Si aggrava la crisi politica in Belgio

"Il Belgio è all’inferno" titolano i giornali popolari del "Paese piatto".
Immagine colorita ma che rende l’idea del clima politico che si sta vivendo a Bruxelles. Dopo tre mesi di negoziati, il leader socialista Di Rupo ha rinunciato all’incarico di formare un nuovo esecutivo. Impresa ardua dopo che nelle ultime elezioni di giugno si era vista l’affermazione del partito nazionalista fiammingo N-Va (il partito più votato) ma allo stesso tempo l’area socialista, benché divisa fra valloni e fiamminghi, aveva avuto complessivamente la maggioranza.
Per questo motivo il re Alberto II aveva affidato un mandato esplorativo al leader socialista vallone (francofono) Elio Di Rupo (chiare origini italiane) per la formazione di un ampio governo di coalizione. E Di Rupo sembra essersi speso con dedizione pur di riuscire nell’impresa che negli ultimi anni in Belgio è parsa quasi impossibile: dare stabilità al paese e trovare un accordo tra le due componenti etniche che lo formano.
Di Rupo avrebbe fatto molte concessioni ai fiamminghi: accettazione di devoluzione di molte competenze ora a livello federale; accettazione di separare il sistema del Welfare tra le due regioni per cui i fiamminghi non sarebbero più costretti a pagare i costi della più arretrata regione vallone; chiusura del contenzioso sui collegi elettorali nel distretto di Bruxelles.
Ma non è bastato. Alla fine Bart de Wever, il discusso leader del N-Va, ha detto di no. A far naufragare definitivamente il dialogo è stato lo scoglio della capitale. Bruxelles, agognata dai fiamminghi ma abitata soprattutto da valloni, avrebbe bisogno di un rifinanziamento sostanzioso per le sue casse prosciugate. Ma in nome del federalismo tale sovvenzionamento è stato bocciato da de Wever.
Ora i notori cieli cupi del Belgio sembrano minacciare temporali. Dopo 180 anni di unità per il paese scatta l’ora più critica. Se non si riuscirà a trovare una via d’uscita all’impasse, la secessione potrà rivelarsi l’unica soluzione praticabile.

Riferimento: La Stampa, 5 settembre 2010

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