Se il Mar Caspio diventa un lago

Il vertice di Baku ha portato ad un accordo di cooperazione tra i Paesi litoranei ma non ha definito lo status giuridico del Caspio. L’Iran lo considera un lago e ne rivendica una quota più ampia di quella attuale. Il caloroso incontro tra i presidenti azero e turkmeno interessa anche l’Europa.

Il 23 Novembre, nello stesso giorno in cui l’attenzione della stampa mondiale era concentrata sulla Corea del Nord, i presidenti dei cinque Paesi che si affacciano sul Caspio (Russia, Iran, Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakhstan) si sono incontrati a Baku nel quadro di un vertice per una comune politica di cooperazione e la definizione dello status giuridico dello specchio d’acqua condiviso.
È stato il terzo incontro al riguardo dopo quelli di Ashgabat, il 23 e 24 aprile 2002, e di Teheran, il 16 ottobre 2007. Mentre sul primo punto (accordo di cooperazione) si è raggiunta un’intesa di massima, sul secondo (status giuridico del Caspio), in sospeso da sempre, si è avuto l’ennesimo nulla di fatto. Ma nessuno si aspettava una conclusione diversa.
Il reale significato del summit risiede negli accordi non raggiunti, nei documenti non firmati, nonché nei diversi incontri bilaterali avvenuti a margine del summit, in particolare tra i leader di Azerbaijan e Turkmenistan, Azerbaijan e Iran, Russia e Iran.
Anche l’unico accordo raggiunto sembra avvantaggiare alcuni Stati più di altri. Il documento riguarda la sicurezza dell’area e concerne il contrasto al terrorismo, al traffico di droga e di armi, all’immigrazione clandestina e alla tratta degli umani, e sottolinea l’importanza dello sviluppo di più proficue relazioni interstatali al fine di preservare la stabilità regionale. Ma un tale scenario appare ancora al di là dal venire. Lo stesso presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev ha sottolineato che l’accordo è "un passo importante per l’armonizzazione delle questioni ma la cui soluzione è ancora nella fase preparatoria".
E tra le varie controversie, la più rilevante attiene alla natura stessa del Caspio: esso è un mare o un lago? Il tema non è secondario, poiché dalla sua risoluzione consentirebbe di regolare le attività che si svolgono sia in superficie che nell’ambiente sottomarino. A cominciare dallo sfruttamento delle risorse energetiche.

Situato all’interno dello spazio eurasiatico, con una superficie di 371.000 kmq e un volume d’acqua di 78.700 km cubi il Caspio è il più esteso bacino chiuso di acqua salata del mondo. Si stima che i suoi fondali racchiudano oltre 75 miliardi di barili di petrolio e 6,9 trilioni di metri cubi di gas, il suo areale ospita un ecosistema tanto complesso quanto delicato (nelle sue acque si trova il 90% di tutti gli storioni del mondo). Un’abbondanza di risorse che nel tempo ha attirato l’attenzione delle potenze regionali e non solo.
Il primo trattato tra russi e persiani per regolare i rispettivi interessi, nel 1729, stabiliva regole sulla libertà dei commerci e della navigazione. Successivamente ve ne furono altri nel 1813 e nel 1828 dello stesso tenore. Con la caduta dell’impero e la nascita della Repubblica Federativa Sovietica di Russia i rapporti con la Persia furono regolati da un trattato d’amicizia siglato il 26 febbraio 1921, al quale seguirono altri due tra Urss e Iran nel 1935 e 1940.
Attualmente il corpus negoziale che regola il regime del Caspio si riduce a questi ultimi tre accordi, del tutto insufficienti alla luce dei tempi mutati. Tuttavia, tali patti di staliniana memoria furono siglati per regolamentare la pesca e la navigazione e non consideravano altri aspetti come la delimitazione della piattaforma marina o i diritti di sfruttamento delle risorse naturali (le uniche a cui si faceva riferimento erano quelle di pesca), nozioni che il diritto internazionale avrebbe formulato solo in seguito. E tanto meno potevano prevedere la futura esistenza di cinque Stati litoranei. D’altra parte, anche ai tempi dell’Urss il quadro normativo era piuttosto ambiguo: un allegato al trattato del 1940 definiva il Caspio "un mare sovietico e iraniano", senza precisare cosa questa espressione intendesse dire. Con il risultato che Mosca suddivideva il Caspio in zone d’influenza, mentre Teheran parlava di condominio.
I vari colloqui tra i governi dal 1991 in poi non hanno mai portato ad un chiarimento definitivo. Nel 2003 la Russia, il Kazakhstan e l’Azerbaijan hanno raggiunto un compromesso per la "protezione dell’ambiente marino del Mar Caspio", che ha comportato tra l’altro la suddivisione dei settori confinanti del fondale; ma l’accordo è tuttora contestato dagli altri due attori in scena, Turkmenistan e Iran.

Dalla definizione dello status dipende la scelta delle norme necessarie per la ripartizione dei diritti di sfruttamento delle risorse naturali tra i cinque paesi rivieraschi.
Qualora il Caspio fosse dichiarato un mare, si applicherebbe la Convenzione del diritto del mare di Montego Bay del 1982: lo specchio d’acqua sarebbe suddiviso tra i Paesi litoranei e ciascuno vanterebbe un diritto esclusivo sulle ricchezze del proprio settore. Se invece fosse ritenuto un lago, troverebbero luogo le norme del diritto consuetudinario e la suddivisione avverrebbe in parti uguali. La difficoltà di impiegare sia l’una che l’altra conclusione (il Caspio non è un mare perché circondato dalla terraferma, ma è troppo grande per essere un lago), ha suggerito la proposta di assegnargli lo status di "lago transfrontaliero". Casi del genere (come i Grandi Laghi Americani, tra Usa e Canada) sono regolati da norme bilaterali, ma non esiste al momento una regolamentazione giuridica unitaria. Il principale ostacoload un regime giuridico univoco del Caspio è rappresentato dai diversi interessi di cui gli Stati sono portatori.
Di fatto, l’equilibrio dell’area si è finora mantenuto sul tacito accordo tra Russia e Iran per mantenere i privilegi derivanti dallo status quo e soprattutto tenere lontani altri paesi (leggi: l’Europa) interessati ai giacimenti dei suoi fondali. La Russia si è sempre opposta alla realizzazione di canali di trasporto alternativi ai suoi in grado di allacciarsi alle reti già esistenti verso l’Europa; per l’Iran vale un discorso analogo. Inoltre, la creazione di nuove infrastrutture sottomarine entrerebbe in concorrenza con il fruttuoso sistema di swap improntato dal governo di Teheran, che garantisce alla Repubblica Islamica lauti ricavi dallo scambio di petrolio sul Caspio in contropartita di un’identica quantità di oro nero sul Golfo Persico.

Al termine del vertice, il presidente dell’Iran Mahmud Ahmadi-Nejad ha auspicato che le parti raggiungano un accordo definitivo entro il 2011. Eppure proprio il leader iraniano si è mostrato il più refrattario ad ogni forma di compromesso. La ragione è geografica: la costa dell’Iran ha forma convessa, per cui se il Caspio fosse dichiarato un mare, alla Repubblica islamica spetterebbe una quota pari al 13%; se invece fosse ritenuto un lago, sarebbe diviso in parti uguali tra i cinque Stati. Non solo. Secondo uno studio condotto da Eni, Shell e Kepco nel 1998, la sezione iraniana del Mar Caspio è potenzialmente ricca di idrocarburi, ma in misura inferiore nell’immediata prossimità della costa. Teheran ha dunque tutto l’interesse a considerare il Caspio un lago: spartire la torta alla pari le consentirebbe l’accesso a zone (e a risorse) altrimenti inaccessibili.
Il presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbaev e quello dell’Azerbaijan Aliev sono riluttanti a conferire al Caspio lo status di lago, soluzione che li costringerebbe a condividere gli immensi ricavi incamerati dai rispettivi Paesi con il loro vicino meridionale.
Ahmadi-Nejad, accompagnato a Baku dal suo consigliere personale Mojtaba Samareh-Hashemi, dal Capo di Stato Maggiore Esfandiar Rahim-Mashaei e dal ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki, dal canto suo si è rifiutato di riconoscere qualunque accordo sullo status del Caspio diverso da quello sancito nei trattati del 1921 e del 1940.
La soluzione, se c’è, è ancora al di là dell’orizzonte.

A fronte di un compromesso tra i cinque che non c’è stato, a margine del vertice sono però stati stretti alcuni accordi bilaterali tra i vari Paesi. I media intervenuti hanno dato risalto soprattutto all’abbraccio tra il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev e quello del Turkmenistan Gurbanguly Berdymuhamedov, a testimonianza dell’avvio di una nuova stagione di relazioni tra i due Stati.
Una nuova era che potrebbe avere importanti riflessi per l’Europa.
Aliev e il suo omologo hanno convenuto che la controversia sullo status del Caspio e la pianificazione delle infrastrutture energetiche sottomarine dovrebbero essere trattate separatamente, senza che l’uno ostacoli l’altro. I due presidenti hanno poi unanimemente concordato che il limite delle acque territoriali dovrebbe essere fissati a 24-25 miglia. La combinazione di questi due sviluppi costituirebbe la scintilla di innesco per il progetto Nabucco, Transcaspiano o qualsiasi altro che si proponga di convogliare il gas turkmeno sulle sponde europee, bypassando Russia e Iran. È interessante notare che il giorno prima del vertice Berdymuhamedov, rivolgendosi a una riunione ordinaria del Consiglio dei ministri, abbia annunciato la costruzione di una conduttura dalla capacità di 40 miliardi di metri cubi di gas diretta verso l’Europa. Il presidente turkmeno sembra credere molto a questo disegno, tanto che nella riunione ha chiesto al viceministro per la scienza e la ricerca, il dottor Mezilov, di analizzare e garantire la validità scientifica di tutti progetti inerenti lo sfruttamento di energia a largo del settore marino di Ashgabat.
Non pochi esperti sono scettici sull’effettiva concretizzazione di un tale scenario. La scarsa lungimiranza, la tendenza a cambiare idea e a strappare accordi già sottoscritti tipiche del governo azero mal si conciliano con la realizzazione di progetti a lunga scadenza come la costruzione di nuove pipelines. Basti pensare che fu proprio Baku a far saltare il primo protocollo d’intesa sul TCP (Trans-Caspian Project), alcuni anni fa.
A complicare le cose c’è anche il fattore R, ossia la Russia. Mosca è consapevole della rendita di posizione legata alle risorse naturali sul suo territorio, ed è altrettanto conscia dell’insicurezza energetica che perennemente affligge l’Europa. Bruxelles, alla ricerca di nuovi fornitori, vorrebbe trattare direttamente con gli stati rivieraschi ma l’influenza di Mosca sugli ex territori imperiali è ancora così pregnante da ostacolare l’avvio di qualunque iniziativa che interrompa il suo monopolio nei rifornimenti verso il Vecchio continente.
Ma la Ue potrebbe ancora avere uno spiraglio. Il 22 novembre, giorno prima del vertice di Baku, la Russia ha firmato un protocollo d’intesa col Pakistan per la cooperazione energetica che prevede anche la costruzione di gasdotti transnazionali. Nell’occasione il ministro russo per il petrolio ha mostrato vivo interesse per la realizzazione del progetto TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India), il famoso gasdotto transafghano la cui costruzione era stata pianificata ad Ashgabat il 25 settembre, e la cui realizzazione è per molti la vera ragione della presenza militare occidentale in Afghanistan.
In altre parole, se la Russia è disposta a tollerare un gasdotto che attraversi il letto del Caspio, è perché in cambio il Turkmenistan le prospetta di estendere la sua influenza sulle calde acque dell’Oceano Indiano.
Il caloroso abbraccio tra i presidenti azero e turkmeno potrebbe "scaldare" anche noi europei.

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