La Dittatura dei Partiti

Il sistema politico italiano è una democrazia? La domanda non è priva di senso, alla luce di quello che sta accadendo nelle ultime settimane.
Il sistema della democrazia parlamentare presuppone la presenza di un pluralismo politico e di una dialettica fra forze al potere e opposizione: nessuna di queste due caratteristiche fondamentali per un regime parlamentare sussiste più oggi.

Tecnici e Partiti

Non ci si dica che la posizione dei sedicenti Fratelli d’Italia costituisce un’opposizione, perché è del tutto evidente la loro disponibilità ove occorra a sostenere il governo caso per caso, non fosse che per l’esigenza di non rompere la coesione del centro-destra.

Si tratta di un aspetto che è oramai più che evidente. La completa omogeneizzazione dei contenuti, degli stili gestionali, degli obiettivi di potere dei diversi partiti, rende oramai veramente difficile distinguerli l’uno dall’altro: ragione non ultima della crescente quota di astensionismo dell’elettorato, che rappresenta oggi il quaranta per cento degli aventi diritto – una non partecipazione alla vita pubblica che risulta in questo modo sempre più giustificata dai fatti.

Ma vi è di più: siamo stati abituati, a partire dal governo Monti, all’attivazione di governi c.d. “tecnici”, i cui risultati sono storicamente ben noti, e non pare abbiano fornito performance migliori di quelli ordinari.

In realtà, l’unica utilità che potrebbero avere i governi tecnici sarebbe quella di essere indipendenti dai condizionamenti dei partiti: il fatto è però che in Italia si raggiungono posizioni di alto livello solo grazie al supporto politico; questo vale nelle carriere accademiche, in quelle militari, in quelle imprenditoriali, nella pubblica amministrazione.

Ovunque si formano centri di potere politici, economico-finanziari, culturali – si attivano legami di interdipendenza con i partiti, alcuni dei quali oramai nascono come espressione diretta proprio di quei centri di potere.

Il re è nudo

Il governo Draghi è la prova più eclatante del dominio della partitocrazia, per cui si può affermare pianamente che «il re è nudo»: grazie tra l’altro alla rocambolesca performance di Renzi, siamo arrivati a questa miscela di tecnici e politici, che è stata accolta dal tripudio generale dei politici e dei media.

Non entriamo per il momento né nella ricostruzione del percorso che ha portato un uomo come Draghi al potere; né tantomeno discutiamo qui il programma da lui presentato, perché non lo merita da nessun punto di vista. Si tratta infatti del solito bollito freddo di luoghi comuni: i soliti appelli alla sostenibilità, alla digitalizzazione, alla giustizia giusta, al fisco equo, alla pubblica amministrazione efficiente, alla scuola inclusiva, che vengono stancamente ripetuti da decenni – senza che mai si dica come, quando e chi realizzerà tutto questo.

Non potremo raggiungere né questi né altri obiettivi proprio per la condizione strutturale dell’attuale sistema politico, bloccato da decenni dalle feroci lotte per le spartizioni di poltrone, dettate da interessi clientelari, la cui origine sta nel fatto che i partiti italiani, non rappresentando più orientamenti ideali degli Italiani, sono il paravento dietro il quale operano indisturbate le agguerrite lobby del potere reale, legate al mondo finanziario internazionale, a quello ecclesiale, a quello latomistico, che da sempre governano la storia repubblicana.

Lobby peraltro sempre attente a mantenere l’Italia in quella condizione di sovranità limitata che assicura la tutela internazionale del loro potere da parte del mondo atlantico; e, da qualche decennio almeno, anche degli influenti ambienti israeliani che rappresentano oggi una forza direttiva fondamentale in tutto l’assetto mediterraneo.

Emergenze e dittatura

Lo straordinario governo Draghi è quindi una vera e propria dittatura dei partiti, che oggi viene giustificata con la pandemia: altri governi di emergenza sono stati giustificati con l’immigrazione di massa, oppure con la crisi finanziaria mondiale, prima ancora con il terrorismo. Quel terrorismo non a caso sempre più rivelatosi un prodotto dallo Stato stesso – per stabilizzare appunto questo sistema di potere, che si è così potuto perpetuare e consolidare fino all’attuale assetto totalitario.

In questo modo si è gradualmente imposta un’oligarchia partitocratica, che ha perso da tempo qualsiasi contatto con la vita reale del nostro popolo, di quella parte almeno che vive onestamente del proprio lavoro e della propria iniziativa, sia essa imprenditoriale, culturale, sociale.

L’abisso che è stato scavato dall’arroganza dei governanti non potrà che andare ulteriormente allargandosi, sopratutto quando le enormi masse finanziarie in arrivo dall’Europa, che indebiteranno per generazioni il Paese, saranno oggetto di una spartizione senza esclusione di colpi da parte dei “poteri forti”, che già affilano i loro lunghi coltelli per l’abbuffata del secolo – destinata a segnare il futuro di non meno di tre generazioni di Italiani.

La sicumera con cui vengono imposte alla gente normale roboanti affermazioni, che trovano smentite nel giro di poche settimane (dalla scuola ai vaccini, dalla giustizia al fisco…), non potrà che aumentare di frequenza e di intensità, in assenza, almeno fino ad oggi, di una opposizione in grado di proporre alternative sistemiche e presentare uomini e donne in grado di realizzarle lucidamente, senza compromessi.

Occasione per l’Italia

Eppure in questo momento, davanti alla tavola apparecchiata per il recovery fund, almeno il mondo dell’economia, quanto meno quello rimasto libero da referenti partitici, avrebbe l’occasione storica per rivendicare il proprio diritto ad esprimere una rappresentanza autonoma, non soggiogata e condizionata dai partiti, capace di dotarsi di organi di autogoverno e di definire, dal livello nazionale a quello locale, un modello di sviluppo adeguato alle esigenze del presente e del futuro: interesse generale prevalente su quello individuale, competenze al comando, trasparenza nelle gestioni, coinvolgimento e co-interessamento dei lavoratori ad ogni livello, potere di controllo sulla moneta e sul sistema finanziario, organismi paritetici di rappresentanza con poteri legislativi e di coordinamento, ecc. ecc. Aspetti su cui ci siamo già intrattenuti in queste pagine.

Questa dittatura conta sull’addormentamento delle coscienze e sulla disinformazione mediatica; sulla passività indotta nei giovani da decenni di controllo sociale; sul desiderio di normalità dei ceti a stipendio fisso; sulla fuga dei più intraprendenti; sulla criminalizzazione di eventuali opposizioni; sul rafforzamento degli apparati di controllo informativo e di sicurezza.

Saranno questi infatti gli strumenti indispensabili per mantenersi in sella quando agli effetti dell’emergenza sanitaria si sommerà l’incapacità di questa classe dirigente di elaborare soluzioni adeguate alla grandezza dei problemi che verranno via via maturando.

È tempo di prendere coscienza di questa realtà, rifiutando schemi, categorie e luoghi comuni del passato. Prima si inizia, meglio è.

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