharon: “ha un problema con la verità”. Il guaio è che questo problema cominciano ad averlo, quando si parla di Sharon, non più solo i Pera ed i Fini, ma anche i Fassino ed i Bertinotti che rimangono oggi improvvisamente folgorati dall’abilità con cui il primo ministro israeliano, allontanando 8000 coloni dai 21 insediamenti di Gaza, riesce ad apparire loro, proprio come al presidente Bush jr. nell’aprile del 2002, un “uomo di pace”.
È allora il caso di risolvere il problema della verità, molto brevemente, con poche cose:
1) il decreto del 20 febbraio 2005 con cui il governo Sharon ha stabilito il “disimpegno” (hitnatkut) dalla striscia di Gaza afferma anche che il governo israeliano avrebbe “rafforzato il controllo sulle altre parti della Terra d’Israele che faranno parte integrante dello Stato d’Israele in ogni risoluzione futura”: lasciare Gaza quindi non significa affatto per il governo d’Israele il rispetto delle risoluzioni Onu che da oltre 40 anni esigono il ritiro dai territori occupati nel 1967; né tanto meno esprimono una volontà di pace, ma semplicemente fanno parte di una strategia militarmente e politicamente logica e chiara, coerente con la politica dello Sharon di sempre (lo stesso Sharon del piano di insediamento del 1977 e della costruzione di ben 35 colonie dopo il 2001).
2) mantenere le colonie nella striscia di Gaza, in un rapporto di schiacciante superiorità numerica palestinese, significava mantenere un’assurdità demografica ed un non senso militare: d’ora innanzi invece la striscia di Gaza sarà un ghetto palestinese che Israele potrà aprire o chiudere a suo piacimento (basti pensare all’aeroporto, chiuso e mai riaperto da anni), senza più il problema della difesa di 21 posizioni fisse e con il beneplatico degli Usa (v. lettera Bush a Sharon del 14 aprile 2004, qui scaricabile); significa quindi semplicemente migliorare, rendendolo più flessibile, lo spazio di manovra israeliano: Sharon ha quindi ragionato, prima che da politico, da comandante militare e lo ha detto chiaramente nel discorso dello scorso 15 agosto: “non possiamo tenere la striscia per sempre: vi abita oltre un milione di palestinesi ed il loro numero raddoppia ad ogni generazione (…) l’esercito israeliano si riposizionerà lungo le linee difensive al di qua della barriera di sicurezza”;
3) Sharon ha tenuto in assoluto spregio la condanna inflitta ad Israele dall’Alta Corte di giustizia internazionale del giugno 2004, relativa al “muro difensivo” israeliano: esso è stato completato includendo gli insediamenti israeliani in Gerusalemme est e ridefinendo in modo unilaterale il confine con la West Bank palestinese, strappando altra terra ai Palestinesi; là infatti le colonie ebraiche sono state costruite secondo chiari criteri di rafforzamento del controllo militare ed economico del territorio e hanno quindi un ruolo strategico insostituibile.
Questi tre soli elementi dimostrano che la partita ora si giocherà tutta in Giudea e Samaria, dove Sharon avrà nuovamente dalla sua parte i “rabbini di Yesha” (quelli cioè che difendono la Eretz Israel comprendente Gaza Samaria e Giudea), che hanno dovuto rinunciare a Gaza. Qui i coloni non sono più 8000, dato che “venticinque anni dopo l’attuazione del piano di Sharon, il numero dei coloni nei territori occupati è passato da 7.000 nel 1977 ad oltre 200.000 nel 2002 – a cui vanno aggiunti altri 200.000 che vivono a Gerusalemme est. Le loro 200 colonie occupano l’1,7% del territorio della Cisgiordania, ma ne controllano il 41,9%.” (cfr. www.btselem.org, «Israel’s Settlement Policy in the West Bank», Tel Aviv, 13 maggio 2002). Controllo significa: vie di comunicazione, acqua, risorse agricole.
Qui Sharon sa di poter contare sull’entusiasmo di Bush jr., in una congiuntura geostrategica nella quale Israele, dinanzi all’esigenza di chiudere la partita con l’Iran, assume un ruolo ancora più importante nella regione. Del resto il Presidente Usa aveva già dato via libera al premier israeliano con la lettera del 14 aprile 2004, nella quale affermava esplicitamente che qualsiasi processo di pace dovrà tenere conto delle “nuove realtà sul campo, compresi i grandi insediamenti israeliani”.
Rammentare ai folgorati da Sharon che questa è la verità, in uno scacchiere drammatico come quello del Medio Oriente, non è solo una questione di correttezza ma soprattutto è la sola maniera per non farsi sorprendere nel prossimo futuro da avvenimenti la cui drammaticità potrebbe fare impallidire quella dell’ultimo mezzo secolo.

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