G. Colonna, LA RESURREZIONE DELLA PATRIA, per una storia d’Italia

Volendo epigrafare questo libro, si dovrebbe adottare una variante del celebre sottotitolo dell’Ecce Homo di Nietzsche (un libro per tutti e per nessuno). Essa suonerebbe: un libro per tutti e per ciascuno. Per tutti, perché, come vedremo, è difficile che non ci trovi qualcosa di interessante un vasto pubblico che va dallo specialista di storia alla persona di media cultura – anche in virtù di uno stile ampio, classico, articolato in una prosa godibile e al tempo stesso pensosa. Per ciascuno, perché è un lavoro che enuncia tesi che tutto possono meno che lasciare indifferenti, sicché starà a ciascun lettore stabilire un suo rapporto, libero e personalissimo, con i contenuti esposti da Colonna – anche se a nostro avviso essi, per essere intesi fino in fondo, richiedono un particolare tipo di buoni lettori (per dirla di nuovo con Nietzsche).
Il lavoro ruota attorno ad alcuni nuclei concettuali. Vi è innanzitutto un’analisi storica. In essa, l’autore contesta l’appartenenza dell’Italia all’Occidente, che vede invece inserita – quasi quale cerniera fra l’Occidente stesso e l’Europa orientale – nel centro del continente, in sintesi dinamica e mutevole con il mondo germanico. I fatti a supporto di questa interpretazione rimontano indietro nel tempo, fino al Medioevo. Chi però pensasse ad una riedizione del Sacro Romano Impero o dell’Asse, sarebbe completamente fuori strada: il problema è tutt’altro. Potremmo chiamarla una questione di missione, di compito da assolvere nell’equilibrio funzionale dell’evoluzione umana. Da questo punto di vista, i richiami a Mazzini sono espliciti e frequenti.
Il riposizionamento dell’Italia nell’Europa Centrale, quale propaggine aperta al sud e all’est, si collega ad una pregevole ricostruzione dei diversi modi che i popoli d’Europa e d’America hanno seguito per diventare nazioni. Colonna asserisce che, in Francia e poi molto di più in Gran Bretagna e negli USA, la strutturazione della comunità ha carattere progressivamente nazionalitario: ossia, la collettività come insieme di interessi concreti, con una crescente ed infine quasi assoluta prevalenza delle forze economiche. Questo spiegherebbe i caratteri, e le politiche, dell’espansione coloniale e in generale della strategia politica di quei paesi – il che, francamente, alla luce degli eventi degli ultimi anni è difficilmente contestabile.
La seconda concezione della nazione è invece quella tipica del Risorgimento italiano e della Germania, per quest’ultima in modo inizialmente meno nitido e poi sempre più confuso anche in grazia della scarsa intelligenza della classe politica post-bismarckiana, delle politiche degli avversari, e della Prima Guerra Mondiale. Si tratta della nazione quale comunità costituita attorno ad una missione, ad una funzione collettiva da svolgere nella storia del mondo. Non c’è quindi un presupposto etnico o di semplici interessi concreti: la nazione può avere queste caratteristiche, anzi di solito le ha, ma si qualifica come tale nella tensione creativa che struttura le componenti di base in un compito comune. Il nesso di questo orientamento con la visione mazziniana è esplicito e ben chiarito dal Colonna. In modo chiaro e forte, l’autore vede nel Risorgimento la riproposizione di un compito epocale dell’Italia nel mondo moderno, così come avvenne per l’impulso autenticamente universale che il nostro paese dette con i Comuni, le Repubbliche Marinare ed il Rinascimento. Tutti fenomeni troppo spesso sottovalutati, o ridotti ad una dimensione artistica e culturale, senza vederne le implicazioni per l’intero sviluppo dell’umanità: genesi addirittura della modernità quale l’abbiamo sotto gli occhi (nei suoi aspetti migliori).
A parere del Colonna, la missione dell’Italia, ciò che ne giustifica l’unità, è quindi duplice. Da un lato, è compito del nostro popolo elaborare una forma di organizzazione sociale realmente moderna. E qui va tenuto presente il ruolo di Giuseppe Garibaldi e di Giuseppe Mazzini. E’ stata una delle massime tragedie dello spirito civile italiano avere ridotto a santini per scolaretti il pensiero dell’uno e dell’altro: di Mazzini specialmente, forse non applicabile ai suoi tempi, ma attualissimo già fin dagli anni Venti del secolo passato. Tragedia autentica, perché Mazzini fu sì l’apostolo dell’unità, ma fu anche colui che tracciò le linee di una organizzazione sociale, centrata su una democrazia a forte impronta di autogoverno locale e di autogoverno associativo dell’economia, veramente moderna, enfatizzando anche il ruolo dell’educazione nazionale, che oggi dovremmo intendere in maniera un poco diversa, ma tuttavia coerente con l’impostazione originale.
Colonna illustra bene il rapporto critico che Mazzini ebbe con il marxismo, e in quali diversi esiti sarebbero potute sfociare le questioni nazionale, sociale e statuale se alle legittime crescenti istanze dei lavoratori fossero state date le risposte mazziniane e non quelle marxiste. D’altra parte, è solo la sistematica e colpevole disattenzione anche delle persone cosiddette colte che fa ignorare a tutt’oggi il ruolo ampiamente documentato di figura orientatrice che Mazzini e Garibaldi ebbero per i popoli appena emergenti sulla scena della modernità: i popoli islamici, tutto il subcontinente indiano, l’intero Sudamerica – a tacere della presenza in pensieri ed azioni dei due nella Guerra Civile Americana, John Brown compreso: ma non purtroppo nel vincere la pace dopo aver vinto militarmente.
E qui veniamo al secondo nucleo concettuale: la forma sociale realmente moderna che l’Italia ha il compito di portare innanzi riempie di contenuto la sua collocazione geopolitica, non in senso imperialistico, ma quale ponte verso l’Est e il Sud, e verso l’America Latina: a meno di non voler considerare casuale proprio quel non sollecitato valore orientativo del Risorgimento sorto spontaneamente nelle aree menzionate.
Dalla mancata possibilità di trasmettere a suo tempo questo ordine di pensieri ebbe origine, in concorso con altri fattori, la terza forma di costruzione nazionale: quella etnico-religiosa. Ne sono esempi la Russia sovietica, il sionismo, ed oggi (affossata ogni forma di effettiva modernizzazione del mondo arabo) il magma dei paesi islamici, divisi fra regimi reazionari e regimi rivoluzionari, tutti assediati da un fondamentalismo regressivo che ha seppellito le spinte innovative dei Nasser, dei Sadat, e del Baath delle origini – e non si faccia, su questo punto, obiezione in materia di democrazia formale, all’occidentale, perché la questione sarebbe come minimo malposta.
In questo senso, viene caratterizzata in modo differente anche la funzione storica del fascismo: che poteva essere, e non fu, appunto il veicolo della concezione moderna di nazione, e quindi un modo per assolvere alla missione dell’Italia, sia al suo interno che all’esterno. La sconfitta del fascismo, per molti versi auspicata e aiutata da quella parte della classe dirigente del nostro paese che guardava ad Occidente, porta varie conseguenze. Una è la perdita di identità dell’Italia, anche per le modalità con cui alla sconfitta si arrivò, e che l’autore mette bene in luce con una scelta delle fonti che più sintomatica non potrebbe essere, a dimostrazione di una conoscenza delle vicende di grande spessore, poco esibita qui come in tutto il resto dello studio. Un’altra è – insieme alla sconfitta della Germania, il cui regime rispetto al fascismo era peraltro assai più equivoco ed inquinato da visioni occidentali ed etnocentriche, con gli esiti che tutti sappiamo – l’ablazione del Centroeuropa dalle vicende contemporanee, e il suo perdurante infeudamento agli angloamericani. La terza conseguenza è che, in mancanza di una mediazione, di cui solo il Centroeuropa poteva essere portatore, lo scontro attuale si riduce al bruto urto fra nazionalitarismo ed etnonazionalismo religioso. Donde una globalizzazione imperiale e predatrice, cui si oppone la rivolta, del pari selvaggia e regressiva, di popoli che non trovando accesso alla modernità in forme eque ed autonome, non possono che irrompervi con la forza dell’atavismo. Tutto questo poi si miscela nella vicenda patologica del sionismo in Palestina, a tacere dell’aggirarsi nello spazio nazionalitario occidentale di visioni fondamentaliste escatologiche, di una escatologia tutta imperiale e geopolitica basata su peculiari interpretazioni bibliche.
La resurrezione della patria è, cosa non comune e non facile di questi tempi, un libro in cui alla parte analitica segue una parte propositiva più ampia della prima. Colonna è infatti convinto che la partita non sia chiusa e che comunque si possa e si debba provare a giocarla, nell’interesse di tutti gli uomini (perché di niente di meno si tratta: e su questo Mazzini sarebbe d’accordo).
Nessuno si aspetti, nelle quasi cento pagine di proposte, di trovare un programma politico. Troverà qualcosa di diverso e di più rilevante, soprattutto perché in buona parte di immediata praticità e di portata strategica al tempo stesso. Troverà cioè linee di orientamento: e passi iniziali da sviluppare liberamente e creativamente nel futuro.

Colonna parte dalla constatazione della sovrapposizione di tre sfere funzionali della società (culturale, economica e politico-giuridica), del tutto autoconsistenti, e che dovrebbero essere poste in equilibrio dinamico, ma senza perdere la rispettiva autonomia. Questo invece avviene nei paesi nazionalitari, dominati dall’economia; è avvenuto nell’imperfetta tentativo modernizzatore del fascismo, con il predominio della funzione politico-giuridica; avviene sempre di più nelle etnocrazie fondamentaliste, in cui l’àmbito religioso e culturale travolge, fino alla teocrazia, gli altri due. Da tali squilibri sorgono fenomeni ampiamente criticati, ma forse senza essere intesi fino in fondo, quali il carattere rapinoso della globalizzazione; l’autoritarismo fascista, poi caricaturizzato nella vigente partitocrazia; il fanatismo religioso del comunismo; i feroci etnonazionalismi dell’area slava; l’abbrutimento fondamentalista dell’Islam, regredito ben al di là degli splendori culturali che gli furono propri nel Medioevo, e verso i quali l’Europa ha grandi debiti.
Quali le possibilità di superamento? L’autore, che probabilmente ha esperienze di vita economica piuttosto sedimentate (siamo indotti a questa valutazione per la concretezza delle sue riflessioni), propone come soluzione l’autonomia delle tre funzioni, ognuna dotata di propri organi di autogoverno fra loro correlati. Egli applica in modo innovativo l’associazionismo mazziniano e le idee del pensatore genovese in materia di autogoverno locale, e sviluppa una proposta di autonomia della vita culturale ispirata alle ipotesi di trarticolazione dell’organismo sociale di Rudolf Steiner e di alcuni suoi grandi discepoli italiani, la cui presenza percorre tutto il libro, ma in modo originale e creativo, nello spirito di libertà di giudizio e di sano buon senso tanto spesso invocato dallo studioso austriaco.

Di particolare rilievo, dal nostro punto di vista, è che il quadro delineato da Colonna porterebbe alla scomparsa di alcuni fenomeni teratologici, come ad esempio la finanziarizzazione dell’economia, riassorbita da un’organizzazione della circolazione della moneta in cui il surplus viene destinato, in forma di donazione, alla libera ricerca e all’educazione. Sono tesi che si dibattono da molti decenni, e che hanno di recente trovato spazio e nuovo valore nella scuola antiutilitarista francese (per esempio, in Alain Caillé) ed in quella sempre francese contraria all’economia matematizzante. Una scuola le cui opere sono state in gran parte tradotte in Italia, anche per lo sforzo pionieristico di Edoardo Salsano, scomparso pochi giorni fa, studioso di vaglia e grande estimatore delle proposte di riorganizzazione della società di Walther Rathenau, figura indimenticabile di patriota tedesco di religione ebraica, di statista, di imprenditore, il cui assassinio fu per la Germania e per l’Europa – noi crediamo – un evento distruttivo.

Ma, senza nulla togliere agli studiosi citati, Colonna ha il pregio aggiuntivo di portare a sintesi armonica – in questo nella linea di Mazzini e di Steiner – tutti gli aspetti della vita sociale, e di sottolineare con forza la centralità dell’essere umano, quale soggetto dei tre momenti funzionali. Ancora, è di rilievo l’aderenza alla realtà laddove l’autore sottolinea come la tripartizione della vita sociale sia in realtà non lontana, anzi già presente in molti istituti giuridici e fenomeni economici e culturali – ma non riesca ad arrivare ad un dispiegamento organico per tutta una serie di ostacoli ideologici, e di assetti geoeconomici e geopolitici in cui l’Italia, terra d’elezione per un esperimento di Stato nuovo, si trova incardinata con molti altri paesi contro i suoi interessi e contro quelli complessivi di un sistema-mondo davvero moderno.

Ostacoli di questo genere possono essere rimossi partendo da una presa di coscienza profonda, che è lo scopo dichiarato del libro, dalla quale muovere per trovare le vie d’azione compatibili con il quadro internazionale. Ora, nota Colonna, mentre molto può già essere fatto all’interno del nostro paese, lo spostamento degli equilibri internazionali è tutt’altra questione. E tuttavia, la coscienza della missione nazionale e una prima serie di applicazioni all’interno potrebbero anche creare una presenza di uomini e di idee sperimentate tale da poter cogliere le opportunità di svolta che proprio il drammatico caos attuale tende ad offrire con sconcertante frequenza. Uomini nuovi, per una patria nuova, in uno Stato nuovo, per una missione di riequilibrio e mediazione fra Occidente e Oriente e Sud, onde moderare le spinte unilaterali degli uni e permettere agli altri di trovare una propria via alla modernità.

Senza proseguire oltre nella sintesi della ricca parte propositiva, vogliamo però dire che l’immagine che se ne ricava è quella di una globalizzazione che sarebbe feconda se fosse una internazionale dei patrioti, siano essi politici, liberi ricercatori, operatori economici. Vale a dire: tutto il libro è una continua sollecitazione all’autoconoscenza nazionale. La sollecitazione è così intensa e, detto quel che va detto, priva di ostilità che conduce quasi spontaneamente a provare a mettersi nei panni di quello che può pensare sentire e volere un patriota statunitense, o uno russo, o uno islamico. Da tale punto di vista, di rado è dato leggere un libro che non indietreggia dinanzi a verità dure, e al tempo stesso è animato da un potente spirito di incontro con l’altro. Ed anche questo è profondamente mazziniano, profondamente italiano e, per chi ha fiducia, profondamente cristiano.

Resta da affrontare un altro nucleo concettuale importante. Esso riguarda l’impiego del metodo storico, il senso stesso del fare storia e quindi, in ultima analisi, il fondamento delle asserzioni di Colonna, nonché il metodo con cui proseguire, come egli stesso sollecita, lungo le linee di ricerca tracciate. Qui l’autore, con precisione ma senza tecnicismi, si richiama ad una prassi della ricerca storica che integra la metodologia scientifica corrente con metodi innovativi, quali l’individuazione dei sintomi storici e la ricerca di eventi in qualche modo archetipici, che è propria dell’ispirazione steineriana (e goethiana) che presiede al suo lavoro. In sostanza, si tratta di leggere sì le fonti, ma compiendo uno sforzo ulteriore di comprensione. Questo sforzo non è da intendersi come semplice formulazione dialettica di ipotesi, bensì come indagine sia sull’oggetto che sulla propria interiorità, fino a comporre una immagine per quanto possibile chiara dell’essenza dei fenomeni. Si tratta, ovviamente, di un lavoro sempre in fieri, non perché la storia non finisce mai, ma soprattutto perché è la capacità di pensare dell’essere umano a non avere potenzialmente limiti.

Soprattutto, è fondamentale il processo di interiore liberazione del ricercatore dai suoi presupposti personali, che è garanzia del grado di verità che si attinge. Chi conosca il pensiero di Rudolf Steiner, non avrà difficoltà a riconoscere in questa impostazione un’applicazione di quanto esposto ne La filosofia della libertà, nei Saggi Filosofici e ne La concezione goethiana del mondo. Si può dubitare dei risultati, meno della bontà del metodo e meno ancora della sua moralità, di cui fra l’altro è una sofferta testimonianza anche la prefazione al volume, opera di Enzo Erra. Certo siamo molto lontani dalle ideologie del secolo scorso; dai riduzionismi nazionalrazziali, per cui il pensiero è la secrezione della biologia; dagli ulteriori riduzionismi behavioristi. Insomma, dal punto di vista epistemologico siamo molto lontani dall’atmosfera spirituale che presiede tuttora alla concezione delle varie missioni nazionali, dai manifesti destini americani, all’autoassegnazione dell’eredità dell’impero romano da parte dei britannici, al mito ario dei nazisti, all’evocazione del tempio di Salomone di un sionismo di per sé del tutto laico e ferocemente nazionalista. Tutte “missioni” che, pur contenendo magari in alcuni casi elementi di realtà, erano e sono in ultima analisi condizionate dal fremere di pulsioni istintuali, di brame di potere, di autentici accecamenti, frutto di una natura umana che nemmeno si pensava e si pensa a condurre a maggior limpidezza interiore. Colonna è per certi versi sulla stessa linea, ma parecchi passi avanti, di Mario De Caro, che ha recentemente pubblicato Il libero arbitrio – una introduzione (Laterza, Bari 2004), in cui proprio alle scienze storiche ci si richiama, in opposizione a tutti i riduzionismi, per ritrovare una via alla libertà del soggetto umano.

Che è poi il vero, sostanziale scopo di Colonna, che non a caso cita questa frase di Steiner: “La liberazione dei popoli è possibile. Ma può essere solo il risultato, non il fondamento della liberazione dell’uomo. Siano liberati gli uomini, e per mezzo loro lo saranno anche i popoli”. Soggetto, l’essere umano, e non oggetto, dello Stato, dell’economia, della cultura. Soggetto pensante e deliberante, che in nuove forme di autogoverno articoli la politica, il diritto, la produzione e la distribuzione, la ricerca e l’educazione secondo quanto egli in comunità riesce a pensare sentire volere come tali – non servo di astrazioni intellettualistiche, di eredità fantasmatiche, di sistemi tecnico-produttivi autoreferenziali nel loro sfrenato insensato sfornare oggetti e servizi (e moneta) della cui utilità non è ormai tanto lecito, quanto doveroso, dubitare. Soggetto nato in una patria, della quale ripensa origine e storia: ma in proiezione futura, non come vincolamento a terra e sangue, bensì come portatrice di un compito proprio fra i tanti intuibili per le altre patrie in funzione dello sviluppo dell’umanità: secondo la visione precorritrice di Mazzini, vero punto di equilibrio fra identità e globalità.

Ed è qui che si potrebbe situare il crinale fra i lettori ed i buoni lettori nel senso di Nietzsche e di Emerson. L’autore afferma nell’introduzione, accennando ai modi e ai tempi in cui La resurrezione della patria è stato elaborato, che il suo non è un libro di storia, anzi secondo le metodologie storiche correnti potrebbe essere molto discutibile. L’intento è quello di “muovere qualche cosa nella coscienza delle singole persone – in modo, nel tempo, da produrre effetti più ampi nel nostro popolo”. Ecco: da questo punto di vista soltanto leggere questo libro e discuterne le tesi è fare giusto il necessario, non anche il sufficiente.

Per paradosso, si potrebbe anche non essere d’accordo con nessuna delle tesi che il Colonna espone: e tuttavia credo che saremmo migliori lettori se ciononostante anche noi ci ponessimo il problema della rinascita dell’Italia, della sua funzione per il mondo, col vigore morale con cui egli se lo pone. Diceva Goethe che ogni problema conoscitivo è, alla fine, un problema morale. E diceva Nietzsche che dietro la scienza si nasconde la paura. Chi scrive ha da decenni la sensazione che dietro l’affastellamento delle fonti (parliamo di storia, ma potremmo dire lo stesso anche per le scienze della natura) si celi di frequente il timore di andare in fondo, per paura di andare a fondo. I lisci, smaltati testi degli storici di professione spesso sfiniscono non perché noiosi, ma perché evitano sistematicamente le questioni essenziali, e dunque le domande e le risposte di senso, di valore e di finalità da porsi. E’ come se più che dal pathos della verità essi fossero posseduti dal pathos della documentazione, e poiché la documentazione spesso non dice tutto, ecco che la verità è inattingibile: ed essendo inattingibile, tutti fermi.

La codificazione, in buona parte kantiana, dell’inconoscibilità dell’essenza; i tanti ignorabimus seguiti a quello celeberrimo del Du Bois-Reymond hanno fatto sì che spesso si abbia la sensazione che la ricerca non sia infinita per il rinnovarsi del vero, ma perché si ritiene impossibile arrivare ad un vero – ciò che istintivamente allontana i giovani e le persone di buon senso dalla cultura e quindi anche dalla storia.

Colonna è per fortuna uno storico non accademico alla Silvestri o, più di recente, alla Ruffolo, e per ciò stesso vero storico (checché lui ne dica), se storia è ricerca non solo di fatti e di fonti, ma anche di senso, e dunque di motivi, di ben meditati motivi per agire, fondati nell’essenza degli eventi. Non possiamo quindi essere del tutto d’accordo con lui quando dice che La resurrezione della patria non è un libro di storia. No: è un libro di storia, che tenta di sviluppare ed applicare quella parte del metodo d’indagine goethiano che Goethe stesso non portò avanti a sufficienza, la parte appunto storica. Per questo il risultato è così anomalo, e richiama solo apparentemente le elaborazioni storiche “a tesi” di autori pure grandissimi come Michelet o Volpe: e meno ancora è avvicinabile alle filosofie della storia degli Spengler e dei Toynbee – mentre nel volume è citato non a torto Droysen, per quell’opera tuttora ricca di interesse che è il Sommario di Istorica.

Questa che abbiamo chiamato anomalia è una delle novità principali del lavoro, collegata com’è ad una disciplina morale di ricerca che sempre – anche contro se stessi – si pone la domanda: cos’è vero? Per poi derivarne quella conseguente: che fare?

Non si tratta di volontarismo né di soggettiva interpretazione, questa espressione abusata e stancante, sempre scagliata contro tutti coloro che credano – contro, oltre Pilato – nell’esistenza della verità. Si tratta di un vero e proprio nuovo metodo di ricerca: di scavo nei fatti ed in sé per arrivare a quelle intuizioni non istintive né astratte, da tradurre poi in motivi d’azione, metodo nettamente delineato nella seconda parte de La Filosofia della libertà dello Steiner. E che non è necessario essere “steineriani” – staremmo per dire: anzi! – per riconoscere come il metodo conoscitivo e la linea morale necessaria più che mai alla soluzione dei problemi dell’epoca.

Il buon lettore sarà dunque colui che non considererà questo libro come concluso: sarà colui che continuerà a pensarci, recependo oltre i contenuti la spinta alla ricerca e al retto agire. Sarà colui che, come l’autore, metterà in discussione innanzitutto se stesso, per una moralità più integrale di quella “scientifica”: per la moralità di servire al meglio gli altri esseri umani.

Sarà difficile che questi buoni lettori, se per attimi provino ad effettuare questa operazione interiore, non abbiano allora la sensazione che l’Italia, il lavoro, quella vita quotidiana cui tanto spesso e saggiamente si richiama l’autore abbiano, possano avere tutt’altro senso rispetto al bieco grigiore in cui spesso paiono avvolte: ma per inerzia di pensare, sentire e volere.

Per finire: ci è capitato di iniziare il libro tempo fa nei pressi di Porta S. Pancrazio, sul Gianicolo. Per caso avevamo con noi anche una raccolta di scritti di Giovanni Gentile. Prima di aprire La resurrezione della patria avevamo appena finito di leggere il famoso articolo di pacificazione nazionale e di speranza oltre ogni limite Ricostruire (28 dicembre 1943), quello che finisce con la frase: “…rialzare negli animi il sentimento che è in fondo a tutti i cuori: che la Patria non può morire”.

Non ce ne voglia nessuno, e men che mai il Colonna: ma è stato impossibile, leggendo le sue pagine, non connetterle a quell’articolo di tanti anni fa, quell’articolo che fu una delle cause dell’assassinio del filosofo. Ed è stato impossibile non connettere i due ordini di viventi pensieri con le mura rossicce innanzi a noi, ultima difesa della Roma repubblicana, mazziniana e garibaldina. Ed è stato impossibile infine non sentire, più che l’alito della memoria, la vivente presenza di una continuità che fu prima di noi e che, se lo vorremo, sarà dopo di noi.

G. Colonna
LA RESURREZIONE DELLA PATRIA –

per una storia d’Italia

Roma, Tilopa 2004

Pagg. XIV – 186

euro 18,00

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