Lo spazzino e la spogliarellista

I loro nomi sono William Rodriguez e Amanda Kelly. Dovrebbero essere famosi, visto che viviamo in una società della comunicazione ingorda di atti di eroismo e rivelazioni piccanti. Invece sono degli sconosciuti, in Europa e anche negli Stati Uniti, dove Rodriguez, dopo un primo momento di celebrità, è stato presto ignorato dai mass media e subito dimenticato.
Andiamo con ordine. Chi sono dunque questi due carneade?

William Rodriguez è un cittadino americano di origine portoricana. Per venti anni ha lavorato al World Trade Center di New York come addetto alle pulizie, fino a diventare il responsabile del settore manutenzione della Torre nord, crollata l’11 settembre in seguito agli attentati terroristici. Quel giorno Rodriguez si trovava come sempre sul posto di lavoro e si è comportato da autentico eroe. Era uno dei pochi a possedere i passpartout di tutte le porte del grattacielo ed è rimasto fino all’ultimo dentro quella trappola per aprire i passaggi ai pompieri che cercavano di raggiungere i piani dove si erano verificati gli impatti. Lui stesso ha portato in salvo alcune persone finché la squadra di pompieri che stava accompagnando non ha deciso di ritirarsi vista la minaccia imminente del crollo. Rodriguez è riuscito ad uscire dalla Torre nord un attimo primo che crollasse e si è salvato solo per la prontezza di gettarsi sotto un camion dei vigili del fuoco posizionato lì fuori e che ha resistito all’urto dei detriti che gli piovevano addosso. È stato ufficialmente l’ultimo dei dispersi del World Trade Center ad essere rinvenuto vivo. Per la sua vicenda ha ottenuto il riconoscimento di “eroe del Congresso” ed è stato premiato dal presidente George W. Bush.
Da quel momento lo Stato si è completamente dimenticato di William Rodriguez, o meglio lo ha ignorato, visto che la Commissione d’inchiesta sull’11 settembre non ha tenuto in alcun conto la sua testimonianza con il dettagliato resoconto degli avvenimenti di quel giorno. Perché è accaduto? Forse semplicemente perché Rodriguez forniva alcuni importanti aspetti, in particolare su due punti, che contraddicevano alla base alcune tesi fornite dalla Commissione stessa nel suo rapporto finale.
Secondo la ricostruzione ufficiale, infatti, le Torri sarebbero crollate in seguito al calore sviluppatosi negli incendi conseguenti gli impatti degli aerei, e tale calore avrebbe fuso le strutture portanti in acciaio del grattacielo, già danneggiate, fino a farle collassare.

Secondo la testimonianza di Rodriguez ciò sarebbe impossibile, visto che nel suo risalire lungo il grattacielo, l’uomo avrebbe verificato che gli impianti anti-incendio erano entrati tutti in funzione, al punto che sulle rampe delle scale e nelle trombe degli ascensori scendevano con una forza impressionante autentici fiumi d’acqua che provenivano dai piani superiori. L’acqua era così abbondante che, accumulandosi ai piani inferiori, rischiava di far annegare le persone rimaste intrappolate negli ascensori. Del resto, che gli incendi abbiano avuto breve durata e modesta virulenza, lo evidenziano immagini fotografiche e filmati che pochi minuti dopo gli impatti mostrano l’assenza di fiamme vive all’altezza dei piani colpiti. Abbondante era invece lo sprigionarsi di fumo, e questo ha causato la terribile morte di molti che hanno preferito lanciarsi nel vuoto piuttosto che morire soffocati.
Se non a causa degli incendi, perché dunque le Torri sono crollate? A fornire una possibile risposta è di nuovo il racconto di Rodriguez, incredibilmente passato sotto silenzio. Quando si trovava in compagnia di alcuni poliziotti oltre il 35° piano, testimonia di aver udito “una serie di esplosioni in rapida successione”, proveniente dai piani sopra di loro. Dai radiotelefoni voci concitate annunciavano che i piani, dal 65° al 44° erano crollati… il destino del palazzo era ormai segnato, Rodriguez e i poliziotti corsero disperatamente verso il basso per uscirne al più presto. Lui si salvò miracolosamente.

Cosa erano le esplosioni udite da Rodriguez e dagli altri? Si possono fare solo supposizioni. Certo è che ben presto furono in molti a vedere nella dinamica del crollo delle Torri delle somiglianze con i crolli controllati dei vecchi palazzi che vengono abbattuti con opportune cariche esplosive nelle strutture portanti.

A dar supporto a questa tesi, che sembra tanto incredibile quanto orribile, starebbe un altro elemento, di nuovo passato piuttosto inosservato e lasciato sotto silenzio. Quel giorno non furono solo le Torri gemelle a crollare, ma anche un terzo palazzo, il cosiddetto numero 7 dell’agglomerato del World Trade Center. Quest’ultimo edificio non aveva ricevuto danni strutturali per impatti con aeroplani né presentava incendi significativi. Eppure crollò con gli altri. Analisti eretici hanno ritenuto che il palazzo numero 7, per la sua posizione, poteva fungere da perfetta cabina di regia per presiedere al controllo degli impatti aerei e successivamente per le esplosioni controllate che determinarono i crolli. La caduta anche di quel palazzo ha evidentemente reso impossibile ogni possibile verifica, cancellando di fatto ogni possibile prova (per un’articolata analisi tecnica di questi aspetti si rimanda allo studio di Morgan Reynolds, professore emerito della Texas University).
Solo ipotesi assurde dettate da dietrologia? Molto probabile. Eppure sarebbe stato sufficiente che la Commissione svolgesse un minimo di indagine ulteriore per fugare questi dubbi. Proprio ciò che si è accuratamente evitato di fare, anzi, omettendo e insabbiando ogni elemento che risultasse divergente dalla ricostruzione ufficiale, quasi una ricostruzione svolta a priori (una più articolata esposizione della testimonianza di William Rodriguez è disponibile su Disinformazione.it).

Il secondo breve capitolo si apre con un uomo, di cui il mondo conosce lo sguardo cupo di una foto in bianco e nero: Mohamed Atta, il capo del manipolo di terroristi dell’ 11 settembre.
Chi era Atta? La vulgata ufficiale ce lo presenta come un uomo intelligente, istruito, freddo, spietato, accecato dalla fede nella sua missione. Il ritrovamento (casuale quanto tempestivo) del suo manuale del perfetto kamikaze islamico, dimenticato in un’automobile, non lascia dubbi a tal proposito.

Poi spunta una testimone, una ballerina di lap dance, che ammette di aver conosciuto Atta, anzi, di aver vissuto con lui per sei mesi quando costui frequentava una scuola di volo in Florida (eccellenti queste scuole di volo americane, che consentono ad un pilota principiante, dopo alcune lezioni su un Cesna, di compiere mirabolanti evoluzioni su Boeing di linea).

La ballerina si chiama Amanda Kelly, e prima che le autorità americane le imponessero il silenzio, divulgò alcune interessanti aspetti sul conto di Mohamed Atta. Il terrorista integralista non conduceva una vita del tutto proba per un musulmano: era ghiotto di carne di maiale, era dedito all’alcool, frequentava locali dove abbondano le tentazioni sessuali. Ma tutto questo potrebbe semplicemente riferirsi ad un accurato lavoro di copertura. Se non fosse per due elementi: secondo le testimonianze Atta disponeva della possibilità di lasciapassare per numerose installazioni militari americane e parlava correntemente varie lingue, tra cui l’ebraico. Il profilo che ne esce non è tanto quello di un terrorista, quanto piuttosto di un infiltrato, o un agente provocatore, o una pedina mossa da qualche intelligenza superiore (fonte: Effedieffe giornale).

Ben si comprenderebbero, allora, ulteriori note comparse su Atta e accuratamente riportate in Attacco alla Libertà di Nafeez Mossaddeq Ahmed, Fazi editore, 2002: l’uomo era conosciuto come presunto terrorista da vari servizi segreti, in particolare da quello tedesco e israeliano, alleati degli Stati Uniti, e come tale messo sotto sorveglianza. Nonostante ciò attraversò più volte la frontiera americana e si mosse indisturbato all’interno del paese fino al fatidico giorno.

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