La Repubblica Dominicana si mobilita ma le "maquilas" resistono

Nei giorni scorsi si è svolto un grande sciopero generale nella Repubblica Dominicana, paese "democratico" ma dove le differenze tra le varie classi sociali sono particolarmente accentuate ed un ampio strato della popolazione vive in stato di estrema povertà.
La richiesta di riforme politiche e sociali ha portato ad una massiccia adesione sia da parte dei lavoratori dipendenti che da parte di negozianti e lavoratori autonomi grazie anche all’appoggio dato all’iniziativa dal principale partito di opposizione, il Partido Revolucionario Dominicano.
Purtroppo non sono mancati violenti scontri con le forse dell’ordine che hanno portato ad un bilancio di alcuni feriti e circa 25 arrestati.
Il ministro dell’interno Franklin Almeyda ha definito l’esito dello sciopero un "fallimento" anche se l’opposizione lo smentisce fornendo dei dati contrastanti con quelli governativi.
Sicuramente l’adesione è stata praticamente nulla nelle zone franche, le famigerate "maquilas", nate nei paesi latino americani nel corso degli anni settanta e particolarmente attive nella Repubblica Dominicana ed in Messico, ma presenti anche in Salvador, Honduras, Nicaragua e Guatemala.
In sostanza si tratta di propaggini di multinazionali, essenzialmente statunitensi, che utilizzano manodopera a basso costo per assemblare prodotti tecnologicamente avanzati i cui semilavorati arrivano dal paese straniero.
Il prodotto finito viene poi esportato e venduto all’estero.
Inutile dire che queste imprese non producono reddito per il paese che le ospita e che la forza lavoro vive in condizioni di semi schiavismo come ben raccontato nel film con Jennifer Lopez ed Antonio Banderas "Bordertown".

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