Considerazioni sul finale del Trono di Spade

Si conclude la serie colossal de Il Trono di spade ed ognuno dei milioni di fan e di spettatori si trova a fare i conti con il particolare esito in cui confluiscono tutta la passione, la curiosità, le aspettative e le speranze di ben 8 anni di storie. Un finale che decisamente non soddisfa.

 

Impressioni a caldo

Al termine della visione dell’ultima stagione de Il Trono di Spade, sono stato preso da molteplici sensazioni diverse ad ogni minuto che distillava la fine. Ma distillare non è il termine giusto giacché i distillati sono il prodotto di un processo di purificazione, un processo simile all’estrazione di un’essenza, ma quello che resta per i nostri occhi non è qualcosa di altrettanto puro e raffinato.
Diciamo quindi piuttosto ad ogni minuto che scorreva verso la fine. In fondo è così, anche questo evento scorrerà via, se ne andrà, sparirà col tempo impiegato a vederlo e le speranze, le supposizioni e gli entusiasmi saranno ormai consumati in un unico finale. Un finale che delude. Già perché su tutte le sensazioni prevale una sola costante: la delusione.

Ed anche se tutto passa ci vorrà tempo, come negli amori perduti. Infatti proprio di amori si tratta. Un fan od uno spettatore di una serie tv affida inerme tutti i suoi sogni sui personaggi a degli autori che tra una puntata e l’altra avranno il suo incondizionato interesse ed ogni potere sulle sue emozioni. E quindi, come in ogni affetto infranto, ora mi ritrovo a dover razionalizzare questa amarezza.

 

Originalità programmata

Parrebbe strano che emerga la delusione da un finale che già dalla penultima stagione sembrava quasi essere prodotto come una serie fan-made. È da quando viene resuscitato John Snow, il beniamino di tutti i fan, che ne hanno seguito le disavventure e le audaci imprese, è da quando esso scampa all’eliminazione dalle trame che si subodorava odore di “contentino”, diciamo di un finale forse più scontato, magari con lui e Daenerys Targaryen che regnano sul Trono di Spade.
Da amante delle trame sorprendenti ed originali come sono sempre state quelle che seguivano il romanzo di J. R. R. Martin, certo non mi sarei mai accontentato di un finale di simile banalità, ma ero arrendevolmente pronto ad accettarlo, consapevole che molti fan altro non chiedevano che veder prevalere i loro personaggi preferiti e cosciente del fatto che già dalla settima stagione non si aveva più Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco come riferimento letterario per la sceneggiatura. Invece l’originalità di questo finale è che ti delude come non te l’aspetti.

 

Tutti i nodi al pettine

Già era stato poco spettacolare l’abbondante battaglia di oltre un’ora che nel quarto episodio aveva visto scontrarsi gli uomini con la minaccia di tutta la saga: gli Estranei. Avendo entrambe le parti almeno un drago mi aspettavo molte cose, ma è stato tutto molto fumo e poco arrosto. In senso letterale, le scene sono perlopiù girate con questa grande tempesta di neve e vento e nuvole evocata dal Signore della Notte e della battaglia si godono giusto un paio di cose. Per il resto sembra di assistere ad un episodio di The Walking Dead (altra serie deludente), con tanto di preambolo nel terzo episodio in cui i personaggi passano il tempo a complessarsi e bighellonare più o meno tristemente mentre la morte incombe su di loro. Una di quelle puntate che annoiano come la faccia di Isaac Hempstead-Wright che interpreta Bran Stark.
Seguono alcune lacune tecniche in una sommaria noncuranza di aspetti realistici quando ci si trova a trattare di eserciti e battaglie. Mentre prima il pregio della serie stava nell’attenzione con cui veniva curato ogni aspetto ora ci si accontenta di vedere interi eserciti noncuranti di battaglie estreme che attraversano l’intera Westeros in un paio di giorni, flotte che fanno sagaci agguati, ma che poi si posizionano strategicamente a largo di una baia facendo blocco navale alla marea ed alle giornate di poco sole. Ma forse solo una ristretta percentuale di fan apprezzava la coerenza militare delle precedenti stagioni. Più o meno gli stessi che apprezzano descrizioni originali come la legge di gravità e la forza d’attrito.
Molti altri forse però si sono solo affezionati ai personaggi ed alle loro storie. Su tutti Daenerys, bella, indipendente, grintosa, dragomunita, con tutti i requisiti per essere assunta come regina. Eppure, nonostante il suo percorso sia caratterizzato da una certa intelligenza, sul finale si lascia trasportare da una cieca impulsività con contorni di gelido cinismo. Una trasformazione che stona per l’esagerazione immotivata con cui avviene. Ma il personaggio doveva raccogliere quella promessa di devastazione che di tre draghi solo uno si ritrova ad adempiere. Così ad Approdo del Re fiamme e terremoti stanno in offerta a 99 centesimi, soddisfatti o carbonizzati.
Ma almeno si era riusciti ad eludere il finale scontato, aprendosi a nuove possibilità. E come ogni volta in cui si apre una grande occasione per sviluppare una nuova idea gli audaci sceneggiatori si richiudono nella mediocrità.

 

Che fine fanno tutti

John Snow decide di uccidere la sua amata regina folle, perché fare la cosa giusta, sacrificarsi per il bene comune ed essere il personaggio più infelice e sfigato sono i suoi tratti caratteristici. Poi viene pure esiliato coi Guardiani della Notte, perché essere depressi è diventato un reato.
Tutti i nobili si accordano per eleggere un re, tanto per ricordare che ci piace il sistema parlamentare e finalmente emerge un re rappresentativo della loro identità, l’inespressivo, mediocre, Bran Stark. Nemmeno assistiamo alla sua cerimonia di incoronazione tanto è poco interessante, mentre Samsa Stark si vede incoronata regina del Nord, tradizionalmente seccessionista. Tutta quella banda di Immacolati extracomunitari se ne riparte sui barconi da cui era venuta. Dev’essere un periodo particolare, perché anche nel Trono di Spade la Lega ottiene importanti risultati.
Arya Stark salpa alla scoperta di nuove terre, in una versione per adulti di Dora l’esploratrice, di cui ha praticamente lo stesso sex appeal.

Resta solo il vero protagonista di tutta la storia Tyrion Lannister, il folletto, il nano magistralmente interpretato da Peter Dinklage, il quale si siede come Primo Cavaliere intorno ad una tavolata di personaggi che rispecchiano i vari fan: c’è chi guardava il Trono di spade perché voleva sentirsi un cavaliere, quello che voleva divertirsi, quello che si era letto i libri… Ed in una scena casualmente allegorica i sentimenti dei personaggi sono esattamente quelli degli spettatori, quello che si è letto i libri è lì perché ci doveva essere, quello che si voleva divertire è contento di essersi divertito, chi voleva essere cavaliere rimpiange i personaggi più interessanti che sono scomparsi, infine chi ha seguito tutti gli intrighi, che è stato sia cavaliere che consigliere che avventuriero, che ha viaggiato con i vari personaggi amando i più belli, alla fine è in un ruolo che non lo rende felice, ma che deve ricoprire, tipo uno spettatore all’ultima stagione, davanti ad un finale insoddisfacente.

 

Conclusioni

Io non ho letto i libri di Martin, anche perché con il genere fantasy ho chiuso in epoca giovanile. Però ho voluto cogliere con questa serie l’occasione di risvegliare tutto un immaginario fantastico capace di emozionarmi ed appassionarmi ancora. Una parte di me che accetta l’idea dei draghi, però, necessariamente ripudia la mediocrità. Ecco perché mi vengono in mente molti finali migliori, alcuni anche alla portata, ma bisogna arrendersi a questo. Per ora.
J. R. R. Martin, pure se procrastina la conclusione dei suoi romanzi da anni ed anni, si è dichiarato ancora determinato a chiudere quest’impresa letteraria con i volumi mancanti. Io non posso che pensare che l’insoddisfazione che ha colto molti fan della serie sia una voce di stimolo a compiere il suo lavoro nel miglior modo possibile.

Vorrei concludere con qualche frase ad effetto, qualche battuta di spirito, ma che volete farci, anche il background del mio personaggio è rassegnatamente triste come quello di John Snow.

Print Friendly, PDF & Email