Italia, di tutti e di nessuno

Fra i diversi punti interessanti che il segretario Stoltenberg ha toccato nella sua conferenza stampa sulla “nuova impostazione strategica” (New Strategic Concept) della Nato presentata al vertice di Madrid lo scorso 30 giugno, non sono da trascurare i riferimenti alla situazione di Marocco, Tunisia, Mauritania, vale a dire all’impegno della Nato in Nord Africa e Sahel.

Non casualmente, pochi giorni prima dello storico vertice, il gen. Thierry Burkhard, nominato nel luglio 2021 capo di stato maggiore della Difesa francese, la più alta carica militare del Paese, si è recato in Italia per incontrare il suo omologo italiano, l’amm. Giuseppe Cavo Dragone, con lo scopo dichiarato di «dare concretezza agli aspetti militari del Trattato del Quirinale, andando oltre i termini di sviluppo della nostra interoperabilità e condivisione, e preparandoci a condurre operazioni congiunte, se necessario».

Crediamo che in Italia ben pochi siano al corrente di questo trattato, siglato lo scorso novembre 2021 fra Italia e Francia, fra qualche sommessa polemica per essere stato elaborato dalla diplomazia diretta da Mario Draghi, senza peraltro passare per un voto parlamentare. Un trattato che include anche una specifica collaborazione in campo militare (art. 2) e spaziale (art. 7).

Aspetti entrambi importanti dal momento che, fra l’altro, l’articolo 2 prevede l’impegno reciproco a «facilitare il transito e lo stazionamento delle forze armate dell’altra Parte sul proprio territorio»: un punto che logicamente è di maggiore rilievo per le operazioni che le forze armate francesi svolgono da anni in Africa Settentrionale, Sahel e Corno d’Africa, rispetto all’inverso – non vedendosi a che servano spostamenti di truppe italiane in Francia!

Non meno rilevante è la collaborazione prevista in campo spaziale, affidata a successivi protocolli tecnici, relativa ai lanciatori spaziali Ariane 6 e Vega C, sviluppati rispettivamente da Ariane Group e da Avio poiché anche in questo ambito la posizione dominante è quella francese.

Ecco infatti il significativo commento del prof. Carlo Pelanda, eminente studioso di geopolitica, in un’interessante intervista:

«Negli accordi laterali al Trattato, l’Italia è molto in difficoltà, i francesi hanno provato a creare asimmetrie: non si impegnano alla commercializzazione del Vega ma costringono l’Italia a impegnarsi nella commercializzazione dei lanci dell’Ariane. Questo per dire che la diplomazia italiana è riuscita a rendere il Trattato una lettera d’intenti senza conseguenze immediate: però, ai lati del trattato, la Francia sta spingendo molto, hanno fatto un’analisi precisa delle vulnerabilità italiane e con un sorriso cercano di prendere soldi e capacità italiane sotto il comando francese per annullare la concorrenza. L’Italia ha preso tempo contro una pressione che si sta facendo sempre più pesante».

Tutto questo nel mentre la Francia ha sviluppato, nel corso del 2020, con l’Italia in piena emergenza sanitaria, un’aggressiva politica di acquisizioni industriali nel nostro Paese, di livello tale da sollevare a suo tempo persino le perplessità del Copasir italiano: rispetto al totale di 60,6 miliardi di dollari (+92% rispetto all’anno precedente) degli investimenti esteri aventi come target società italiane, valori che non si registravano da cinque anni, gli operatori francesi si collocano al primo posto (con 10,6 miliardi), mentre al secondo posto, a notevole distanza (6,2 miliardi) si collocano ad esempio gli Stati Uniti.

Burkhard, nella visita in Italia, aveva discusso con i vertici militari italiani della situazione africana, riferendosi in particolare alla lotta contro il terrorismo, un leitmotiv consolidato da decenni, grazie al quale la presenza militare francese in Africa ha acquisito un sempre maggiore rilievo, spesso integrando o surrogando la stessa presenza statunitense e Nato:

«in Niger, in Burkina Faso – ha dichiarato Burkhard – e sostenendo i Paesi del Golfo di Guinea. In Mali, dove le truppe francesi sono state impegnate dal 2013 fino al ritiro annunciato a febbraio [2022], non c’erano più le condizioni a causa delle scelte del governo uscito dal colpo di Stato, che non voleva una transizione politica, e a causa della presenza dei mercenari della Wagner».

Se emerge anche qui il tema del pericolo russo, è significativo il silenzio francese sulla situazione in Libia, nella quale la Francia sta sempre più scalzando le posizioni italiane, nel quadro fra l’altro di un’antica competizione sulle riserve petrolifere fra l’italiana Eni e la francese Total. Anche qui, la presenza turca e quella russa, a sostegno delle fazioni contrapposte, crea non pochi grattacapi alla Nato, soprattutto da quando l’Italia si è rivelata non più in grado di intervenire fattivamente con la propria diplomazia, sempre più chiaramente appiattita su quella atlantica, attraverso il proconsolato francese.

Stoltenberg ha dunque fornito a Madrid, a conferma del fatto che il Trattato del Quirinale è nato con il beneplacito statunitense, l’opportuna risposta alla preoccupazione di Parigi che gli avvenimenti dell’est Europa facciano dimenticare l’Africa settentrionale, che resta una zona strategicamente fondamentale per la Francia e per l’Occidente atlantico. È dunque su Parigi che gli Stati Uniti puntano come gendarme regionale, dopo la nostra totale estromissione dalla Libia con l’eliminazione di Gheddafi, ultimo residuo di un’influenza mediterranea italiana, nonché delle nostre velleità di elaborare un’autonoma politica verso il mondo arabo-islamico.

Il nostro Paese, abbandonando oggi anche i rapporti di amicizia con la Russia, si trova quindi ad essere “gestito” da un sempre più complesso ed articolato condominio di forze internazionali. Senza forzature, sembra infatti corretto affermare che l’Italia dipende sempre dalla Nato e dagli Usa (con la prossima installazione di sistemi anti-missile statunitensi e con oltre 20 ordigni nucleari sotto comando nordamericano nelle nostre basi di Aviano e Ghedi), soprattutto in relazione alla nostra collocazione europea e mediterranea, nelle dimensioni continentale e marittima. Ma ora siamo anche tenuti a dare sostegno alle strategie neo-coloniali della Francia, in Africa, dal Marocco al Corno D’Africa, dalla Libia al Golfo di Guinea. Così come nel frattempo si va consolidando il nostro allineamento alla politica internazionale dello Stato di Israele, come altrove abbiamo a suo tempo documentato, soprattutto rispetto alle dinamiche del Medio Oriente: aspetto che trova oggi anche nella questione energetica un fattore fondamentale, grazie agli importanti giacimenti di gas che Israele ha acquisito nel Mediterraneo orientale, sicuramente uno dei temi fondamentali della recente visita di Draghi nello Stato ebraico.

Gli effetti che questa crescente e articolata subordinazione italiana a potenze straniere ha sugli equilibri politici interni dell’Italia è difficile da determinare con la necessaria precisione. Certo è tuttavia  che la nostra classe dirigente risponde a gruppi di pressione diversi, che di volta in volta scelgono le forze politiche ed i personaggi che meglio incarnano i loro interessi. Queste camarille, che collegano interessi economici, militari e di intelligence, a volte trovano punti di incontro, equilibri più o meno precari; altre volte, danno vita a una guerra per bande, in un clima rinascimentale di oscuri complotti, di cui ben poco arriva all’opinione pubblica. I nostri vari governi tecnici o di emergenza, sottratti da anni al giudizio di un’opinione pubblica sempre più disillusa e forzatamente concentrata sul quotidiano sbarcare il lunario, non ha voce in capitolo in queste manovre parlamentari dietro cui si muovono le gerarchie invisibili del potere contemporaneo.

Il processo di mondializzazione della Nato, di cui abbiamo parlato di recente, segna quindi per l’Italia la definitiva perdita dell’indipendenza nazionale, le cui radice storicamente affondano negli eventi dell’8 settembre 1943. Non esistono infatti più forze politiche o di pubblica opinione in Italia che abbiano la consapevolezza ed il coraggio di affrontare la questione della subordinazione del nostro Paese all’Alleanza Atlantica ed ai suoi proconsoli provinciali, anche quando tale rapporto di dipendenza danneggia in modo evidente i nostri più basilari interessi sul piano politico, militare, energetico.

La storica accettazione del vincolo atlantico da parte del segretario nazionale del Pci, Enrico Berlinguer, nel giugno del 1976, è oramai dogma accettato da tutte le forze politiche presenti nel nostro parlamento, sinistre in primo luogo, portando a completamento il processo di rinuncia alla nostra sovranità: cosa non sorprendente, dato il complesso di forze interne e internazionali che furono responsabili della farsesca e insieme tragica vicenda dell’8 settembre, che qualcuno ha correttamente definito morte della Patria.

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