Erdogan stoppa i generali, Obama gli stoppa le armi

Non era mai accaduto. Il governo turco ha bocciato la lista uscita dallo Yas (Consiglio militare supremo) che decide le più alte cariche militari e indica gli ufficiali per le promozioni. Lo Yas è una struttura a composizione civile e militare, in cui questi ultimi prendono le decisioni che devono poi essere approvate a livello politico. Nella Turchia repubblicana e laica, di cui le Forze armate sono storicamente sempre state la spina dorsale, quest’ultimo passaggio era una sorta di formalità burocratica. Col governo Erdogan non è più così.
11 nomi di alti ufficiali, designati per la promozione, sono stati bocciati. Il presidente Abdullah Gul (stesso partito del premier Erdogan, Akp, Partito della giustizia e sviluppo, di ispirazione islamica) aveva detto: "Concedere una promozione ad un ufficiale coinvolto in una inchiesta darebbe un messaggio sbagliato". Si tratta infatti di nomi che sono sotto processo per lo scandalo della organizzazione Ergenekon, la cosiddetta "gladio turca", una struttura accusata di molteplici piani volti a destabilizzare la Turchia, con propensioni terroristiche e golpiste, che avrebbe agito, dal profondo dello stato, nel più puro stile della strategia della tensione.
Ma i contrasti tra le due componenti dello stato non si sono limitate a questo. Pare che fino all’ultimo si sia combattuto per la nomina del Capo di Stato maggiore, con febbrili incontri tra il presidente Gul e l’uscente comandante delle Forze armate, Ilker Basburg. Alla fine si è giunti ad una sorta di compromesso sul nome del generale Isik Kosaner, probabilmente il candidato preferito dai militari anche se in prima battuta era stato indicato Hasan Igsiz, forse l’uomo da sacrificare in vista del previsto scontro di potere. Lo scambio potrebbe essere stato proprio questo: i militari hanno accettato la retrocessione degli 11 ufficiali per poter quindi imporre il candidato di punta per il posto più importante.
Di Isik Kosaner si parlava da giorni. Il suo è il curriculum di un falco. Fu lui negli anni ’70 a comandare l’Operazione Attila con cui l’esercito turco invase una parte di Cipro e la strappò alle milizie greche. Da due anni Kosaner non parla con la stampa, una riserbo necessario proprio per preparare questa nomina ed evitare che il suo nome potesse essere bruciato. Su Kosaner si appuntano tutte le speranze dei militari per contrastare l’erosione del loro blocco di potere. Mentre oltre cento ufficiali finiti nell’inchiesta Ergenekon rischiano il carcere, il 12 settembre si voterà un referendum, promosso dall’Akp di Erdogan, per la riforma della Costituzione kemalista. In questo modo l’Akp cerca di estendere la propria influenza su magistratura e istruzione, limitando i poteri dell’esercito. Anche nella considerazione dell’opinione pubblica turca, la stima nei confronti delle Forze armate non è mai stata così bassa. La lotta per la supremazia tra le due componenti deciderà il futuro prossimo della Turchia.
Stati Uniti, Unione europea, Israele, guardano con preoccupazione e partecipazione a queste convulsioni, poiché la Turchia è un fulcro degli equilibri mediorentali. La crisi con Israele e l’avvicinamento di Ankara a Iran e Siria ha messo in grande allarme sia Washington che Tel Aviv. Il Financial Times ha annunciato il 16 agosto che Obama avrebbe minacciato ad Erdogan la sospensione delle forniture di armamenti come monito. I due si sono incontrati a giugno durante il G-20 in Canada e in quella occasione il presidente americano avrebbe lanciato l’ultimatum ad Erdogan: le oscillazioni turche verso oriente, le tensioni con Israele, sono inaccettabili. Anche questo sarebbe un caso senza precedenti, visto che la Turchia è un membro della Nato ed un alleato strategico per gli Stati Uniti nell’area.
Per i turchi il sostegno militare statunitense è fondamentale, mentre sono impegnati nella lotta ai ribelli curdi del PKK ed il confine iracheno rimane sempre profondamente instabile. Ankara vorrebbe a breve la fornitura di caccia da combattimento e droni senza pilota ma questa possibilità è ora messa in discussione. E a rendere ancora più chiaro il messaggio ci ha pensato nei giorni scorsi proprio il premier israeliano Netanyahu che, mentre si trovava in visita ufficiale ad Atene (si noti che la Grecia è il nemico storico della Turchia), oltre a prospettare "colloqui militari" coi greci, annunciava l’acquisto da parte di Tel Aviv di 20 caccia bombardieri F-35 prodotti dall’americana Lockheed Martin.

Fonti: il Foglio; il Manifesto

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