L’operazione speciale di Putin: obiettivi e conseguenze

Abbiamo scritto di recente che le spiegazioni finora fornite dai media sulle origini dell’attacco russo all’Ucraina lo scorso febbraio non ci convincono per niente: derivano da questo le nostre perplessità su tutta la lettura di questo conflitto. Di conseguenza, anche le ipotesi sulla sua possibile risoluzione. Autorevoli analisti hanno del resto già detto nelle ultime settimane che attaccare l’Ucraina in febbraio, nel momento in cui il terreno meno si presta ad una rapida offensiva meccanizzata, non risponde ad una logica militare.
Qualcosa dunque ha dato a Putin, a torto o a ragione, l’impressione di un’urgenza tale da arrischiare un passo militarmente molto azzardato.

Perché “operazione speciale”?

In un precedente articolo, abbiamo sottolineato quanto possa aver inciso nelle valutazioni del governo russo la pubblica minaccia di Zelensky di dotare l’Ucraina di armi nucleari tattiche: uno Zelensky, è il caso qui di notare di passaggio che, ai suoi esordi elettorali nel 2019, aveva suscitato molte perplessità negli analisti occidentali, che lo ritenevano, notate bene, fin troppo vicino alla Russia.

Si aggiungono oggi a questa analisi altre interessanti ipotesi, che, se considerate nel loro insieme, ci danno forse un’idea più realistica di cosa in realtà ha tentato di fare Putin.

Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, una pubblicazione che non ha bisogno di presentazioni per il suo grande livello di competenza ed obiettività, ha affermato in una recente intervista, come sempre passata sotto silenzio dagli altri media italici, che l’offensiva russa è stata una risposta preventiva alla minaccia rappresentata dallo schieramento, sul fronte del Donbass in guerra dal 2014, di 90mila soldati ucraini che si stavano preparando ad un attacco decisivo contro le repubbliche separatiste del Donetsk e di Lugansk, preceduto, come abbiamo riportato anche noi, da una settimana di intensi bombardamenti su tutta quell’area, evidente preparazione, osserva Gaiani, di un’attacco da parte ucraina.
Ecco allora che l’operazione speciale di Putin assume un carattere ben diverso da quello di un accesso di follia imperialistica, come la stampa occidentale vorrebbe farci credere ancora oggi.

Aggiungiamo alla brillante analisi di Gaiani un ulteriore tassello, a nostro avviso decisivo. Il Time ha infatti riportato una notizia molto interessante, secondo la quale nelle primissime ore dell’attacco, il 24 febbraio, un commando russo sarebbe stato vicinissimo ad impadronirsi del presidente ucraino, sfuggito per poco alla cattura – probabilmente grazie al supporto dell’intelligence occidentale.
È dunque altamente probabile che l’offensiva in direzione di Kyiv avesse in realtà uno scopo politico, quello di sostenere con le armi il rovesciamento del governo Zelensky, la cattura di questi e la sua immediata sostituzione con un presidente filo-russo.

Questa non è solo una nostra supposizione, in quanto, pochi giorni prima dello scatenarsi del conflitto, come riportato da Le Monde, il ministro degli esteri britannico, Liz Truss, rifacendosi a fonti della propria intelligence, aveva proprio accusato Mosca di voler favorire, con mezzi non democratici, l’ascesa al potere di un proprio “governo fantoccio”1. Vi era del resto in Ucraina almeno un possibile candidato a sostituire Zelensky offrendo maggiori garanzie alla Russia: Viktor Medvedchuk, ex capo di gabinetto durante la presidenza di Leonid Kuchma, poi eletto nel 2019 al Parlamento ucraino nelle file del movimento Piattaforma di opposizione – Per la vita. Posto agli arresti domiciliari a febbraio 2022, si era reso irreperibile, per poi essere infine arrestato dai servizi ucraini. Nelle ultime settimane, è stato significativamente proposto proprio lui per uno scambio con un consistente numero di prigionieri ucraini.

Un elemento ulteriore potrebbe avvalorare questa ricostruzione. Un alto ufficiale russo, il colonnello generale Sergei Beseda, direttore del Quinto Servizio dell’FSB (servizio di informazioni estere), viene a quanto pare arrestato ai primi di marzo, insieme al suo vice, con l’accusa di uso improprio di fondi destinati ad attività sovversive, e niente di meno che per aver fornito informazioni insufficienti in vista dell’attacco all’Ucraina, Paese in cui Beseda avrebbe operato da lungo tempo 2.

Questa notizia potrebbe essere semplicemente un esempio di disinformazione da parte occidentale: se l’informazione risultasse invece esatta, potrebbe indicare che questo settore dell’intelligence russa avrebbe commesso un madornale errore di valutazione sulla fattibilità dell’«operazione speciale» avente per obiettivo primario la defenestrazione di Zelensky e la sua sostituzione con un governo disponibile ad un riavvicinamento a Mosca.

Ma potremmo avventurarci oltre, in altre ancor più intriganti ipotesi. Visto infatti che «Beseda e il suo staff – ufficialmente noto come Servizio di informazioni operative e rapporti internazionali – sovrintendono ai collegamenti con i partner stranieri, compresi gli americani», recita la fonte citata, si potrebbe addirittura immaginare che qualcuno in Ucraina abbia fatto ritenere possibile ai Russi il rovesciamento di Zelensky, ingannando i servizi segreti di Putin. A rafforzare questa falsa prospettiva avrebbe potuto utilmente contribuire proprio l’avvertimento del ministro degli esteri britannico, ampiamente diffuso dai media occidentali…

Si tratterebbe in questo caso di una vera e propria trappola tesa a Putin, per spingerlo ad un impegno militare sul campo, impegnando la Russia in una vera e propria guerra, non in una semplice operazione speciale – cosa ben diversa quindi da quello Putin avrebbe affrontato se avesse avuto successo un fulmineo golpe progettato per portare al potere un governo “amico” in Ucraina.
Questa interpretazione non è poi così maliziosa e complottista: avendo esaminato con sufficiente attenzione quanto di simile era accaduto ai Russi in Afghanistan, nel 19793

L’operazione speciale di Putin era dunque veramente “speciale”, destinata a disegnare una soluzione politica del problema ucraino: l’uso della forza militare avrebbe dovuto essere solo una componente strumentale. Lo scopo era il riallineamento dell’Ucraina alla politica russa, ponendo quindi fine al conflitto nel Donbass, riprendendo il pieno controllo degli accessi al Mar Nero, bloccando sine die l’influenza della Nato nel Paese. Insomma, reinserendo a pieno titolo un’Ucraina amica nel sistema di sicurezza politico, economico e militare russo.

Non è un caso infatti che Mosca, fallita per un soffio questa opzione, abbia dopo poco rinunciato all’offensiva nel nord del Paese, togliendo il costoso e inutile assedio alla capitale, la cui occupazione non avrebbe più avuto alcun valore politico, a fronte invece di un alto costo in termini di vite umane, se si deve combattere strada per strada in una città moderna, come la battaglia per Mariupol ha dimostrato.
Putin ha lasciato quindi Kyiv non solo e non tanto per merito della difesa ucraina quanto perché conquistare la città non avrebbe avuto più alcun significato strategico per Mosca.

La Russia sta perdendo la guerra?

Adottando questa chiave di lettura, possiamo più efficacemente comprendere anche la condotta delle operazioni militari russe.
La stampa occidentale, e con essa la maggior parte dei siti specializzati occidentali, che in questo caso contribuiscono attivamente alla pura propaganda di guerra (ben nota a chi si occupa di storia contemporanea), insistono ogni giorno sulle difficoltà incontrate dai Russi sul terreno. Ci basti ricordare per tutti l’autorevole consigliere filo-atlantico di presidenti italiani come Francesco Cossiga, l’immarcescibile gen. Carlo Jean, oggi presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, il quale non si perita di paragonare l’offensiva di Putin addirittura all’insuccesso della campagna di Grecia dell’Italia di Benito Mussolini4.

Se però leggiamo la situazione del conflitto alla luce dello scopo strategico russo sopra ipotizzato, comprendiamo meglio anche le ragioni della condotta russa: la Russia non sta attuando infatti una guerra totale, per intenderci il tipo di guerra che l’Unione Sovietica attuò contro la Germania nella Seconda Guerra mondiale.
Non può e non vuole farlo perché sta combattendo su territori la cui popolazione è, almeno in parte, favorevole alla Russia: combatte in mezzo a gente che ha legami anche personali e familiari con la Russia, parla la medesima lingua. Una volta occupate, queste aree del Paese dovranno essere ricostruite pezzo pezzo, rendendo necessari enormi investimenti per i quali la Russia, il cui PIL è di poco superiore a quello italiano, potrebbe non riuscire a trovare le necessarie risorse per molti anni a venire. La Russia non può quindi agire come un rullo compressore nell’est Ucraina.

Questa condotta bellica, tecnicamente molto vicina a quella di un conflitto cosiddetto “a bassa intensità”, nonostante le ovvie perdite in termini di vite umane e di distruzioni, è la ragione vera del lento avanzamento dei Russi, rispetto al blitzkrieg che avventati commentatori occidentali ipotizzavano.

Tuttavia Putin ha finora raggiunto (una volta abbandonato il nord Ucraina, per le ragioni dette sopra) obiettivi primari: controllo del Donbass, protezione della Crimea, controllo dei porti sul Mar Nero, liberazione delle repubblichette filo-russe.

Per quanto in ogni guerra il semplice body count sia sempre relativamente attendibile, e comunque tragico, basta fare un confronto con le cifre relative alla Guerra del Golfo (1991): in soli 42 giorni di combattimenti, si ebbero allora almeno 100mila militari iracheni morti e 20mila vittime fra i civili.
I civili uccisi dalle forze russe nella guerra Ucraina in 90 giorni di combattimenti, dal 24 febbraio – 24 maggio, sarebbero, secondo l’Onu, 3.998, i civili feriti almeno 4.693. Per quanto sottostimate possano essere queste cifre, la differenza balza agli occhi.

Ma potremmo avere un’ulteriore conferma dall’interno della Russia stessa. Tanto questa strategia è stata, diciamo così, “moderata”, che pare che essa stia in questo giorni sollevando comprensibili perplessità in alcuni ambienti militari, molto preoccupati per il prolungarsi del conflitto, che chiederebbero invece al governo russo la mobilitazione totale delle forze armate e una vera e propria dichiarazione di guerra all’Ucraina: vale a dire passare da una “operazione speciale”, come intesa da Putin, ad una guerra totale5.

Se vi è dunque oggi un rischio per la stabilità del potere di Putin nella Federazione Russa, a nostro avviso, non è quello di un rovesciamento da parte di un’inconsistente opposizione “filo-occidentale”: semmai è quello di una fronda militare che potrebbe esigere una soluzione dura e radicale della guerra, a costo di uno scontro diretto con l’Occidente.

Un Occidente che dovrebbe essere quindi molto ma molto prudente nel presentare come una sconfitta l’operazione speciale di Putin…

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Note
  1. https://www.lemonde.fr/international/article/2022/01/23/ukraine-londres-accuse-moscou-de-chercher-a-installer-un-dirigeant-prorusse-a-kiev_6110597_3210.html
  2. https://cepa.org/putin-places-spies-under-house-arrest/
  3. Si veda G. Colonna, Medio Oriente senza pace, Edilibri, 2009, Milano.
  4. https://www.agi.it/estero/news/2022-03-18/generale-jean-intervista-ucraina-guerra-putin-disfatta-16049086/
  5. Kateryna Stepanenko, Karolina Hird, Mason Clark, George Barros, Russian Offensive Campaign Assessment, May 23, Institute for the Study of War, 23 maggio 2022