L’Ecuador lotta per il parco Yasuni. L’occidente sta a guardare

L’Ecuador è un paese molto povero ma ha un asso nella manica che potrebbe cambiarne gli scenari economici, infatti, è stato individuato un grosso giacimento di petrolio che risolverebbe, almeno in parte, molti problemi. Purtroppo il giacimento si trova in una zona della foresta amazzonica ancora incontaminata, precisamente nel parco Yasuni, che sarebbe così distrutto dalle trivellazioni.
Il parco Yasuni è una delle zone della terra con il maggior numero di specie per metro quadrato, tanto da essere dichiarato nel 1989 dall’Unesco "Riserva della biosfera", senza dimenticare i diritti degli indigeni che abitano la zona che sarebbero costretti ad un’emigrazione forzata nel caso in cui i giacimenti fossero sfruttati.
Nel 2007 il presidente Rafael Correa, conscio che il suo Paese non poteva rinunciare ad una tale risorsa economica, aveva lanciato un appello alla comunità internazionale affinché le nazioni più sviluppate potessero finanziare l’Ecuador che a sua volta si sarebbe impegnato a lasciare intatto il Parco in cambio della metà del mancato guadagno stimato.
L’iniziativa era stata accolta favorevolmente, infatti, per la prima volta, la coscienza ecologista era stata messa in primo piano e l’esigenza di salvaguardare un territorio era diventata l’esigenza del mondo intero e non di una sola nazione.
Poteva essere l’esempio di come il Nord ed il Sud del mondo possano collaborare per una causa comune, accantonando la mentalità colonialista che ha sempre caratterizzato il mondo.
Dal punto di vista pratico le nazioni che dichiararono immediatamente il loro appoggio economico furono Spagna, Germania e Norvegia cui seguirono molti altri paesi tra i quali la stessa Italia e l’Unione Europea.
Purtroppo, come spesso accade, quando si passa dalle parole ai fatti le cose si complicano e tutte le adesioni si sono tramutate in una sola iniziativa condotta dall’Onu per utilizzare i fondi stanziati da Spagna e Germania.
Nei giorni scorsi, per accelerare i tempi, il vicepresidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, ha effettuato una visita in Iran con l’obiettivo di ottenere l’appoggio ed i fondi necessari per portare a termine il "progetto Yasunì".
Si calcola che per evitare che vengano estratti gli 850 milioni di barili di petrolio stimati per il giacimento, sarebbe necessario un apporto da parte della comunità internazionale di tre miliardi di dollari, circa la metà di quanto potrebbe guadagnare l’Ecuador dallo sfruttamento dei nuovi pozzi petroliferi.
Dopo l’Iran Moreno andrà in visita anche negli Emirati Arabi ed in Turchia per promuovere l’iniziativa economico-ambientale che, a suo parere, deve coinvolgere soprattutto i paesi produttori di petrolio che hanno un’enorme responsabilità nell’adozione di misure per la conservazione del pianeta.
Un ulteriore ostacolo nella realizzazione del progetto potrebbe essere la recente relazione del "Gruppo d’azione finanziaria internazionale contro il riciclaggio di capitali "(GAFI) che ha inserito l’Ecuador nella lista nera dei paesi poco collaborativi, anche per i rapporti intrattenuti con l’Iran.
Moreno si è difeso affermando che nessuno può proibire al suo paese di avere relazioni commerciali con chi ritiene opportuno ed ha sottolineato che l’Ecuador si è sempre distinto nella lotta al narcotraffico ed al terrorismo.

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