Il profondo mutamento che ha interessato il sistema finanziario italiano (nonché internazionale) negli anni ’90 ha trasformato il sistema bancario nazionale, ha riscritto l’organizzazione interna di ogni banca, ed ha modificato in misura significativa il rapporto cliente-banca in molti dei suoi aspetti. Questo intervento si propone di esaminare l’evoluzione di questo rapporto in particolare per quanto concerne la funzione di raccolta, tipica di ogni banca retail.
La legge che ha istituito nel 1983 i fondi comuni di investimento costituisce la pietra miliare della progressiva modernizzazione del sistema finanziario italiano. La disponibilità di questo prodotto nella banca e l’evoluzione dell’offerta che si è nel tempo gradualmente ampliata con strumenti sempre più sofisticati e specializzati, nell’ambito della cosiddetta raccolta gestita, ha determinato le condizioni per una corrispondente trasformazione dell’organizzazione della banca tesa a sostenere e supportare questa nuova tipologia di prodotti.
Il risparmio gestito consentiva all’investitore di uscire dall’asfittica gamma di prodotti fino a quel momento offerti dagli istituti di credito, poteva operare su aree di investimento e settori merceologici diversificati, con contenuti livelli di rischio in quanto il patrimonio comune veniva gestito da operatori qualificati, mentre permetteva alle banche di entrare in un nuovo business emergente. I prodotti della raccolta gestita potevano divenire una opportunità anche per gli stessi dipendenti bancari, impegnati nell’attività di investment banking, attraverso l’ampliamento delle proprie conoscenze tecnico professionali e la possibilità di fornire alla clientela consulenze adeguate alle variegate esigenze finanziarie espresse.
Nella realtà le cose hanno assunto una connotazione diversa da quella prevedibile. Le banche hanno costituito direttamente le società di gestione del risparmio e tramite le loro filiali hanno iniziato a distribuire i loro stessi prodotti procedendo, di fatto, alla verticalizzazione dell’ "industria del risparmio". Da ciò è conseguita una ben definita divisione del lavoro all’interno dello stesso gruppo bancario: la società di gestione del risparmio elabora, progetta, gestisce i prodotti (fondi comuni e simili) e provvede alle corrispondenti analisi economiche, giuridiche, tecniche e finanziarie. Alle filiali bancarie rimane solo il compito di distribuire gli stessi prodotti presso la clientela. Tale impostazione ha comportato in moltissimi casi un pesante impatto sotto il profilo organizzativo e sulla complessiva cultura aziendale degli attori del sistema bancario.
Infatti, in base a quanto detto, i vertici dei gruppi bancari da anni premono per la trasformazione della raccolta amministrata (e talvolta pure diretta) in raccolta gestita. Questo per due ragioni di fondo: la raccolta gestita assicura una redditività costante (ed elevata) nel tempo (basata sulle provvigioni trimestrali percepite sul patrimonio gestito), maggiore di quella riveniente dalla raccolta amministrata focalizzata sulla negoziazione (acquisto o vendita del titolo) (1).
Inoltre l’implementazione della sola funzione commerciale (come abbiamo visto sopra) consente alla banca di standardizzare le competenze dei dipendenti all’uopo impegnati con un conseguente, sostanziale abbassamento delle stesse e del livello di professionalità complessiva dell’operatore attivo in questo settore.
Se per i vertici degli Istituti di credito questo significa riduzione del costo del lavoro ed aumento della flessibilità operativa, dall’altro lato queste decisioni strategiche nell’assetto del lavoro, portano con sé due pesanti riflessi negativi.
Il primo è già stato menzionato: nella rete commerciale della banca si assiste ad un progressivo depauperamento di conoscenza e professionalità. Il lavoratore bancario non viene apprezzato perché conosce profondamente (e quindi può consigliare adeguatamente il cliente) il mercato finanziario, i complessi meccanismi che ne assicurano il suo funzionamento, le variabili macroeconomiche di contesto e così via, ma solo se è in grado di distribuire i prodotti della raccolta gestita, "pensati" e "gestiti" da altri.
Il secondo riguarda il cliente, che è spinto verso una tipologia di prodotti, non sempre necessariamente adeguati alle sue specifiche esigenze.
In questa sede evito di analizzare a fondo l’eterna querelle tra raccolta gestita e raccolta amministrata (su cui torneremo in un altro argomento). Credo però che da questa discussione debba essere fatto salvo il principio che sia giusto e doveroso assicurare al cliente una piena, vera, ed effettiva libertà di scelta a fronte di una altrettanto corretta consulenza del dipendente bancario che dovrebbe esprimersi libero da budgets di periodo, di settore, di prodotto, o altre forme di pressioni e condizionamenti esercitati per il conseguimento di risultati commerciali.
Preso atto che esiste una palpabile ed evidente antinomia tra professionalità e strumento del budget, il vero nodo, di tipo culturale, che buona parte delle banche italiane deve affrontare al più presto, sta nel ribaltare il principio del risultato commerciale aziendale in quello della vera consulenza; il che equivale a dire operare con una filosofia di medio lungo periodo, durante il quale il servizio offerto possa essere vincente sulla concorrenza. Servizio offerto che consiste nella stabilità delle relazioni, nella preoccupazione di risolvere effettivamente il "problema" del cliente, nel dimostrare che la Banca non è solo il percettore di provvigioni e commissioni ma che sente il risparmio come cosa eticamente corretta e soggetto da tutelare sempre ed in ogni caso. Di conseguenza dovrebbe elevare questo "sentiment", al rango di usuale "metodo di lavoro" che possa caratterizzare la sua "missione aziendale" nel tempo. Quando il cliente comprenderà che la Banca è disponibile a guadagni meno lucrosi nel presente per poter fornire una risposta più congrua alle sue aspettative ed ai suoi interessi, riacquisterà verso di essa stima e fiducia.
Concetto, quest’ultimo, importante in ogni ambito della vita umana, ma assolutamente indispensabile nel settore di cui ci stiamo occupando. Sarebbe tedioso, soprattutto in questo periodo, discettare di "fiducia". Troppi esempi, di dimensioni mondiali, ci insegnano a quali conseguenze catastrofiche i sistemi economici e sociali sono esposti in mancanza di questo bene primigenio.
Il futuro del sistema bancario del nostro paese è legato a questa scommessa. Dopo gli eccessi della finanza "facile", di quella "creativa", entrambe legate a scorrette impostazioni dove si privilegiava il risultato economico immediato, oggi è indispensabile che il sistema bancario torni a parlare di "cliente" come effettivo soggetto attorno al quale costruire un nuovo e vero rapporto di collaborazione in cui il risparmio di questo, non sia considerato come un patrimonio da cui trarre il massimo del beneficio economico, ma come una ricchezza da gestire e servire per il bene del risparmiatore e della comunità.
La legge che ha istituito nel 1983 i fondi comuni di investimento costituisce la pietra miliare della progressiva modernizzazione del sistema finanziario italiano. La disponibilità di questo prodotto nella banca e l’evoluzione dell’offerta che si è nel tempo gradualmente ampliata con strumenti sempre più sofisticati e specializzati, nell’ambito della cosiddetta raccolta gestita, ha determinato le condizioni per una corrispondente trasformazione dell’organizzazione della banca tesa a sostenere e supportare questa nuova tipologia di prodotti.
Il risparmio gestito consentiva all’investitore di uscire dall’asfittica gamma di prodotti fino a quel momento offerti dagli istituti di credito, poteva operare su aree di investimento e settori merceologici diversificati, con contenuti livelli di rischio in quanto il patrimonio comune veniva gestito da operatori qualificati, mentre permetteva alle banche di entrare in un nuovo business emergente. I prodotti della raccolta gestita potevano divenire una opportunità anche per gli stessi dipendenti bancari, impegnati nell’attività di investment banking, attraverso l’ampliamento delle proprie conoscenze tecnico professionali e la possibilità di fornire alla clientela consulenze adeguate alle variegate esigenze finanziarie espresse.
Nella realtà le cose hanno assunto una connotazione diversa da quella prevedibile. Le banche hanno costituito direttamente le società di gestione del risparmio e tramite le loro filiali hanno iniziato a distribuire i loro stessi prodotti procedendo, di fatto, alla verticalizzazione dell’ "industria del risparmio". Da ciò è conseguita una ben definita divisione del lavoro all’interno dello stesso gruppo bancario: la società di gestione del risparmio elabora, progetta, gestisce i prodotti (fondi comuni e simili) e provvede alle corrispondenti analisi economiche, giuridiche, tecniche e finanziarie. Alle filiali bancarie rimane solo il compito di distribuire gli stessi prodotti presso la clientela. Tale impostazione ha comportato in moltissimi casi un pesante impatto sotto il profilo organizzativo e sulla complessiva cultura aziendale degli attori del sistema bancario.
Infatti, in base a quanto detto, i vertici dei gruppi bancari da anni premono per la trasformazione della raccolta amministrata (e talvolta pure diretta) in raccolta gestita. Questo per due ragioni di fondo: la raccolta gestita assicura una redditività costante (ed elevata) nel tempo (basata sulle provvigioni trimestrali percepite sul patrimonio gestito), maggiore di quella riveniente dalla raccolta amministrata focalizzata sulla negoziazione (acquisto o vendita del titolo) (1).
Inoltre l’implementazione della sola funzione commerciale (come abbiamo visto sopra) consente alla banca di standardizzare le competenze dei dipendenti all’uopo impegnati con un conseguente, sostanziale abbassamento delle stesse e del livello di professionalità complessiva dell’operatore attivo in questo settore.
Se per i vertici degli Istituti di credito questo significa riduzione del costo del lavoro ed aumento della flessibilità operativa, dall’altro lato queste decisioni strategiche nell’assetto del lavoro, portano con sé due pesanti riflessi negativi.
Il primo è già stato menzionato: nella rete commerciale della banca si assiste ad un progressivo depauperamento di conoscenza e professionalità. Il lavoratore bancario non viene apprezzato perché conosce profondamente (e quindi può consigliare adeguatamente il cliente) il mercato finanziario, i complessi meccanismi che ne assicurano il suo funzionamento, le variabili macroeconomiche di contesto e così via, ma solo se è in grado di distribuire i prodotti della raccolta gestita, "pensati" e "gestiti" da altri.
Il secondo riguarda il cliente, che è spinto verso una tipologia di prodotti, non sempre necessariamente adeguati alle sue specifiche esigenze.
In questa sede evito di analizzare a fondo l’eterna querelle tra raccolta gestita e raccolta amministrata (su cui torneremo in un altro argomento). Credo però che da questa discussione debba essere fatto salvo il principio che sia giusto e doveroso assicurare al cliente una piena, vera, ed effettiva libertà di scelta a fronte di una altrettanto corretta consulenza del dipendente bancario che dovrebbe esprimersi libero da budgets di periodo, di settore, di prodotto, o altre forme di pressioni e condizionamenti esercitati per il conseguimento di risultati commerciali.
Preso atto che esiste una palpabile ed evidente antinomia tra professionalità e strumento del budget, il vero nodo, di tipo culturale, che buona parte delle banche italiane deve affrontare al più presto, sta nel ribaltare il principio del risultato commerciale aziendale in quello della vera consulenza; il che equivale a dire operare con una filosofia di medio lungo periodo, durante il quale il servizio offerto possa essere vincente sulla concorrenza. Servizio offerto che consiste nella stabilità delle relazioni, nella preoccupazione di risolvere effettivamente il "problema" del cliente, nel dimostrare che la Banca non è solo il percettore di provvigioni e commissioni ma che sente il risparmio come cosa eticamente corretta e soggetto da tutelare sempre ed in ogni caso. Di conseguenza dovrebbe elevare questo "sentiment", al rango di usuale "metodo di lavoro" che possa caratterizzare la sua "missione aziendale" nel tempo. Quando il cliente comprenderà che la Banca è disponibile a guadagni meno lucrosi nel presente per poter fornire una risposta più congrua alle sue aspettative ed ai suoi interessi, riacquisterà verso di essa stima e fiducia.
Concetto, quest’ultimo, importante in ogni ambito della vita umana, ma assolutamente indispensabile nel settore di cui ci stiamo occupando. Sarebbe tedioso, soprattutto in questo periodo, discettare di "fiducia". Troppi esempi, di dimensioni mondiali, ci insegnano a quali conseguenze catastrofiche i sistemi economici e sociali sono esposti in mancanza di questo bene primigenio.
Il futuro del sistema bancario del nostro paese è legato a questa scommessa. Dopo gli eccessi della finanza "facile", di quella "creativa", entrambe legate a scorrette impostazioni dove si privilegiava il risultato economico immediato, oggi è indispensabile che il sistema bancario torni a parlare di "cliente" come effettivo soggetto attorno al quale costruire un nuovo e vero rapporto di collaborazione in cui il risparmio di questo, non sia considerato come un patrimonio da cui trarre il massimo del beneficio economico, ma come una ricchezza da gestire e servire per il bene del risparmiatore e della comunità.
(1) Un’ampia analisi condotta dalla Banca d’Italia sul risparmio gestito ha messo in evidenza le elevate provvigioni percepite dalle corrispondenti società di gestione. Eccessive rispetto a quelle applicate da altre società estere e, soprattutto, se comparate con i modesti risultati conseguiti in termini di redditività per la clientela (Redazione Annuale 2006 di B.I. pagg. 178 e segg.)