I rapporti con Israele condizionano la scelta dei vertici dell’intelligence Usa

Riportiamo un interessante articolo sui retroscena della scelta di un futuro membro del vertice della comunità dell’intelligence statunitense.
Il testo è molto eloquente a proposito dell’influenza della cosiddetta lobby israeliana nell’indirizzare la politica estera degli Usa, e non solo.
 
Opinioni diverse su Israele dietro la rinuncia nella scelta sull’intelligence Usa

di Mark Mazzetti e Helene Cooper
International Herald Tribune
12 marzo 2009

Quando Dennis Blair, il direttore dell’intelligence nazionale, ha annunciato che avrebbe voluto collocare Charles Freeman Jr. in una posizione eminente nell’intelligence, la sua decisione ha sorpreso chi alla Casa Bianca temeva che questa scelta avrebbe potuto essere controversa ed un’inutile perdita di tempo, a parere dei funzionari del governo.
Quanto la scelta sarebbe stata controversa, è diventato chiaro martedì, quando Freeman, un ex ambasciatore in Arabia Saudita durante la presidenza di George H.W. Bush, ha ritirato il proprio nome dalla possibile candidatura accusando di essere vittima di una campagna concertata da quella che ha definito, "la lobby di Israele".
Freeman è da tempo apertamente critico nei confronti di Israele, con una energia che raramente i funzionari americani esprimono apertamente nei confronti di un convinto alleato degli Stati Uniti. Nel 2006 ha avvertito che "se lasciato ai proprio orientamenti, la classe dirigente israeliana prenderà decisioni che danneggiano Israele, minacciano tutti i suoi alleati e creano ostilità in coloro che non lo sono".
Freeman non ha attenuato i suoi toni nemmeno mercoledì affermando in una intervista che "Israele si sta dirigendo verso il precipizio ed è da irresponsabili non mettere in discussione la politica israeliana e valutare in base agli interessi del popolo americano".
I critici che hanno diretto il tentativo di ostacolare Freeman sostengono che una visione come la sua dimostra un’opinione negativa che non può essere tollerata in una persona che, come membro del National Intelligence Council, avrebbe la supervisione della produzione di quelle che si suppone debbano essere valutazioni delle informazioni politicamente neutrali, destinate alla scrivania del presidente.
I difensori di Freeman dicono che il suo punto di vista su Israele è radicale solo se considerato attraverso le lenti della politica interna americana, e si domandano se sia ancora possibile mettere in discussione il sostegno americano a Israele senza essere costretti al silenzio ed emarginati.
"La realtà di Washington è – dice Robert Jordan, che è stato ambasciatore in Arabia Saudita dal 2001 al 2003, che nel nostro panorama politico si ha difficoltà ad accettare qualsivoglia critica rivolta a qualsiasi componente della leadership israeliana.
Giacché lo stesso presidente Barack Obama è stato visto con sospetto da diversi gruppi filo-Israele, gli attacchi contro Freeman hanno avuto il potere di toccare un punto critico. Diversi di questi gruppi hanno plaudito alle nomine di Hillary Rodham Clinton come segretario di Stato e di Dennis Ross come consigliere speciale per l’Iran e i problemi del Golfo Persico, ma rimangono perplessi nei confronti di altri membri di questo governo che dovranno occuparsi della questione arabo-israeliana.
Dopo le critiche da parte di alcuni gruppi filo-israeliani durante la campagna per la presidenza, Obama ha preso le distanze da Zbigniew Brzezinski, il consigliere per la sicurezza nazionale sotto la presidenza di Jimmy Carter, che varie volte è stato critico nei confronti di Israele.

(tr. a cura di Alfatau)

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