Green Pass e discriminazione in Italia: la risposta europea

Nell’intento di documentare gli aspetti seriamente problematici dell’utilizzazione del Green Pass da parte del governo italiano, riportiamo di seguito i testi di un’interrogazione parlamentare presentata da rappresentanti italiani al Parlamento Europeo e la relativa risposta formale della Commissione europea.

La risposta del Commissario europeo Didier Reynders apre la strada ad una procedura di infrazione nei confronti del governo italiano in merito alla sua non corretta applicazione del regolamento europeo 953/2021 sul Green Pass.

Nello stesso tempo nelle prossime settimane avremo anche gli esiti dell’importante azione legale promossa dall’avv. Mauro Sandri presso la giustizia europea, rivolta a mettere in discussione anche i fondamenti scientifici dell’applicazione del Green Pass in Italia.

Tenuto conto del fatto che in Italia si approssima il termine consentito dalla legge per lo stato di emergenza, questi aspetti giuridici a livello comunitario sono di grande importanza.

Ecco il testo integrale dei documenti citati.

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-003780/2021 alla Commissione
Articolo 138 del regolamento
Sergio Berlato (ECR), Vincenzo Sofo (ECR)
Oggetto: “Green pass”: arma di discriminazione

Premesso che al considerando 36 del regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, viene sancito un divieto di discriminazione diretta o indiretta circa le persone che non sono vaccinate, si chiede alla Commissione:
1. Ritiene che il nuovo “green pass” italiano rispetti i dettami di cui al considerando 36 sopraccitato?
2. Permettere solo alle persone vaccinate, a quelle che siano guarite dalla COVID-19 negli ultimi 6 mesi o a quelle che si siano sottoposte a tampone nelle ultime 48 ore di accedere a pubblici esercizi, spettacoli, eventi e competizioni sportive, musei, istituti e luoghi di cultura, piscine, palestre, centri benessere, fiere, sagre, convegni e congressi, centri termali, parchi tematici e di divertimento, centri culturali e ricreativi, sale da gioco e casinò, concorsi pubblici non discrimina forse coloro che hanno scelto di non vaccinarsi o che non possono vaccinarsi, ma che rispettano tutte le norme igienico-sanitarie prescritte, soprattutto dal momento che è scientificamente dimostrato che anche i vaccinati possono essere portatori del virus della COVID-19 e che quindi anch’essi dovrebbero sottoporsi a tampone?
3. Effettuare un tampone ogni 48 ore ha un costo di non poca rilevanza; non rappresenta anche questo una fonte di discriminazione?

IT
E-003780/2021
Risposta di Didier Reynders
a nome della Commissione europea (20.10.2021)

Il regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al certificato COVID digitale dell’UE1 si basa sull’articolo 21, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e mira ad agevolare il diritto alla libera circolazione all’interno dell’UE.
Per garantire che anche le persone non vaccinate possano godere del diritto alla libera circolazione, il regolamento istituisce un quadro a livello europeo per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati relativi non solo alla vaccinazione, ma anche ai test e alla guarigione dalla COVID-19.

Esso afferma chiaramente che la vaccinazione non costituisce una condizione preliminare per l’esercizio del diritto alla libera circolazione.

L’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall’agevolazione della libera circolazione all’interno dell’UE non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il certificato COVID digitale dell’UE a fini nazionali, ma sono tenuti a prevedere una base giuridica nel diritto nazionale che rispetti, tra l’altro, i requisiti in materia di protezione dei dati.

Nel caso in cui uno Stato membro istituisca un sistema nazionale di certificati COVID-19 a fini interni, esso dovrebbe garantire che anche il certificato COVID digitale dell’UE sia accettato in tale contesto. In questo modo, i viaggiatori che si recano in un altro Stato membro non devono ricevere un certificato nazionale supplementare per la COVID-19 per avere accesso, ad esempio, a bar o ristoranti.

Per contribuire a garantire che tutti i cittadini possano usufruire di test a costi accessibili, la Commissione ha messo a disposizione degli Stati membri 100 milioni di EUR per test che soddisfino i requisiti per il rilascio del certificato COVID digitale dell’UE. Tuttavia, è importante notare che le decisioni relative alla determinazione dei prezzi dei test rientrano nell’ambito di competenza degli Stati membri.

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