Le guerre dell’oppio

A volte alcuni dati sono più eloquenti di mille parole. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (ONUDC), da anni rende noti i dati della produzione mondiale di oppio. Quelli sull’Afghanistan fanno particolarmente riflettere. Analizzando la tabella sopra riportata, ci si rende conto che la produzione di stupefacenti di quel paese ha segnato le sue vicende politiche, e che anzi, nel corso degli ultimi venti anni, l’economia basata sull’oppio ha influenzato pesantemente la vita del paese, anticipandone i mutamenti politici. La travagliata storia contemporanea dell’Afghanistan, con i suoi cinque cambiamenti di regime, può essere ricostruita alla stregua delle cifre di produzione dell’elemento base dell’eroina.

Prima dell’invasione sovietica del paese (1979-89), la produzione di oppio in Afghanistan era praticamente assente, questa comincia con la guerriglia islamista dei freedom fighters sponsorizzata dagli Stati Uniti. Il professor Michel Chossudovsky dell’Università di Ottawa, nel corso di studi e articoli per il sito di controinformazione Global Research, scrive esplicitamente: “L’economia afgana dei narcotici è stato un progetto attentamente disegnato dalla CIA, sostenuto dalla politica estera degli USA. Come rivelato dagli scandali Iran-Contra e Bank of Commerce and Credit International (BCCI), le operazioni segrete della CIA a sostegno dei mujahideen afgani erano state finanziate con il riciclaggio del denaro della droga. Il "denaro sporco" veniva riciclato, attraverso diverse istituzioni bancarie (nel Medio Oriente) ed anche attraverso anonime società fantasma della CIA, in "denaro segreto", utilizzato per finanziare diversi gruppi ribelli durante la guerra sovietico-afgana”.

Osservando la tabella si possono quindi verificare alcuni dati inoppugnabili. Nel 1989, alla fine dell’invasione sovietica, la produzione di oppio, in termini di ettari di territorio destinati alla sua coltivazione, arrivava a 35.000. Nel corso di un biennio, mentre a Kabul siede ancora un governo filo-russo, ma il territorio è per larga parte sotto il controllo di fatto della guerriglia, la produzione ha una visibile impennata, giungendo a 51.000 ettari nel 1991, cioè un incremento del 50% rispetto a due anni prima. Nel ’92 la produzione ha una leggera flessione, è in quell’anno che l’Alleanza del Nord, la galassia delle varie componenti guerrigliere, prende definitivamente il controllo dell’Afghanistan occupando anche la capitale. Questo fatto è accompagnato dalla ripresa vertiginosa della produzione fino a raggiungere il picco di 71.000 ettari nel ’94, cioè più 45% rispetto al biennio precedente. Nei due anni successivi si assiste al contrario ad una flessione (meno 20%), che prelude ad un nuovo cambio di regime: nel ’96, infatti, il movimento dei Talebani conquista il potere. La produzione ricomincia la sua ascesa, nel ’99 raggiunge la cifra record di 91.000 ettari, quasi il 70% in più rispetto al 1995. Ma ecco che accade l’imprevisto, il governo talebano decide di fare la guerra contro l’oppio: la produzione si arresta bruscamente e addirittura nel 2001 ha un tracollo: meno 90%! Ma nell’ottobre di quell’anno il regime è spazzato via dall’invasione delle forze armate statunitensi e la produzione riprende: nel 2003 torna a 80.000 ettari, cifra addirittura decuplicata rispetto al minimo storico degli 8.000 ettari del 2001. I numeri del 2004 non sono ancora disponibili, ma le stime dell’Onu confermano che il trend è in progressiva crescita. Si va verso un nuovo record della produzione?

Se uno degli scopi dell’invasione americana era quello di ricostituire in Afghanistan un governo democratico che debellasse il traffico di stupefacenti, bisogna ammettere che quell’intento è totalmente fallito. Evidentemente la democrazia non è un sistema politico utile a quello scopo.

Altre osservazioni si possono svolgere compiutamente. I dati forniti dimostrano chiaramente che sotto tutti i regimi che si sono alternati nel paese afgano dopo il ritiro delle truppe sovietiche (governo filo-russo, Alleanza del Nord, Talebani, l’attuale governo Karzai filo-americano) si sono potuti apprezzare dei crescenti picchi di produzione. Ma, allo stesso tempo, non appena queste produzioni avevano delle stagnazioni o delle flessioni, tali regimi cadevano a tutto vantaggio della coltivazione dell’oppio. Questo è stato un trend così costante, addirittura sistemico, tale da poter escludere ogni casualità. Le conclusioni che se ne possono trarre ci sembrano ovvie. Ma ognuno tragga quelle che crede.

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