Se in piena era del turbocapitalismo sarebbe stata una eresia parlare di riduzione dell’orario di lavoro, oggi una eventualità di questo tipo farebbe arricciare il naso a molte persone in meno. Certo, ciò di cui si sta parlando non è un principio applicabile all’universalità dei lavoratori. Del tema si è iniziato a discutere quando in Germania la Cancelliera Angela Merkel ha fatto una proposta "sensata" alle aziende in difficoltà. Anziché ridurre il numero dei dipendenti, questi potrebbero ridurre la loro produzione (a causa della caduta della domanda) ricorrendo alla riduzione dell’orario di lavoro (con conseguente decurtazione dello stipendio). In altre parole si sta pensando alla settimana corta: quattro giorni anziché cinque.
Ciò significherebbe assicurare a tutti i lavoratori la stabilità del lavoro anche se con uno stipendio ridotto. La cosa potrebbe sembrare quasi banale; si potrebbe dire che è l’ennesima scoperta dell’acqua calda, ma così non è.
Secondo la cultura economica anglosassone che tende a considerare il lavoro alla stregua di una qualsiasi merce, quando si riduce la produzione si tagliano i costi "variabili" e tra questi è compresa anche la forza lavoro.
La proposta della Merkel, sostenuta con immediatezza dal nostro ministro dell’economia Tremonti, potrebbe creare un importante spartiacque tra chi ragiona secondo la visione anglosassone e chi ritiene il lavoro qualche cosa di più di una merce, quella risorsa che si pone come la protagonista della vita dell’uomo e, pertanto, meritevole di maggiore rispetto e attenzione.
Se al principio della stabilità del lavoro si aggiungesse quello di una più equa e corretta distribuzione del reddito e della ricchezza, allora si potrebbe affermare, quasi quasi, che questa crisi ha prodotto pure cose buone.
Passando dalla terminologia economicista a quella più concreta "dell’uomo della strada", il secondo punto si può esprimere anche così: mai più stipendi milionari (e addirittura plurimilionari), ma anche molti lauti compensi di tanti "consulenti", "dirigenti", "analisti" meriterebbero una consistente sforbiciata. Di questo potrebbero giovarsi gli stipendi da 900/1000 euro al mese che sono al limite della sussistenza.
La strada è lunga, gli ostacoli sono molti. Cambiare questo sistema non sarà facile. Ma forse il 2008 ci ha portato la gradita sorpresa che, dopotutto, i primi passi sono stati fatti.