"Solo noi o’ potevamo fa"

Eraldo Affinati, Secoli di gioventù, Mondadori 2004

Affinati, autore dell’indimenticabile Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj (Mondadori 1998), ha scritto un libro che potrebbe anche essere usato come breviario per tutte le giornate della memoria passate e a venire in questo 2005 – in cui sono molti i sessantenari che ricorrono – e oltre.
E’ una meditazione sulla storia libera perché fondata sull’unico punto di vista immediatamente accessibile, che è quello della compassione con l’altro, indipendentemente da steccati, classificazioni, inscatolamenti, partite doppie e vuoti a rendere. E tuttavia non per questo scivola nell’irresponsabilità del sentimentalismo.
Affinati è un uomo colto, anzi: molto colto, con una preparazione storica di livello ed un singolare interesse per la Seconda Guerra Mondiale, “fino al punto di definire Dunkerque, El Alamein, Stalingrado, Cassino, le Midway, la Normandia, Guadalcanal, Bastogne e Berlino gocce di sangue dentro le vene”. Gocce di sangue che gridano un solo grande: perché? Ma, come tutti gli uomini di verità, Affinati non cerca il giudizio, ma l’essenza.
E così, ci racconta una storia (come poi si scoprirà, più vera che no). Insegnante in un istituto tecnico in quel di Roma, con una classe di teppisti fusi, scalcagnati e mezzo ritardati, possibili futuri ospiti della patrie galere o dei patrii nosocomi, il nostro riesce a tenere in pugno la classe solo quando parla di storia, nell’insieme di una pedagogia periferica: periferica ai canoni previsti e alla città. In mezzo a questa ghenga sderenata, c’è un ragazzino più sderenato degli altri, grasso e sfatto, detto Rosetta: come il panino. E a lui il professore si lega. E da lui in qualche modo è condotto sulle tracce di una colonna di soldati tedeschi scomparsi mentre si ritiravano da Cassino, e di qui in Germania e poi in India, sulle tracce del nipote di uno di essi – Helmut.
Helmut, che nella storia si vede e non si vede: neonazista, gandhiano, black block, antiamericano? Helmut alla ricerca della memoria e della purificazione di un destino tedesco? Helmut che rende la swastika alla terra da cui, quale simbolo di bene, trasse origine? Helmut consapevole dell’imperativo del pareggio karmico?
Vedrà il lettore, perché di vedere si tratta, di autentica memoria, non di spenta o agonistica commemorazione. Vedrà il lettore, che cosa riuscirà a trovare nelle pagine lievi, quasi disincarnate e pure densissime, di Secoli di gioventù.
Noi ci abbiamo trovato una ferma volontà di “porre la domanda”, quale che possa essere (o, in eterno, non essere) la risposta: una vera e propria veglia d’armi dell’anima che interroga e nell’interrogare non s’arrende, ovunque il destino la porti – dalle squallide periferie dell’Urbe alle algide città tedesche allo sfascio siderale delle metropoli indiane. Ed è questo energico vegliare che lentamente smuove i punti di riferimento, sposta di qualche grado le costellazioni, sicché si intravede un lembo di mondi nuovi.
La ricerca della verità deve andare di pari passo con la crescita della moralità: non la morale o la moralina. In questo Affinati stacca di varie lunghezze altri autori di letture “anomale” della storia – nel senso fortissimo di responsabilità verso la conoscenza quale riconoscimento degli uomini in quanto uomini: buoni e cattivi, savi e stolti, “normali” o “anormali” come Rosetta.
Metafisica? Irenismo? O semplice pietas? In tutti i modi, qualcosa che non può essere rimesso agli dèi, al domani, al senso della storia: dar pace ai morti. Qualcosa che è nostro compito, soprattutto di noi che abbiamo davvero quelle ed altre battaglie come gocce di sangue nelle vene – così come quelle di questi giorni lo saranno in futuro per i ragazzi di oggi. E’ questo che “solo noi o’ potemo fa”.

Lo dice lo squinternato Rosetta, perché solo lui può dirlo: Durch Mitleid wissend, der reine Tor – conosce attraverso la compassione, il puro folle (Wagner, Parsifal).

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