FUOCO AMICO

La gioia per la liberazione di Giuliana Sgrena è stata amputata da un evento crudele ed assurdo. Mentre un’auto blindata dell’ambasciata italiana con a bordo la giornalista e i funzionari del Sismi che l’avevano appena liberata stava raggiungendo l’aeroporto di Baghdad, ad un check point americano (ma questo fatto è controverso) l’auto è stata bersagliata pesantemente da centinaia di colpi di mitragliatrice. Tutti i componenti dell’equipaggio sono rimasti feriti, e Nicola Calipari, il funzionario col grado più alto, uomo di grandissimo valore, a detta di tutti coloro che lo hanno conosciuto, nel tentativo di proteggere col proprio corpo la Sgrena, che si trovava al suo fianco, ha perso la vita.

Probabilmente si è trattato di un drammatico incidente. Ragazzini col grilletto facile, scossi e in continua tensione da mesi per una guerra logorante e contro un nemico spesso invisibile, condizioni climatiche avverse che non hanno favorito il riconoscimento (in quel fatale pomeriggio si stava scatenando un temporale), un disguido nelle comunicazioni tra il posto di controllo e il comando centrale dell’aeroporto, che sicuramente era stato avvisato.

Oppure qualcosa di diverso, inimmaginabile, inquietante, oscuro. A caldo, e nella concitazione del momento, Pier Scolari, compagno di vita di Giuliana Sgrena, ha parlato di “agguato”, di un attacco premeditato come di una ipotesi possibile. Certo, possibile, vista la dinamica, eppure così incredibile! Sicuramente incredibile. Se non fosse che quasi tutti i sequestri di persona di occidentali in Iraq hanno avuto risvolti poco chiari e strane modalità.

Incredibile, se non fosse che Nicholas Berg, il primo degli ostaggi a finire sgozzato, aveva avuto episodi e coincidenze nella sua vita, tali che molti hanno pensato fosse un agente infiltrato. Strani e mai compiutamente accertati i suoi contatti con terroristi islamici internazionali (come Zacharias Moussaoui, uno degli attentatori dell’11 settembre). Strano il suo essere arrestato e detenuto in Iraq dai servizi segreti americani proprio alcuni giorni prima il suo rapimento. Strano che la sua drammatica fine sia servita a sviare l’attenzione dell’opinione pubblica americana mentre stava scoppiando il caso delle torture nel carcere di Abu Ghraib.

Incredibile, se non fosse strana e mai accertata la fine di Fabrizio Quattrocchi, immediatamente ucciso dai suoi aguzzini mentre i suoi compagni venivano risparmiati, proprio lui che fungeva da collegamento tra il gruppo e le autorità di controllo sul posto, dunque l’unico in grado di comprendere (o intuire) se fossero caduti in una qualche trappola. Che sapore amaro assumerebbero allora le sue ultime drammatiche parole: vi faccio vedere come muore un italiano.
Incredibile, se non fosse che anche Enzo Baldoni è morto in circostanze dubbie insieme al suo interprete, in realtà l’uomo che faceva da collegamento tra le milizie di Moqtada Al Sadr e il convoglio della Croce Rossa che stava cercando di portare aiuti alla città di Najaf. L’iracheno è stato ucciso subito, mentre Baldoni solo qualche ora più tardi, giusto il tempo di fargli registrare un cinico video/comunicato, servito a sviare indagini e contatti per la trattativa, e ad assicurarsi che non fosse in possesso di informazioni irriferibili.

Incredibile, se non fossero state rapite anche delle donne, le due Simone e l’anglo irachena Margareth Hassan, le cui vite avevano dimostrato ampiamente il carattere profondamente umanitario delle loro missioni, il loro essere sempre state apertamente schierate contro la guerra e l’occupazione militare. Tutte tre rapite in pieno giorno ed in piena città, da uomini che si muovevano con l’atteggiamento di militari professionali e con tutta calma, incuranti della possibilità di essere intercettati da polizia o pattuglie americane durante le fasi del sequestro. Anzi, facevano di tutto per farsi notare, nel caso della Hassan hanno addirittura sparato in aria mentre si allontanavano. Le nostre connazionali hanno fatto ritorno a casa, mentre la sfortunata Margareth è stata brutalmente ammazzata. Una identica storia con finale diverso: i casi del destino o spietato calcolo politico?
Incredibile, se non fosse che i due giornalisti francesi, Chesnot e Malbrunot, hanno dovuto attendere molto più del necessario il termine per la loro liberazione, visto che, come denunciato dal Consiglio degli Ulema, massima autorità sunnita, ogni volta che il loro rilascio sembrava imminente cominciavano duri bombardamenti e offensive sulla città di Falluja, luogo dove presumibilmente erano tenuti in ostaggio. E che dire del fatto che proprio la Francia, uno dei paesi ad aver contrastato con più nettezza il ricorso alla guerra e a non avere truppe di occupazione, abbia pagato tra i prezzi più alti in termini di sequestri (ancora nelle mani dei “terroristi” Florence Aubenas, giornalista di Libération). Quale “alto prezzo” politico ha dovuto pagare la Francia (come sottilmente lasciato intuire da Chirac) per la libertà dei suoi cittadini?
Incredibile, se non fosse che poche settimane fa anche il direttore storico della CNN, Eason Jordan, si è lasciato scappare che in una dozzina di casi i militari americani hanno preso di mira i giornalisti in Iraq, salvo poi ritrattare in qualche modo le dichiarazioni, e tuttavia essendo costretto alle dimissioni.

Compito del governo e di tutte le autorità italiane sarà difendere, ora, la memoria e l’onore di Nicola Calipari, e, speriamo, non solo a parole. Le versioni contrastanti tra quella ufficiale delle autorità militari e l’altra che arriva dai testimoni diretti sopravvissuti (la stessa Giuliana Sgrena e il maggiore dei Carabinieri) fa già immaginare su quali binari sarà condotta l’inchiesta. Finita l’emozione del momento, e spenti i riflettori, tra diversi mesi ci verrà detto che qualcosa di inquietante è realmente avvenuto, ma che di fatto, sarà impossibile accertare responsabilità precise. Gli stessi politici che oggi parlano di “sacrificio” e di “eroe”, dovrebbero raddrizzare finalmente la schiena, e agire affinché chiarezza venga fatta, con decisione e nettezza, così che nemmeno un dubbio rimanga sulla vicenda. Se si è trattato di un incidente, tutti dovremo rassegnarci a questa fatalità (come ha già fatto intendere con precise dichiarazioni il Ministro degli Esteri Gianfranco Fini), magari ricordandoci, però, che queste fatalità sono il frutto di una guerra sbagliata e terribile. Ma nel caso in cui dovessero risultare dalle inchieste altre e ben diverse spiegazioni, allora dovremo profondamente ripensare il senso dell’espressione “cadere sotto il fuoco amico”. E soprattutto ripensare il significato della parola amico.

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