Osservando la bancarotta degli Usa

Avete per caso letto qualcosa sul default statunitense sui giornali in questi giorni? Sentito qualcosa ai telegiornali? Quello che ha fatto rinviare la partenza di Biden per il summit G8? Non sembra che i nostri super-autorevoli giornalisti se ne stiano occupando molto.

Eppure, se avete la pazienza di vedere i dati che presentiamo, un essere umano normale, anche se non espertissimo di economia, farà probabilmente un salto sulla sedia.

In questi giorni infatti, il parlamento statunitense si sta accapigliando per decidere se alzare o meno il cosiddetto “tetto” al di sopra del quale, a norma della costituzione Usa, il governo dovrebbe dichiarare default, l’italianissima “bancarotta”.

Già perché, ogni volta che questo tetto minaccia di essere superato, semplicemente il parlamento Usa alza il tetto, e il gioco è fatto: poco importa se il debito nazionale, come lo chiamano negli Stati Uniti d’America, continua a salire vertiginosamente.

Il debito nazionale, in sostanza, è la spesa del governo federale, con le sue numerose agenzie, e dei governi degli Stati dell’Unione: attualmente il deficit, vale a dire la differenza tra entrate ed uscite, ammonta, tenetevi forte, a 31.400 miliardi di dollari.

Per avere un’idea, facciamo qualche altra cifra: il prodotto lordo mondiale, cioè il valore di tutto quello che il mondo produce in un anno, è oggi intorno agli 85.000 miliardi di dollari. Il prodotto interno lordo italiano è intorno ai 1.200 miliardi di dollari, quello della Russia circa 1.500, giusto per confronto.

grafico 1

Ma è importante guardare l’evoluzione storica di questo disavanzo, come risulta dal grafico 1, di fonte governtiva Usa.

Osservate la crescita esponenziale a partire dagli anni Ottanta, quando, con l’accoppiata di Reagan negli Usa e della Tatcher in Gran Bretagna, si è affermata in tutto il mondo il neo-liberismo della cosiddetta supply-side economics, quella cioè in cui è «l’offerta che crea la domanda».

L’ideologia economica che ha spinto alle privatizzazioni, alla deregulation, all’idolatria del mercato, alla creazione di beni inutili, al consumismo, all’indebitamento generale: tutti quei fenomeni che, in sostanza, sono ancora l’ideologia che domina le scelte di governi e gente comune.

Per inciso, la stessa ideologia che ha portato allo sfruttamento sfrenato delle risorse ambientali, per il quale oggi si piangono lacrime di coccodrillo, salvo poi cercare di fare subito, della cosiddetta sostenibilità, l’ennesimo business, contando sulla coscienza sporca di consumatori irretiti da decenni nella logica «se ce l’ha lui, devo averlo anch’io»: pensiamo solo ad auto, telefonini, televisori…

Queste cifre, parliamoci chiaro, vogliono semplicemente dire che il costo del governo americano supera il prodotto di un anno di vita e di lavoro di tutti gli Stati Uniti d’America.

Debito e PIL Usa

Ora, date per favore un’occhiata alla serie storica del grafico 2, della stessa fonte governativa: qui vedete che la risalita della curva del debito pubblico parte, oramai a Guerra Fredda terminata, dal solito periodo della reaganomics (la politica economica inaugurata da Ronald Reagan, e pedissequamente seguita dai suoi successori…). Per arrivare al debito nazionale Usa (2022) di oggi, che è al 124% del Pil Usa.

grafico 2

Certo, noi Italiani dovremmo stare zitti, visto che il nostro debito pubblico (dicembre 2022) è al 144% del nostro Pil. Ma stiamo parlando degli Usa, attenzione, della più grande economia capitalista del mondo contemporaneo.

E questo ci dice un’altra cosa non da poco, quando guardiamo a chi detiene le quote del debito nazionale Usa, cioè chi è creditore del governo nordamericano: trovate raggruppati in categorie principali questi creditori nel grafico 3.

Se ci ragionate un attimo, noterete subito che la maggioranza di questo debito è quindi in mano ad istituzioni finanziarie, statunitensi ed estere.

Non vi fate nemmeno troppo ingannare da quei debiti esteri che evidenziano quote molto consistenti per la Cina, il Regno Unito, il Giappone: poiché oggi non si tratta tanto di governi, si tratta di istituzioni finanziarie, spesso legalmente registrate in quegli Stati, ma del tutto autonome dai governi stessi.

grafico 3

Questo cosa significa?

In soldoni, è il caso di dirlo, significa che il governo degli Usa di fatto, quanto meno dal punto di vista delle strategie economico-finanziarie, deve ballare secondo la musica che suonano i grandi centri finanziari, anonimi, globalizzati, internazionali – quella che una volta si chiamava alta finanza o plutocrazia.

Sono le stesse entità anonime che, sempre per parlare in soldoni, manovrano oggi i circa 90.000 miliardi di dollari del mercato azionario; gli oltre 95.000 miliardi di dollari di cosiddetta Broad Money, le varie tipologie di riserve e capitali monetari che circolano per il mondo; gli oltre 550.000 miliardi di altri prodotti finanziari (è una stima minimale, alcune fonti parlano di 1 milione di miliardi di dollari: provate a vedere quanti zeri vi occorrono per scrivere questa cifra..), i cosiddetti derivati, le munizioni, per capirsi, della speculazione finanziaria mondiale.

Quando va bene agli Usa?

Non basta.

Giacché ci siamo, diamo ora un’occhiata adesso anche ad un’altra bella cifra statunitense, quella del deficit, del passivo, della bilancia commerciale Usa: cioè la differenza tra esportazioni ed importazioni, acquisti e vendite dall’estero da e per gli Stati Uniti.

Oggi questo deficit assomma a circa 70 miliardi di dollari: un’inezia, direte voi, se paragonata alle cifre che abbiamo snocciolato finora. È vero che vuol dire che gli statunitensi comprano più di quello che vendono, ma per qualcuno questa è anzi una cosa positiva, perché ci permette di vendere noi da loro.

Fateci caso un attimo, però. Cosa notate?

Molto semplice, che i picchi positivi della bilancia commerciale Usa coincidono con la guerra ispano-america, la prima guerra imperiale Usa, e poi con le due guerre mondiali. Un po’ inquietante, non trovate?

Eseguito lo sganciamento del dollaro dall’oro, deciso da Nixon nell’agosto 1971, come vedete, gli Usa non si sono più preoccupati del proprio sbilancio commerciale: potremmo anzi dire che ci hanno sguazzato dentro. Grazie al fatto che il dollaro è la valuta dominante degli scambi mondiali. Che può essere stampata senza limiti. Che è sostenuta dalla presenza militare statunitense nel mondo.

C’è da augurarsi che continuino a farlo, quindi: dato che hanno sempre sistemato i loro sbilanci commerciali grazie ad una qualche guerra mondiale!

Due ultime domande

E le famose cure del Fondo Monetario Internazionale, che fine hanno fatto?

Quelle del famoso Washington Consensus (le ferree regole che hanno rovinato le economie di tanti Paesi in giro per il mondo: hanno mandato in pezzi la Jugoslavia; hanno massacrato la Grecia; hanno ricorrentemente tirato il collo all’Argentina, solo per fare qualche esempio…), che fine hanno fatto a Washigton? L’antico adagio «medico, cura te stesso» per gli Usa non vale.

Evidentemente valgono solo per tenere in vita i 253.000 miliardi di debito mondiale (notate quante volte vale il PIL annuale mondiale…): 25% delle famiglie, 27,4% dei governi, il resto è delle imprese.

Secondo e conclusivo interrogativo: ma in questa benedetta globalizzazione, mandata avanti da decenni a forza di interventi militari e di ricette imposte dal neo-liberismo, non è che per caso stiamo tutti lavorando per tenere in piedi l’economia statunitense, invece di risanare le nostre?

 

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