Lo stato depistatore

Un’analisi tornata attuale: dalla newsletter CLAR del 30 maggio 1994. Dopo le recenti rivelazioni sulla trattativa tra stato e mafia, presentiamo dai nostri archivi una analisi/inchiesta che, a distanza di oltre 15 anni dai fatti, dimostra quanto le strategie di poteri cosiddetti "occulti" o "deviati" potessero essere intuite allora e trovare puntuali conferme oggi…

LO STATO DEPISTATORE

Anche negli attentati del 1993, come in tutte le campagne di strategia della tensione, è possibile evidenziare il ruolo di copertura politica svolto dai massimi organi dello Stato. I ministri degli Interni e della Difesa erano al corrente di cosa stava accadendo e perché, ma hanno continuato a parlare di "criminalità eversiva", a tutela di una nuova azione di stabilizzazione del sistema.

Risulta oggi che la campagna di strategia della tensione del ’93 è iniziata assai prima dell’autobomba di via Fauro a Roma (14 maggio). È stato infatti lo stesso ministro degli Interni Mancino, davanti alla commissione parlamentare antimafia, il 16 giugno ’93, a dichiarare che erano stati sventati, prima di quelli andati a segno a Roma e Firenze, "quattordici attentati" (1), datandone uno addirittura al 1° marzo precedente.
Altri due importanti episodi, che non ci risulta siano stati analizzati in questo senso, lo confermano: come si sa, dopo l’attentato di via dei Georgofili a Firenze, il gruppo consiliare dei Verdi di Firenze venne a conoscenza che l’ambasciata americana, su informazione della polizia italiana, era stata messa in allerta contro il pericolo di un attentato.
È passato inosservato il fatto che, in quella occasione, funzionari americani dichiararono che il Regional Security Office, preposto alla protezione delle sedi diplomatiche statunitensi, era in allarme rosso, cioè il massimo grado di allerta, da oltre tre mesi (2). Si risale cosi alla fine di febbraio del ’93, cioè esattamente al periodo dell’attentato "sventato" del 1° marzo di cui ha detto Mancino.
Già il 3 febbraio ’93, però, un borsone con dentro 350 grammi di gelatina esplosiva non innescata è stato rinvenuto alla stazione di Napoli. Questo episodio è fondamentale, prima di tutto perché ha lo stesso obiettivo, tipico da strategia della tensione, i treni, degli attentati "sventati" il 10 marzo al treno 750 Trieste-Mestre-Venezia, ed il successivo 5 aprile ai binari della stazione di Pollina presso Palermo. E poi perché ci rivela chiaramente chi sta attuando questa operazione terroristica.
Sappiamo infatti oggi che a far mettere l’esplosivo e poi a segnalarlo è un collaboratore del Sisde, Rosario Allocca, che, dopo aver realizzato tra il 20 ed il 21 settembre un altro attentato "sventato", al treno Freccia dell’Etna, racconterà di aver agito in entrambi i casi in esecuzione di istruzioni del tenente colonnello dei carabinieri, capocentro del Sisde in Liguria, Augusto Citanna, il quale arrestato invocherà, cosa non nuova a questo tipo di cronache, il segreto di Stato sulle ragioni e le persone all’origine di questa operazione (3).
È cosi fondato il sospetto che molti degli attentati di cui parla Mancino non siano stati "sventati" dagli uomini dello Stato, ma da loro simulati per mettere in opera una classica azione di "destabilizzazione per stabilizzare". La conferma più importante a questa ipotesi viene proprio dalla reazione delle autorità dello Stato agli attentati che non vengono "sventati" e che uccidono, come in via dei Georgofili a Firenze, cittadini inermi.
Partiamo dalla presa di posizione ufficiale del ministro degli Interni Mancino che, per il posto che occupa, deve necessariamente essere il più informato sulla situazione: alle Camere, il 29 maggio (cioè dopo la strage di Firenze), dichiara che questi attentati sono "la reazione della criminalità alla risposta forte dello Stato", escludendo categoricamente come "suggestiva" l’ipotesi di un’azione di forze occulte e di "pezzi dello Stato" (4). Mancino ribadisce cosi l’interpretazione da lui data "a caldo", il 27 maggio, a Firenze (5); vi si atterrà anche davanti alla commissione Antimafia il 15 giugno (6), singolarmente sostenuto dal presidente pidiessino della commissione, Luciano Violante, che continua a definire la mafia "forza traente" della strategia delle bombe (7), nonostante la relazione della commissione, da lui stesso firmata, illustri ben diversi rapporti tra mafia e politica.
Eppure, nello stesso tempo, e questo è veramente il punto, Mancino lancia "segnali" che evidentemente dipendono da notizie ben precise e riservatissime: il 20 maggio, dopo l’attentato di via Fauro a Roma, ma prima di quello di Firenze, sorprendendo tutti, in un’altra audizione all’Antimafia, dichiara che nelle indagini su via Fauro si erano verificati "tentativi devianti, portati avanti da centri occulti di destabilizzazione" e fa specifico riferimento all’attività della Falange Armata, che opera, aggiunge clamorosamente, da "uffici pubblici" (8).
Il massimo di ambiguità viene però raggiunto dopo gli altri attentati non simulati, quelli della notte del 29 luglio a Milano ed a Roma, la cui evidente assenza di riferimenti "mafiosi" ed il cui spiccato valore simbolico rendono sempre più insostenibile la pista della "criminalità eversiva", definizione cara al prefetto Parisi: Mancino si arrampica sugli specchi, tirando in ballo addirittura i paesi dell’Est e del Centro Europa come possibili "destabilizzatori" dell’Italia, ma insieme informa che il Sisde ha sostituito il 90% dei suoi uomini e fa un nervoso riferimento a "fatti che restano un mistero" legati all’attività del Sismi: richiesto di che fatti si tratti, risponde con encomiabile chiarezza "i fatti, tutti i fatti" (9). Il ministro della Difesa, Fabbri, il giorno dopo, farà orecchie da mercante, guardandosi bene dallo spiegare a che cosa allude Mancino.
Anche Fabbri, però, pur continuando a parlare di "pista serba" per gli attentati, coglie l’occasione per annunciare l’avvenuto scioglimento della settima divisione del Sismi, quella "che aveva dentro Gladio" (10), evidentemente fino ad allora sopravvissuta alla sbandierata dissoluzione dell’organizzazione.
Gli elementi considerati in qui dimostrano: primo, che la campagna terroristica è in atto già da febbraio; secondo, che in essa sono direttamente coinvolti gli apparati di sicurezza dello Stato (Citanna), che utilizzano manovalanza reclutata nella criminalità organizzata; terzo, che i ministri della Repubblica sono pienamente consapevoli di quanto sta accadendo. Quella della "strategia è mafiosa" è dunque una tesi fittizia ad uso del pubblico, per coprire una verità che è inconfessabile perché rivelerebbe un’attività terroristica dello Stato.
Del resto che qualcosa di grave stia accadendo dalla fine del ’92 è evidente per almeno due circostanze precise: l’arresto dell’alto funzionario del Sisde, Contrada, accusato di fornire copertura alle attività della mafia; la sostituzione del comandante generale dei carabinieri, gen. Viesti, avvenuta, senza che sia stata mai fornita una spiegazione soddisfacente a fine febbraio (11).
Si dirà poi che il provvedimento si collega ad indagini su "favori" fatti ad alti ufficiali da ditte romane appaltatrici di lavori per l’Arma (12), o addirittura, ai legami del generale con personaggi di spicco di Tangentopoli (13). Ma questa spiegazione, vedendo quanto a lungo hanno resistito gli alti funzionari del Sisde nonostante la bufera dei "fondi neri", non convince.
È possibile invece che vi sia un preciso legame con manovre come quelle cui fa riferimento un inquietante volantino, firmato "Il Vortice", ritrovato ai primi di giugno nella sede, si noti, del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nel quale quello che si definisce "un gruppo di carabinieri stanchi" parla, nel bel mezzo della nuova campagna terroristica, di "insani progetti di restaurazione attuati dalle lobbies che rappresentano i vertici militari, rinvigoriti e rafforzati dal forte vuoto di potere politico, determinatosi a seguito dei devastanti effetti delle recenti inchieste giudiziarie" (14).
Un documento che, molto più delle dichiarazioni ministeriali, chiarisce quali sono i veri problemi sul tappeto. Che qui si trovi la più logica chiave di lettura delle bombe del ’93, risulta dal fatto che a ottobre, quando si comincerà a sapere qualcosa di più su quello che già in primavera Mancino e Fabbri dovevano sapere ma hanno preferito tacere al Paese, si apprenderà che uno dei telefonisti della Falange Armata è un dipendente del ministero di Grazia e Giustizia e che un ex coordinatore dei servizi, Francesco Paolo Fulci, ha fatto ai magistrati sedici nomi di funzionari Sismi come possibili membri della Falange: il ministro Fabbri ed il direttore del Cesis gen. Tavormina, si affretteranno allora, ancora una volta, a cercare di contenere le evidenti implicazioni di queste notizie, il primo negando la presenza di legami fra la Falange e la struttura dei servizi che gestiva l’organizzazione Gladio (15); il secondo, davanti alla commissione stragi, cercando di circoscrivere la strategia della Falange ad un’attività di "disinformazione" (16), negandone il possibile coinvolgimento in azioni terroristiche – una linea difensiva già validamente dispiegata nella vicenda Gladio. Intanto, però, come si è visto, il tenente colonnello Citanna si richiama, nella sua concreta attività di provocazione, a "ordini superiori" e fornisce così l’ennesima conferma di una strategia di Stato in atto.
Occorre allora sottolineare che il primo "depistaggio" verificatosi anche in questa nuova campagna di strategia della tensione parte dalle massime autorità politiche e militari, che appaiono anche in questa occasione edotte di cosa in realtà sta accadendo e per questo forniscono senza esitazione piena copertura alle operazioni in atto, lanciando "messaggi" che fanno parte di una strenua lotta per la difesa di poteri palesi e di segreti occulti.
Ciò significa che le attività terroristiche, sviluppate o favorite dagli apparati di sicurezza dello Stato, non sono frutto di "deviazioni" o opera di "schegge impazzite" (che si possono denunciare e colpire), ma si collegano ad esigenze fondamentali di sopravvivenza e di equilibrio del sistema politico. Dal quadro che abbiamo cercato sinteticamente di delineare, non vi sono altre possibili conclusioni.
 

(1) C. CHIANURA, "Sventati quattordici attentati", La Repubblica, 16.6.93.
(2) D. MASTROGIACOMO, "C’è una bomba in arrivo", La Repubblica, 29.5.93.
(3) A. BADUEL, "Tolto il segreto di Stato, farò i nomi", L’Unità, 20.10.93.
(4) G. FRASCAPOLARA, G.F. MENNELLA, Mancino: "È una strage della mafia", L’Unità, 29.5.93.
(5) F. SELVANCI, "Vogliono piegarci, ma non ce la faranno", La Repubblica, 28.5.93.
(6) C. CHIANURA, articolo citato.
(7) G. CALDAROLA, "Bisogna colpire più duramente", L’Unità, 28.5.93.
(8) G. CIPRIANI, La denuncia di Mancino, "Falange armata ha le basi in alcuni uffici pubblici", L’Unità, 21.5.93.
( 9 ) G. D’AVANZO, Mancino: "Se volete la mia testa…", La Repubblica, 30.7.93.
(10) Parla Fabbri: "Cambieremo il Sismi", La Repubblica, 31.7.93.
(11) G. D’AVANZO, Tempo scaduto per il generale Viesti, La Repubblica, 27.2.93.
(12) G. CIPRIANI, Appalti e "favori", indagine sul comando dell’Arma, L’Unità, 7.3.93.
(13) A. PALOSCIA, I segreti del Viminale, Milano, 1994, pp. 328-329.
(14) G. TUCCI, Cobas o Corvi? "Siamo i clandestini dell’ Arma", L’Unità, 7.6.93.
(15) G. TUCCI, Gladio chiama Falange armata, L’Unità, 20.10.93.
(16) G. TUCCI, Il dossier-denuncia del generale Tavormina, c’è il Sismi dietro la Falange Armata, L’Unità, 21.10.93.

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