Alleati, pericolo rosso e terrore bianco – Ungheria 1919

Che la pace di Versailles non fosse destinata a portare pace in Europa fu ben chiaro fin da subito. Il caso più evidente, ma assai poco noto, fu il conflitto che esplose alla fine di luglio 1919 tra Romania e Ungheria. Conflitto interessante, in quanto rivelatore di come i vincitori della Grande Guerra, in particolare la Francia, concepivano la pace appena raggiunta.

Il bolscevismo in Ungheria

Uno degli effetti della dissoluzione dell’Impero Asburgico nell’Europa Centrale fu la nascita della repubblica in Ungheria, con la cosiddetta Rivoluzione dei Cristantemi del 30 ottobre 1918, che portò al potere un governo socialdemocratico filoccidentale, che per altro non fu riconosciuto dagli Alleati.

Giocava il desiderio francese, accettato anche dai Britannici, di favorire Cechi e Rumeni a scapito dei Magiari, con lo scopo di costituire un’area di influenza francese a presidio dell’area tedesca centro-europea, da una parte, e, dall’altra, di creare un cordone sanitario anti-comunista che dalla rinata Polonia cingesse la Russia sovietica a occidente: ragione quest’ultima per cui gli Alleati erano già intervenuti, con oltre 150mila uomini, variamente dislocati, a sostegno dei “russi bianchi” in lotta contro l’Armata Rossa di Trotzsky fin dall’estate del 1918.

La crisi precipitò in Ungheria quanto il plenipotenziario alleato in Ungheria, tenente colonnello Ferdinand Vyx, presentò una nota dell’Intesa al governo ungherese con la quale gli si intimava di ritirarsi dai confini precedentemente concordati con l’armistizio sottoscritto a Belgrado, allo scopo di cedere ulteriori territori ai Paesi confinanti, come la Slovacchia ai Cechi e la Transilvania ai Rumeni.

La Nota Vyx provocò la caduta del governo filoccidentale di Mihály Károlyi e l’ascesa di un governo di orientamento filo-bolscevico, presieduto da Sándor Garbai: il 21 marzo 1919 nacque così la cosiddetta Repubblica dei Consigli, primo esempio di un Paese sovietico fuori della Russia, nella quale, anche se con il ruolo di Ministro degli Esteri, il politico di maggior carisma era il comunista Bela Kun, deciso ad instaurare la dittatura del proletariato su modello leninista, con le conseguenti collettivizzazioni delle proprietà agrarie, delle banche e delle industrie.

Il pericolo rosso

Fin dal 24 marzo 1919, i Francesi iniziarono, insieme a quella già in atto contro la Russia bolscevica, la pianificazione militare per contrastare il nuovo regime ungherese: si pensava ad un’avanzata su Budapest ad opera di tre divisioni di fanteria e una di cavalleria fornite dalla Serbia, di quattro divisioni rumene e di due divisioni ed una brigata di cavalleria francesi al momento acquartierate a Szeged, nella stessa Ungheria, dove fra l’altro si era insediato un governo contro-rivoluzionario ungherese.

Questo piano incontrò diverse difficoltà: in primo luogo i Serbi si dimostrarono molto tiepidi all’idea di intraprendere una campagna militare contro l’Ungheria; in secondo luogo, motivo assai più serio, le truppe francesi, in particolare i marinai della flotta all’ancora a Odessa, cominciarono a manifestare segni di fraternizzazione con i bolscevichi che in teoria avrebbero dovuto combattere 1.

I Francesi ritirarono quindi precipitosamente le loro unità navali dalla Russia meridionale, mentre un convoglio alleato, inizialmente destinato a supportare le armate bianche anticomuniste, venne diretto in Romania, al cui esercito già spettava il compito di presidiare il confine sul Dnjepr contro l’Armata Rossa, insieme ai soliti francesi.

In questo modo, era proprio la Romania a risultare come il miglior candidato per abbattere il governo ungherese, visto che le rivendicazioni rumene contro l’Ungheria venivano considerate tutto sommato un giusto compenso per il prezzo altissimo pagato da questo Paese per essersi schierato contro gli Imperi Centrali durante la Grande Guerra: del resto, un trattato segreto sottoscritto dall’Intesa coi Rumeni a Bucarest nel 1916 assicurava alla Romania vaste acquisizioni territoriali, delle quali la maggior parte a scapito dell’Ungheria.

Il conflitto rumeno-ungherese

La pianificazione alleata venne quindi focalizzata sull’impiego delle forze rumene contro il regime comunista ungherese, allo scopo di rovesciarlo; ma, negli stessi giorni, il rappresentante alleato in Ungheria, il primo ministro sudafricano Jan Smuts, intavolava una trattativa con il governo della Repubblica dei Consigli – con ogni evidenza al solo scopo di guadagnare tempo per organizzare il suo rovesciamento.

Le truppe rumene intanto avanzarono fino alla linea indicata dalla Nota Vyx, ma il 26 aprile informarono gli Alleati a Parigi di volerla oltrepassare fino a raggiungere il fiume Tisza, cosa che fecero immediatamente e con successo. La situazione tuttavia si complicava, da una parte, per l’intervento dei bolscevichi russi sul Dnjepr, che richiese lo spostamento di truppe rumene su quel fronte; inoltre, gli Ungheresi approfittavano del supporto russo per impegnarsi con buoni risultati in un conflitto contro i Cechi, nel tentativo di recuperare la Slovacchia.

Questa mossa ungherese consentì agli Alleati occidentali di presentare l’8 giugno 1919 un ultimatum a Bela Kun, con il quale si intimava di sospendere le operazioni militari contro i Cechi e di ritirarsi dai territori occupati. Gli Ungheresi, inaspettatamente, accolsero la richiesta degli Alleati, firmando il 23 giugno l’armistizio coi Cechi.

I Rumeni, cui gli Alleati avevano richiesto di ritirarsi entro le frontiere definite dagli accordi di Bucarest, rifiutarono invece di farlo fin quando gli Ungheresi non avessero smobilitato: dalla loro parte avevano il supporto francese, tant’è che l’11 luglio il Consiglio alleato a Parigi ordinò al maresciallo Ferdinand Foch di predisporre un attacco coordinato contro l’Ungheria, utilizzando forze rumene, serbe e francesi.

Gli Ungheresi, nonostante le loro forze fossero numericamente inferiori (poco più di 50mila uomini), presero per primi l’iniziativa, attaccando il 20 luglio: ma, dopo alcuni successi iniziali, subirono il 24 luglio un contrattacco con il quale i Rumeni, forti di quasi 100mila uomini, nel giro di qualche giorno, poterono superare il fiume Tisza, aprendosi la via verso Budapest, che venne occupata il 4 agosto 1919.

Caduta di Bela Kun e “terrore bianco”

Il 1° agosto il cosiddetto Governo dei Consigli ungherese aveva dimissionato ed il 2 agosto Bela Kun si era rifugiato in Austria e da qui in Unione Sovietica.

Con le truppe rumene, entrarono a Budapest anche le truppe contro-rivoluzionarie del governo di Szeged, comandate dall’ungherese Miklós Horthy de Nagybány, che aveva dato buona prova di sé, anche contro gli Italiani, come ammiraglio ultimo comandante della flotta austro-ungarica.

Iniziò così in Ungheria il cosiddetto “terrore bianco”, una feroce repressione anti-comunista ed anti-semita, con la quale si intendeva rispondere al “terrore rosso” precedentemente instaurato dalla Repubblica dei Consigli: anche se il ruolo di Horthy nell’azione dei paramilitari anticomunisti è ancora oggetto di discussione, la repressione, ad opera di unità sia militari che paramilitari, si protrasse per quasi due anni.

L’occupazione rumena durò invece fino ai primi mesi del 1920 ma fu particolarmente gravosa in quanto l’Ungheria dovette cedere alla Romania per intero la propria industria bellica, metà del proprio materiale rotabile (800 locomotive e 19mila vagoni), il trenta per cento del bestiame e delle attrezzature agricole, 35mila vagoni di cereali e foraggi.

Questo scontro fra Stati nell’area balcanica e centro-europea, come si vede, delineava alcuni aspetti che avrebbero caratterizzato tutto il drammatico primo dopoguerra: i Quattordici Punti, gettati sull’Europa come instrumentum regni, venivano travolti da una parte dalle esasperate ambizioni territoriali del mosaico etnico-politico nato dalla disintegrazione degli Imperi centrali e della Russia; dall’altra, venivano anche travolti dall’affermazione dell’anti-bolscevismo a difesa del modello di una democrazia occidentale non facilmente applicabile nelle aree centro-orientali europee.

Questa inedita miscela alimentava la nascita nell’Europa continentale di una diretta contrapposizione fra movimenti di massa nazionalisti e comunisti, che avrebbero condizionato tutta la storia del dopoguerra. In Italia, ad esempio, proprio l’intervento alleato in Ungheria suscitò proteste di piazza, in particolare da parte dei socialisti, in un clima già reso infuocato dagli “scioperi contro il carovita” esplosi tra giugno e luglio, e dalle spinte nazionaliste manifestatesi con violenza nei Vespri Fiumani.

La politica di Versailles diffondeva quindi semi di violenza fra gli Stati e dentro gli Stati europei, i cui effetti non avrebbero tardato a manifestarsi.

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Note
  1. G. Colonna, Ucraina fra Oriente e Occidente, Edilibri, Milano, 2014, p. 14.