Si è aperta la caccia alle risorse del Turkmenistan

L’improvvisa morte del padre/padrone del Turkmenistan, Saparmurat Niyazov, avvenuta a 66 anni per un arresto cardiaco lo scorso 20 dicembre, ha aperto un vuoto politico nello stato centro-asiatico, ex repubblica sovietica indipendente dal 1991.
Niyazov ha governato il paese con pugno di ferro per oltre venti anni, come massimo responsabile del partito comunista prima e come indiscusso presidente dopo il distacco dall’Urss. Il suo culto della personalità aveva raggiunto talvolta livelli grotteschi. Attorno alla sua figura aleggiava all’interno del paese una sorta di leggenda, mentre all’esterno era percepito piuttosto come un satrapo che un vero statista.
Ma le classi dirigenti straniere non hanno mai messo in discussione il potere di Niyazov, che nelle relazioni internazionali si faceva forte dell’importanza strategica del suo paese. Il Turkmenistan ha 5,5 milioni di abitanti, a maggioranza sunnita, confina con Iran e Afghanistan e si affaccia sulle sponde del Mar Caspio. Dispone di riserve di gas per 22 triliardi di metri cubi, le seconde dell’Asia.
A chi andranno queste immense ricchezze dopo la morte di Niyazov?
Finora era stato il colosso petrolifero russo Gazprom ad avere in mano il gas turkmeno, e uno spazio si era recentemente aperto anche per la Cina, che aveva spuntato un contratto miliardario per lo sfruttamento dell’immenso giacimento di Iolotan (un potenziale di 7 trilioni di metri cubi).
Ma ora le carte vengono rimescolate. Se le elezioni fissate al prossimo 11 febbraio vedranno il successo, come preventivato, dell’attuale presidente ad interim Berdymuhammendov, la continuità dovrebbe essere garantita senza particolari scossoni. Ma nel gioco si sono intromessi gli americani che non nascondono la velleità di sfruttare l’occasione per incanalare le risorse turkmene attraverso il Caspio e farle giungere al Mediterraneo utilizzando il gasdotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Azerbaigian, Georgia, Turchia) ed estromettendo di conseguenza Russia e Cina.
I leader del movimento Opposizione Democratica Unita del Turkmenistan, in esilio in Norvegia, hanno annunciato il proposito di tornare nel paese per portare la "rivoluzione della farina", ovvero un carico di frumento che serva a "sfamare il popolo turkmeno affamato dalla dittatura di Niyazov".
Sono molti a vedere dietro questa azione la mano di Washington, che auspicherebbe l’apertura di una fase rivoluzionaria morbida, come già accaduto negli anni scorsi in Georgia e Ucraina.
Ma per le prospettive americane i tempi appaiono brevi e i margini di manovra molto stretti.

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