Covid-19: ora tutta la verità

Quanto può durare la pazienza di un popolo? L’epidemia di Covid-19 ha prodotto, stando ai dati attuali, 3,7 milioni di vittime; non calcoliamo le sofferenze di chi si è ammalato gravemente, né le fatiche di medici e infermieri, né i disagi di milioni di cittadini – la cui vita ha subito per molti mesi limitazioni alla libertà di lavoro, movimento, relazioni sociali, mai viste nemmeno in tempo di guerra.

Difronte ad un evento globale che probabilmente non ha precedenti nella storia dell’umanità, ciò che i governi dovrebbero come minimo garantire è la verità su quanto è accaduto e sta ancora accadendo.

È chiaro che l’Italia, nonostante abbia pagato uno dei prezzi più alti dal punto di vista sia economico che sociale, non ha la forza politica a livello internazionale per esigere questa verità. Anche perché, come probabilmente verremo a sapere nelle prossime settimane, quando la procura della Repubblica di Bergamo presenterà le risultanze delle proprie indagini, la nostra classe dirigente dovrà rispondere di gravi omissioni, inaccettabili negligenze, manipolazioni di documenti ufficiali: non è dunque la più credibile per esigere verità.

Ma che la verità sia necessaria lo dimostrano i risultati di un’inchiesta che la giornalista investigativa australiana Sharry Markson, ha pubblicato lo scorso 4 giugno su The Australian 1: se quanto da lei ricostruito è vero, vengono alla luce le gravissime responsabilità del mondo scientifico, dei governi cinese e statunitense e di tutte le classi dirigenti che hanno accolto come oro colato le informazioni che ancora ci vengono quotidianamente propalate come verità oggettive.

Sperimentazioni sui Coronavirus

Protagonista di una realtà che supera l’immaginabile sembra sia lo scienziato cinese Zhou Yusen, che ha operato per anni sia nella comunità scientifica americana che in quella cinese sotto la direzione dell’Esercito di Liberazione Popolare, cioè delle forze armate di Pechino: sarebbe questo personaggio di alta caratura scientifica, infatti, l’autore di ricerche che implicavano la manipolazione genetica di coronavirus, da ben prima che la pandemia si diffondesse.

Yusen avrebbe inoltre sviluppato i suoi studi collaborando proprio con l’Istituto di Virologia di Wuhan, in particolare con la famosa dottoressa Chi Zhengli, la cosiddetta “donna dei pipistrelli”: animali ai quali inizialmente, e poi con sempre crescenti dubbi, è stata attribuita la colpa della diffusione in Cina del Covid 19.

«Poco prima della pandemia – scrive la giornalista –, Zhou ed altri tre scienziati dell’Istituto di Pechino gestito dal PLA 2 di Microbiologia ed Epidemiologia (Yuehong Chen, Lei He e Shishui Sun) hanno collaborato con due scienziati del Wuhan Institute of Virology (Shi e Jing Chen) – e con altri otto scienziati cinesi che operano negli Stati Uniti, presso l’Università del Minnesota, il Lindsley Kimball Research Institute, il New York Blood Centre. Il loro studio, intitolato “Meccanismo molecolare per il potenziamento dipendente dagli anticorpi dell’ingresso del coronavirus”, è stato presentato al Journal of Virology il 27 novembre 2019, ed è stato pubblicato il 14 febbraio 2020.

La ricerca ha preso in esame i coronavirus MERS e SARS, come vie per la terapia farmacologica antivirale basata su anticorpi per il trattamento dei coronavirus. (…) Hanno scoperto che questo «nuovo meccanismo molecolare per l’ingresso virale potenziato da anticorpi» potrebbe «guidare le future strategie di vaccinazione e antivirali».

Questo studio è stato condotto “in vitro”, ovvero in una capsula di Petri o in una provetta, utilizzando cellule renali e polmonari umanizzate. L’ultimo paragrafo dello studio indicava che il passo successivo sarebbe stato condurre esperimenti “in vivo”, con topi o primati umanizzati».

Cosa ci è stato finora nascosto

Emergono quindi dati inediti e fondamentali, che ci parlano di sperimentazioni sui coronavirus, sviluppate sotto controllo militare e con evidenti finalità cosiddette dual use, vale a dire per potenziali scopi militari e civili.

Fin dal 2004, lo scienziato cinese, formatosi nell’ambito del centro di ricerca scientifica delle forze armate cinesi, «stava sperimentando proteine spike nei coronavirus – l’elemento della loro infettività che è spesso oggetto di manipolazione e di ricerche sulla cosiddetta “acquisizione di funzioni” (gain-of-functions).

Infatti, in un articolo di quell’anno, di cui Yusen è stato coautore, pubblicato sul Journal of Immunology, Zhou affermava: «Abbiamo dimostrato che la proteina S di SARS-CoV è altamente immunogenica». Si noti che si tratta delle famose proteine spike che sono alla base anche della tecnica con cui vengono realizzati molti, se non tutti, degli attuali vaccini.

Ma, per comprendere la gravità di cosa non è stato chiarito, dobbiamo soffermarci, prima di proseguire, sul termine “gain-of-functions“, che tornerà frequentemente nel corso di questo articolo. Il termine viene così spiegato: «consiste nel produrre, in un organismo, delle modificazioni genetiche (chiamate anche mutazioni attivanti) in grado di determinare l’acquisizione di una nuova funzione o il potenziamento di una preesistente».

Si tratta dunque di manipolazioni dei geni di organismi virali, in questo caso, effettuate in laboratorio da scienziati, da esseri umani – non causate da fattori naturali, cui finora si è attribuita l’origine della pandemia.

Scopriamo poi che le ricerche condotte dal gruppo di scienziati cinesi, almeno quelle in atto nel 2019, vedevano coinvolti anche tre enti di ricerca statunitensi, finanziati dal National Institute of Health (NIH), da cui dipende il National Institute of Allergy and Infectious Diseases diretto da un trentennio da Anthony Fauci, protagonista di molti interventi politico-scientifici che hanno orientato le strategie di contrasto al contagio negli Usa e non solo.

Lo scenario non è solo cinese ma è anche americano, vede coinvolte le comunità scientifiche delle due potenze, con l’aggravante del fatto, se vogliamo, che quella cinese è strettamente legata alle forze armate di Pechino.

Potenziamento dei virus

Nell’approfondire l’inquietante aspetto del gain-of-functions di virus influenzali altamente contagiosi, scopriamo, e qui documentiamo, che questo aspetto aveva già suscitato da tempo gravi preoccupazioni in una parte rilevante ed autorevole della comunità scientifica, senza che di questo nessuno fino ad oggi, a quanto pare, abbia portato davanti all’opinione pubblica la questione.

Il bello è che è lo stesso Fauci, evidentemente al corrente dei dubbi sulle ricerche focalizzate sul «gain-of-functions» mediante manipolazioni genetiche sulle proteine dei virus, nell’ottobre 2012, a pubblicare un intervento sull’American Society for Microbiology nel quale testualmente affermava:

«La comunità di ricerca sui virus dell’influenza deve essere lodata per l’attuazione di una moratoria volontaria sugli esperimenti di gain-of-functions relativi alla trasmissibilità del virus dell’influenza H5N1 altamente patogeno. In qualità di finanziatore chiave delle ricerche sul virus dell’influenza, il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, una struttura del National Institutes of Health degli Stati Uniti, sostiene fermamente la continuazione di questa moratoria in attesa della risoluzione di questioni politiche critiche relative alle motivazioni per l’esecuzione e la segnalazione tali esperimenti».

Apprendiamo cioè che vi erano serie preoccupazioni fra gli scienziati su questo tipo di pericolose sperimentazioni, al punto che almeno alcuni di essi invocavano, e poi momentaneamente ottenevano, la sospensione (moratoria) di questo tipo di ricerche e sperimentazioni.

Le ragioni? Le esprimeva Fauci nello stesso contributo, ipotizzando uno scenario che, a rileggerlo oggi, fa un certo effetto:

«Mettendo da parte per il momento lo spettro del bioterrorismo, si consideri questo ipotetico scenario: un importante esperimento di gain-of-functions che coinvolge un virus con un serio potenziale pandemico viene eseguito in un laboratorio ben regolamentato di livello internazionale, da investigatori esperti, ma le informazioni sull’esperimento vengono poi utilizzate da un altro scienziato che non ha la stessa formazione e lo stesso tipo di strutture e che non è soggetto alle stesse normative. In un’improbabile ma concepibile serie di eventi, cosa succede se quello scienziato viene infettato dal virus, che porta ad un’epidemia e che alla fine innesca una pandemia? (…)

Gli scienziati che lavorano in questo campo potrebbero dire, come del resto hanno detto, che i benefici di tali esperimenti e le conoscenze che ne derivano superano i rischi. È più probabile che si verifichi una pandemia in natura, e la necessità di stare al passo con una tale minaccia è una delle ragioni principali per eseguire un esperimento che potrebbe sembrare rischioso. Tuttavia, dobbiamo rispettare l’esistenza di preoccupazioni autentiche e legittime su questo tipo di ricerca, sia a livello nazionale che globale».

Peccato che di queste preoccupazioni autentiche e legittime il grande pubblico non abbia mai saputo nulla, né prima né dopo lo scoppio della pandemia.

La ripresa degli esperimenti gain-of-functions

L’accesa discussione scientifica, si noti, si era dunque concentrata in modo specifico proprio sull’aspetto di cui abbiamo già parlato, esattamente quello su cui ha lavorato lo scienziato militare cinese nel 2019.

Scrive infatti nel febbraio 2018 Lancet, prestigiosa rivista scientifica 3:

«Il dibattito è incentrato su un sotto-insieme di studi sul gain-of-functions, che manipolano virus mortali per aumentarne la trasmissibilità o la virulenza. “Questo è ciò che accade ai virus in natura”, spiega Carrie Wolinetz, capo dell’Ufficio della politica scientifica del NIH. “Gli esperimenti sul gain-of-functions ci consentono di capire come si evolvono i virus pandemici, in modo da poter fare previsioni, sviluppare contromisure e monitorare le malattie”. Sebbene nessuna delle disavventure ampiamente pubblicizzate del 2014 abbia coinvolto tale lavoro, il NIH ha deciso di sospendere i finanziamenti per gli studi sul guadagno di funzione che coinvolgono influenza, MERS-CoV e SARS-CoV».

A quali “disavventure” si riferiva Lancet? Eccole, e considerate se vi pare poco:

«La notizia che decine di lavoratori nel Center for Disease Control and Prevention (CDC) potrebbero essere stati esposti all’antrace, che fiale di virus del vaiolo erano state lasciate in giro in un magazzino NIH e che il CDC aveva inconsapevolmente inviato campioni di virus influenzale ordinario contaminato con H5N1, ha scosso la fiducia nelle procedure di bio-sicurezza del Paese. Oltre 200 scienziati hanno firmato la dichiarazione del Cambridge Working Group auspicando la cessazione degli esperimenti che creano potenziali agenti patogeni pandemici “fino a quando non sarà stata effettuata una valutazione quantitativa, obiettiva e credibile dei rischi, dei potenziali benefici e delle opportunità di mitigazione del rischio, nonché un confronto con approcci sperimentali”».

A seguito di queste gravi e motivate preoccupazioni, nell’ottobre 2014, la NIH (National Institute of Health – qualcosa come il nostro Ministero della Sanità) statunitense optò dunque per la moratoria.

Ma essa non è durata a lungo. Il 19 dicembre 2017, infatti il NIH annunciava la ripresa dei finanziamenti agli esperimenti sul gain-of-functions, i quale comprendevano, si osservi attentamente, le seguenti patologie: l’influenza, il coronavirus della sindrome respiratoria del Medio Oriente e il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave – virus che ha dato luogo al Covid-19.

Così, l’Istituto di Fauci si ritrova a finanziare anche la ricerca dell’esercito cinese guidata dal dott. Zhou Yusen, il quale opera utilizzando fra gli altri l’Istituto di Virologia di Wuhan: in questa città, poche settimane dopo, proprio quando si sta passando o si è già passati dagli esperimenti in vitro a quelli in vivo, potenza delle coincidenze, scoppia la pandemia.

La scienza potere forte

La giornalista australiana ritiene giustamente spiegata così anche la «riluttanza degli alti funzionari statunitensi a dare credito alla teoria secondo cui il Covid-19 potrebbe essere il risultato di una perdita di laboratorio, per la preoccupazione che [tale ipotesi] avrebbe messo in evidenza la loro complicità nel fornire finanziamenti a una struttura che le agenzie di intelligence sospettavano potesse aver scatenato la pandemia».

Usa e Cina, dunque, appaiono accomunati dall’esigenza di nascondere al mondo una possibile verità, che oggi comincia però a venire a galla. Rivelare la verità significa mettere a nudo la patologica commistione di interessi economici, politici, militari con quelli di un mondo scientifico, che ha trasformato la ricerca scientifica in uno strumento di profitto e di potenza, non di progresso: a costo di mettere a repentaglio la vita e la sicurezza di milioni di esseri umani.

Una scienza sempre più fortemente legata ai grandi conglomerati multinazionali, che oggi stanno moltiplicando i loro guadagni grazie alla tragedia in atto. Una scienza capace di emarginare e schiacchiare le opinioni di tutti quegli studiosi e quei ricercatori indipendenti che non si prestano al gioco di questi dottor Stranamore di ultima generazione.

Non è finita qui.

Sembra infatti che lo scienziato cinese abbia depositato il brevetto del vaccino cui si riferiva il suo studio del 2019: cosa che confermerebbe la finalità militare delle sue ricerche, dato che è prassi comune, allorché si sviluppano armi batteriologiche, preoccuparsi in parallelo di predisporre anche l’antidoto o il vaccino, a logica tutela dei propri soldati e della propria popolazione civile.

Dopodiché, sarebbe morto in circostanze mai chiarite – un fatto che conclude in modo non meno inquietante la parabola umana di questo singolare personaggio.

Scrive la Markson a tale proposito:

«Zhou, che ha condotto la ricerca in collaborazione con l’istituto di Wuhan, l’Università del Minnesota e il New York Blood Center, è stato il primo a depositare un brevetto per un vaccino contro il Covid-19 il 24 febbraio dello scorso anno [2020], secondo i documenti ottenuti da The Weekend Australian.

Questo è avvenuto appena cinque settimane dopo che la Cina aveva ammesso la trasmissione del virus da uomo a uomo.

Zhou è indicato come l’inventore principale, nella domanda di brevetto presentata dall’Istituto di Medicina Militare, Accademia di scienze militari del Esercito Popolare Cinese.

Nikolai Petrovsky, un ricercatore medico della Flinders University, che ha sviluppato un vaccino contro il Covid-19, ha affermato che, sebbene fosse tecnicamente possibile avere un vaccino in questo lasso di tempo, sembrava essere un «risultato straordinario».

Ha aggiunto che ciò lascia aperta l’ipotesi che gli scienziati cinesi stessero lavorando su questo vaccino prima che le autorità ammettessero pubblicamente che c’era un focolaio di coronavirus.

«È qualcosa che non si è mai visto realizzare prima, sollevando la questione se questo lavoro possa essere iniziato molto prima», ha detto il professor Petrovsky».

Alla luce delle informazioni tecniche circolate in questi mesi in merito ai vaccini sviluppati in Occidente, con una velocità inedita sul piano tecnico, dato che in genere realizzare un vaccino richiede dagli 8 ai 10 anni, c’è da chiedersi se per caso anche le grandi multinazionali non abbiano fatto buon uso proprio dei risultati delle ricerche dell’abile immunologo cinese, magari proprio attraverso la mediazione degli Istituti di ricerca coinvolti nelle sue ricerche.

Potere della scienza e democrazia

Vedremo nei prossimi mesi i risultati delle indagini che i servizi di intelligence dei Paesi anglo-sassoni stanno svolgendo: vedremo se arriverà la verità, solo una parte di essa, o una sua ulteriore manipolazione.

Certo, adesso la prima cosa che dovremmo chiedere ai nostri governanti è la verità, tutta la verità.

Ma, come abbiamo già detto, probabilmente in Italia dovremo assai presto occuparci di eventi, altrettanto se non più gravi, da questo punto di vista.

La seconda fondamentale questione riguarda il potere che la scienza ha acquisito, a partire dall’invenzione delle armi nucleari. Questo potere è diventato potere politico, una sorta di governo del governo: lo abbiamo sotto gli occhi da quando abbiamo visto i Comitati tecnico-scientifici dettare le regole di vita di tutti noi, da oramai più di un anno, senza che sia mai stata verificata l’oggettiva correttezza delle loro imposizioni. È un potere economico in quanto dipende dagli interessi di un pugno di multinazionali, in particolare quelle che controllano le cosiddette “scienze della vita” a livello mondiale: con la capacità di imporre terapie, controllare l’opinione pubblica, realizzare enormi profitti, sfuggire alle responsabilità conseguenti al loro operato. Ma anche di occuparsi delle tecnologie di produzione del cibo, ad esempio.

Dobbiamo chiederci quindi, a questo punto, in che misura gli attuali sistemi politici di democrazia parlamentare, in mano a ristrette oligarchie di partito, siano più in grado di governare negli interessi della collettività un mondo dalla crescente complessità, che richiederebbe alto spirito di servizio, elevato disinteresse, dedizione alla comunità nazionale. Sono così i nostri uomini politici?

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Note
  1. con il titolo “US paid Chinese People’s Liberation Army to engineer coronaviruses”
  2. Esercito Popolare di Liberazione, l’esercito cinese, NdR
  3. Talha Burki, “Ban on gain-of-function studies ends”, www.thelancet.com/infection, Vol. 18, February 2018