Piazza Fontana, quarant’anni dopo: la verità è nella nostra storia

La ricorrenza del 1969, come è già accaduto lo scorso anno con quella del 1968, sta dando e certamente ancora darà modo di sentir ripetere taluni ben noti luoghi comuni. Per ricordare le vittime innocenti della Strage di Piazza Fontana crediamo che sia oggi importante invece cercare di fissare alcuni punti, tali, speriamo, da evitare la recitazione quasi rituale di frasi fatte.
Primo punto: non ha più alcun senso parlare di “strage fascista” e questo non perché la gran parte degli imputati appartenenti all’area “neo-fascista” siano stati ripetutamente assolti: è infatti del tutto possibile che l’attentato sia stato materialmente attuato da uno o più personaggi inseriti in quell’area, ma è oggi altrettanto evidente che la strategia della tensione e gli attentati stragisti non maturarono come autonoma strategia del mondo “neo-fascista” in quanto rispondevano a ben altri centri di potere, di livello nazionale ed internazionale.
Bisogna infatti ricordare che uomini-chiave della strategia della tensione, in momenti e con ruoli diversi, quali Paolo Emilio Taviani, Federico Umberto d’Amato, Ivan Matteo Lombardo, Giovanni De Lorenzo, Carlo Fumagalli, Edgardo Sogno, ecc., provenivano tutti dal mondo dell’anti-fascismo e vantavano riconosciuti meriti per il loro passato nella resistenza e nella collaborazione con le forze alleate durante l’ultima guerra mondiale.
Continuare ad attribuire quindi lo stragismo al “rigurgito fascista”, come si è strumentalmente ripetuto per molti anni, rivela oggi non solo ignoranza ma indisponibilità a cercare la verità ove essa si trova. La più evidente controprova di quanto affermiamo sta nel fatto che alla stagione di attacchi indiscriminati contro civili negli anni Settanta ha fatto seguito, dalla strage del Rapido 904 (1984) agli attentati dei primi anni Novanta, un nuovo “stragismo” al quale proprio oggi risulta evidente che la manovalanza venne prestata in questo caso dalla malavita organizzata, mafiosa in particolare. Una nuova declinazione operativa della strategia stragista, ma sempre rivolta a “destabilizzare per stabilizzare”, secondo la definizione proposta da Vincenzo Vinciguerra – un’interpretazione che ha resistito fino ad oggi ad ogni possibile confutazione.
Secondo punto, conseguente al primo: è ben chiaro che se di verità giudiziaria non si può parlare, si può tranquillamente parlare di una realtà storica, perché la massa di documentazione raccolta in fase processuale e largamente resa pubblica a livello giornalistico e storiografico è tale e tanta che si stenta a credere che si possa ancora parlare di un “mistero” a proposito di Piazza Fontana. Se non sono stati infatti determinati con sicurezza gli esecutori materiali del vile attentato, ben chiaro è ormai il contesto storico e politico in cui esso maturò, i rapporti interni e internazionali nei quali si iscrive la strategia stragista. Nel corso degli anni, il ruolo di organizzazioni Nato come Stay behind, di organizzazioni di potere occulto come la P2, la rete di protezioni automatiche attivate dai servizi di sicurezza, da taluni ambienti militari e politici, sono talmente e vastamente documentati che è impossibile non attribuire a questi elementi il valore di un dato di fatto storicamente provato.
Non basta: l’incrocio tra le vicende del terrorismo “nero” e quelle del terrorismo “rosso” hanno aggiunto ulteriore supporto fattuale e documentale all’ipotesi di un controllo unitario di questi fenomeni, indirizzati in modo efficiente rispetto all’obiettivo della “destabilizzazione stabilizzante”. Il fatto che autorevoli esponenti delle Commissioni parlamentari di inchiesta sulle stragi e sul terrorismo, ad esempio, siano arrivati a parlare in modo molto esplicito di un “partito di via Caetani”, alludendo alla raffinata gestione del sequestro di Aldo Moro, dimostra che non si tratta di dietrologia ma di interpretazioni fondate su risultanze suffragate da documenti e da fatti.
Terzo punto, derivante dal collegamento fra i primi due: occorre essere ben chiari quando si parla di “stragi di Stato”. Non si può più far credere, troppo spesso con scarsa buona fede, ad una strategia di sovvertimento delle istituzioni repubblicane ad opera di settori antidemocratici annidati nello Stato. La strategia della tensione, degli opposti estremismi, dei depistaggi investigativi e giudiziari non è affatto opera di oppositori del sistema postbellico: al contrario, tale strategia è stata parte integrante della strenua difesa degli equilibri di potere costitutivi del sistema, a livello nazionale. All’esterno, è stata necessaria a fornire quella “garanzia” necessaria al mantenimento della continuità di quel potere nei confronti di un sovraordinato assetto di potere internazionale, costituitosi a seguito della sconfitta del nostro Paese nella Seconda Guerra Mondiale e della sua disintegrazione come entità nazionale conseguente all’8 settembre 1943. È il caso di aggiungere che questo tipo di garanzia in merito alla collocazione internazionale dell’Italia rimane ancor oggi elemento intangibile per chiunque voglia ottenere e conservare il potere nel nostro Paese, indipendentemente dal suo orientamento politico di destra, centro, sinistra.
Di conseguenza, se mai, sarebbe oggi opportuno ri-analizzare più attentamente a quali forze internazionali l’Italia debba attualmente prestare garanzia del proprio allineamento, giacché è possibile che nuovi attori si siano nel frattempo affacciati alla ribalta degli equilibri mediterranei, rispetto al 1969.
Ultimo punto, essenziale, al quale in realtà si è dedicata troppa poca attenzione, a causa dell’assai limitato coraggio dei nostri storici accademici. Episodi fondamentali della nostra storia come l’omicidio di Giacomo Matteotti e dei Fratelli Rosselli, ad esempio, (ma anche la fine del bandito Giuliano e quella di Enrico Mattei) disegnano all’interno della storia italiana una linea di continuità che richiederebbe una lettura assai più ampia, profonda e spregiudicata. Emergerebbe allora, con ogni probabilità, un aspetto che dovremmo cominciare a proporre seriamente all’attenzione anche della gente comune: l’Italia, giunta faticosamente all’indipendenza ed all’unità proprio quando le grandi forze del potere economico-finanziario giungevano all’egemonia mondiale, è stata oggetto di pesantissimi condizionamenti sulla sua fragile sovranità, a ragione della sua fondamentale collocazione strategica in un crocevia, ideale e spirituale oltre che geo-politico, fra oriente ed occidente e fra nord e sud del mondo che oggi è diventato, se possibile, ancora più importante per i futuri assetti del potere mondiale.
Ecco perché ricordarsi di Piazza Fontana richiederebbe di cominciare oggi a rivedere tutta la nostra storia unitaria, provando ad analizzarla da questa prospettiva. È un compito davvero urgente, perché il futuro potrebbe richiedere assai presto scelte decisive che l’Italia non potrà fare senza una consapevolezza estremamente chiara di quello che realmente è accaduto nel suo recente passato.

Bibliografia essenziale:
Franco Bandini, Il Cono d’ombra, SugarCo, Milano, 1990.
Giuseppe De Lutiis, Il golpe di via Fani, Sperling&Kupfer, Milano, 2007.
Giovanni Pellegrino, Giovanni Fasanella, Segreto di Stato, Einaudi, Torino, 2000.
Carlo Silvestri, Matteotti Mussolini e il dramma italiano, Ruffolo Editore, Roma, 1947.
Vincenzo Vinciguerra, Ergastolo per la libertà, Arnaud, Firenze, 1991.

Print Friendly, PDF & Email